Recensione di Francesca Marchesani
Autore: Hallie Rubenhold
Traduzione: Simona Fefè
Editore: Neri pozza
Genere: Storico
Pagine: 432
Pubblicazione: Luglio 2020
Sinossi. Londra, 1887: l’anno, recitano i libri di storia inglese, del Giubileo d’Oro, dei festeggiamenti per il cinquantenario dell’ascesa al trono della regina Vittoria. L’anno, però, anche di una storia di cui pochissimi sono a conoscenza, e che i più preferiscono dimenticare: la storia di una senzatetto, Mary Ann Nichols, detta Polly, che bivaccava come tanti a Trafalgar Square. A differenza della monarca, la sua identità sarebbe presto caduta nell’oblio, anche se il mondo avrebbe ricordato con grande curiosità il nome del suo assassino: Jack lo Squartatore. Polly fu la prima delle cinque vittime «canoniche» di Jack lo Squartatore, o di quelle la cui morte avvenne nel quartiere di Whitechapel nell’East End. Al suo omicidio seguì il ritrovamento dei cadaveri di Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly. La brutalità degli omicidi di Whitechapelsconvolse Londra, soprattutto perché l’assassino riuscì a darsi alla macchia senza lasciare indizi circa la sua identità. Mentre il cosiddetto «autunno del terrore» volgeva al termine, Whitechapel si riempì di sedicenti giornalisti intenti a cavalcare l’onda. I giornali andarono a ruba e, in mancanza di informazioni certe da parte delle autorità, le pagine furono sommerse di infiorettature, invenzioni e voci infondate, come quella secondo cui i pensionati di Whitechapel fossero «bordelli di fatto, se non di nome», e quasi tutte le donne che vi risiedevano, con pochissime eccezioni, fossero delle prostitute. Per centotrenta anni le vittime di Jack lo Squartatore e le loro vite sono dunque rimaste invischiate in una rete di supposizioni, pettegolezzi e ipotesi inconsistenti, cosicché oggi, le storie di Polly, Annie, Elizabeth, Kate e Mary Jane portano ancora impressi il marchio e la forma che i valori vittoriani hanno dato loro: maschili, autoritari e borghesi. Valori elaborati in un’epoca in cui le donne non avevano né voce, né diritti. Ma chi erano queste donne, e come hanno vissuto prima che la loro esistenza venisse barbaramente spezzata dalla mano di un feroce assassino? Attraverso un imponente lavoro di documentazione e una scrittura che lo rende appassionante come un romanzo, “Le cinque donne” riesce pienamente nel suo obiettivo di dare un volto alle donne che per troppi anni sono rimaste oscurate da un mito, restituendo loro ciò che tanto brutalmente hanno perduto insieme alla vita: la dignità.
Recensione
Polly, Annie, Elizabeth, Kate e Mary Jane. Cinque donne che non hanno tanto in comune. Donne ordinarie che non saremo certamente qui a ricordare se non fosse che abbiano avuto tutte a che fare con lo stesso uomo. Jack Lo squartatore assassino ancora ignoto che negli ultimi anni del 1800 a Londra ha dato il peggio di sé.
Questo romanzo storico non racconta del suo modus operandi o dei luoghi in cui preferiva colpire o le armi di cui si serviva. No, questo libro affronta la vita di cinque donne che per i più sono solamente delle prostitute ammazzate dal celebre omicida. La versione ufficiale è questa, quella che davano senza remore i giornali di un tempo.
Ma nessuno immagina che all’epoca, qualunque donna camminasse per strada da sola dopo il tramonto, fino a prova contraria era da definirsi prostituta. Qualcuna poi lo era davvero, ma certamente non tutte. Solo che, nella società di quel tempo, non troppo lontana da alcune visioni medioevali che si hanno ancora oggi, una donna non era niente di più che un essere inferiore rispetto all’uomo.
Che già dalla nascita, prima ancora di imparare a parlare, sapeva che le sue parole sarebbero contate meno rispetto a quelle dei suoi fratelli. Avrebbe guadagnato meno di un uomo e quindi non era necessario investire sulla sua istruzione. Si trovava in difficoltà già da subito, dal lato sbagliato.
Era quindi suo compito, il più importante della sua vita, trovarsi un uomo, sposarsi, servirlo e compiacerlo, dargli dei figli. E pregare che lui non morisse prima di lei.
Perché se il marito fosse morto si tornava al punto di partenza. Non più nel fiore degli anni, con dei figli a carico, (e spesso le famiglie erano numerosissime anche se questo voleva dire che le madri dovevano nutrirsi sgranocchiando ossi già spolpati) e con l’impossibilità di cavarsela da sola. Perché una donna da sola non poteva andare da nessuna parte. Percorriamo così le strade di queste donne e che cosa le abbia portate, per un incrocio di coincidenze, per essere state nel posto sbagliato al momento sbagliato, a morire da sole in un vicolo.
Spesso si parla di queste cinque donne senza neanche dire i lori nomi. Perché se la sono cercata. Perché essere una prostituta voleva dire valutare anche l’ipotesi di svegliarsi con un coltello nella pancia. Ma anche essere madre di otto figli. Anche essere la moglie di un rispettabile cocchiere. Il “ se la sono cercata” ha radici molto profonde che non conoscono tempo e spazio, perché è difficile sradicare certi concetti in una società che intitola un museo a un assassino senza neanche mai aver visto il suo volto, dove le sue vittime dovrebbero essere grate della celebrità del loro carnefice, così non sono finite nel dimenticatoio in mezzo a tutte le altre.
Forse, se ai tempi si fosse indagato di più, se queste donne fossero state più benestanti, vestite meglio, con una famiglia più influente, magari la polizia non avrebbe archiviato il caso con così tanta leggerezza, quasi sollevati che la morte di brutta gente potesse dare nuovo lustro al quartiere. Forse avrebbero acciuffato un temibile serial killer invece che metterlo su un piedistallo e renderlo quasi un mito. Ma immagino che sei un assassino sicuramente meno temibile se uccidi persone di poco conto.
Si chiamavano Polly, Annie, Elizabeth, Kate e Mary Jane e prima di essere “mogli di” o qualsiasi mestiere abbiano dovuto fare per mantenersi, erano figlie, erano madri, erano sorelle e erano donne.
E qualsiasi fosse il loro abito quando sono morte o il loro tasso alcolico, o la loro situazione sentimentale, di certo non meritavano di essere orrendamente sventrate e uccise.
È successo tutto nel 1800, eppure, non so per quale assurdo motivo, mi sembra tutto così familiare.
Hallie Rubenhold
nata a Los Angeles è una storica specializzata in storia femminile del diciottesimo e diciannovesimo secolo. Le cinque donne le è valso il premio Baillie Gifford nel 2019. Molte sue ricerche e saggi sono stati usate poi come sceneggiature per serie e film documentari. Ha scritto anche due romanzi, entrambi ambientati nel diciottesimo secolo.
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