Le cose da salvare




Vincitrice “Premio Salerno Libro d’Europa 2020”

 

Recensione di Sara Zanferrari


Autore: Ilaria Rossetti

Editore: Neri Pozza

Genere: narrativa

Pagine: 208

Pubblicazione: 12 marzo 2020

Sinossi. Il Ponte è appena crollato. È venuto giú in un vortice di calce e blocchi di cemento. Affacciato alla finestra della cucina, il sessantaquattrenne Gabriele Maestrale osserva incredulo la voragine che si spalanca ai piedi del suo condominio, un edificio scheletrico con cinque balconi su cui incombe l’ombra spezzata del Ponte. Dal baratro si levano grida, deboli, incredule. Voci angosciate echeggiano nella tromba delle scale. Durante la loro corsa a precipizio, alcuni si fermano a picchiare alla sua porta:

«Forza, raccolga quel che può e scenda, qui potrebbe venire giú tutto!».

Gabriele, però, non riesce a muoversi, preda di un dilemma che non lo fa respirare: quali sono le cose da salvare? Gli oggetti utili, prima di tutto: il portafogli, i documenti, la giacca cerata, un paio di scarpe… Poi, forse, le fotografie, il cellulare, il libretto degli assegni, quel romanzo di Pavese appartenuto a Elisabetta, prima che se ne andasse…Che cosa salvare di una vita intera, quando tutto crolla, quando il mondo è ingombro di rovine prive di senso? Incapace di decidere che cosa portare con sé, Gabriele si lascia cadere sul divano; non si alzerà. Non si alzerà nemmeno all’arrivo dei vigili del fuoco, della polizia, di chiunque venga a intimargli di abbandonare la sua casa e mettersi al sicuro. Un anno dopo, la giornalista Petra Capoani viene incaricata dal direttore della Voce, una piccola testata di provincia, di scrivere la storia dell’uomo che dal crollo del Ponte vive asserragliato nella propria casa, circondato dalla desolazione e dalla solitudine.Da poco rientrata in Italia dopo diversi anni di lavoro a Londra, Petra accetta l’incarico senza entusiasmo, ma dovrà ricredersi quando Gabriele Maestrale le aprirà la porta della sua casa e, insieme, della sua esistenza. Tra quelle mura pericolanti, la giovane apprenderà, incontro dopo incontro, quanta vita è racchiusa in un appartamento e come la memoria di «tutta la tragica bellezza di ciò che è passato» – come scrive Cristina Campo nella frase che fa da esergo a queste pagine – sia piú importante dell’insensatezza della Storia.

Recensione

Il Ponte crolla. C’è un prima e un dopo. Il tempo si congela, nell’istante eterno in cui le certezze della tecnica umana crollano insieme alla grande costruzione che si staglia sopra al fiume e alle case, a cui preclude addirittura la luce del sole.

Gli abitanti delle case, come piccole formiche indifese, devono lasciare gli edifici in tutta fretta, per il rischio che crollino a loro volta, e in pochi secondi si interrogano su cosa portare via assieme alla propria fragile esistenza: oggetti, ricordi, foto, telefono, portafogli, documenti, che cosa?

Questo o quell’oggetto antico che racchiude nella sua materialità una miriade di ricordi e significati? E che ne sarà dei ricordi racchiusi in quelle mura se verranno giù come castelli abbattuti?

La domanda, insistente, in questo terzo romanzo di Ilaria Rossetti è: ma è davvero possibile stilare l’elenco delle cose da salvare?

In pochi istanti Gabriele deve decidere cosa portare via con sé. C’è fin troppa vita nello spazio che dovrebbe lasciare, e così succede che semplicemente decide di non andare via, perché non sa, o non vuole, scegliere (selezionare, per usare un verbo ancora più chirurgico) quali cose salvare. In quello spazio ha vissuto coi genitori, lì sono morti, lì ha vissuto anche la moglie Elisabetta, prima che lo lasciasse. E’ lo spazio stesso che bisognerebbe salvare, ma non è possibile.

Non resta che non agire, non prendere (apparentemente) nessuna decisione. In realtà è una sorta di resistenza quella di Gabriele, a non lasciare che il nulla si inghiotta tutta la sua stessa esistenza: il presente infatti è fatto della sostanza del passato, i ricordi fanno parte di noi, cosa saremmo senza?

“E’ difficile lasciare un posto dove si è vissuto così tanto e profondamente.

Ti riferisci al tuo matrimonio?

Sì. Ma anche ai miei genitori. All’idea che avevo su quel che sarebbe stata la mia vita. […]

Legare degli oggetti, un luogo, alla nostra esistenza, è una cosa che facciamo tutti. E’ vero. Ma dover abbandonare quegli oggetti e quel luogo all’improvviso: questa è un’altra faccenda. Tutta un’altra faccenda. […] Anche se sono corpi estranei, cose morte; fa male averle intorno, ma per qualche motivo non riesci a lasciarle andare”. (pag. 54)

La voce narrante è della giovane giornalista, Petra, che racconta sia la vita di Gabriele che del padre Alfio. Due personaggi molto diversi, eppure così simili, nell’età avanzata, che vanno verso la fine della loro esistenza, si rapportano con la solitudine (anche la madre di Petra è appena deceduta per un tumore), con le case dove c’è molta assenza e presenza da integrare nel vissuto quotidiano.

Ci sono anche altre due figure, femminili questa volta, che aleggiano discretamente nel romanzo (in verità due + due, ma questo non lo sveliamo): la madre di Petra e Vanda, lo “spettro” forse di sempre nel matrimonio dei genitori, la donna amata da sempre e probabilmente per sempre dal padre di Petra.

La madre muore e Vanda, con un apparente tempismo perfetto, ricompare nella sua vita. Una presenza di una delicatezza estrema, che si interroga e porta anche Alfio e Petra ad interrogarsi su come sia il modo “giusto” di leggere il nostro passato o quello delle persone che ci sono care.

Come sono i nostri ricordi quando il vissuto è forte, lo abbiano vissuto da giovani, come ricordiamo quanto successo e le persone che eravamo? L’amore intenso e giovanile dei due è una vera magia che colpisce in profondità il lettore che abbia desiderio di perdersi.

“Si è beato della vista di Vanda, delle forme che in passato aveva conosciuto in profondità, perché non è vero che l’amore passa solo dagli occhi, ma anche attraverso le scapole, i fianchi, i seni, le rotondità del fondoschiena, segue l’età della pelle e i suoi mutamenti, e quindi il corpo di chi si ama va imparato a memoria tutti i giorni, va mappato, rivendicato, goduto.

Il cuore di mio padre si è teso come una vela, domandandosi dove fosse il vento. La mano di Vanda è corsa alla caffettiera che fumava. Lui è stato più veloce e le ha bloccato le dita, facendola voltare.

Mi sei mancata sempre”. (pag. 146)

C’è una prospettiva quasi visiva in “Le cose da salvare”, una prospettiva che è quasi sempre dall’alto, dall’alto di questo quarto piano dell’appartamento di Gabriele: una geografia fisica, una sorta di “Google earth del cuore”, fisica ma anche sentimentale.

E una scrittura a dir poco meravigliosa, dove una parola non vale per un’altra, precisa, cesellata, dove la poesia spesso dolorosa della vita emana dalla lingua stessa. E uno spunto, verso la fine, sempre sulla prospettiva da cui guardare il nostro passato, e sul farsi le domande, quali siano quelle giuste:

Noi abbiamo questo limite, Petra. Guardiamo alle cose sopravvissute, anziché pensare a quelle che non lo sono” (pag. 129)

A cura di Sara Zanferrari

 poesiedisaraz.wordpress

 

Ilaria Rossetti


nasce a Lodi nel 1987, dopo il Premio Subway 2006, nella categoria under 19, nel 2007 si aggiudica il Campiello Giovani con il Racconto La Leggerezza del rumore. Nel 2008 è sua la vittoria del Concorso Logos indetto dalla Giulio Perrone Editore che pubblica il suo romanzo d’esordio: Tu che te ne andrai ovunque. Nel 2011, ormai ventiquattrenne, Ilaria si trasferisce a Londra, a Mile End, vicino alla più nota Brick Lane, per frequentare la London School of Journalism… Ma anche per vivere appieno «lo spasmodico ventre culturale» della capitale britannica. Ama trascorrere il suo tempo nelle biblioteche inglesi perché sono «aperte fino a tarda sera», frequenta solo librerie piccole, intime, dove i «diritti del lettore» vengono sempre rispettati. Nella sua valigia ci sarà sempre posto per La signora Dolloway di Virginia Woolf, Un uomo solo di Cristopher Isherwood e Spiaggia libera tutti di Chiara Valerio. Vincitrice del Premio Neri Pozza nel 2019 con il romanzo “Le cose da salvare”, Ilaria Rossetti è una scrittrice lombarda, già vincitrice del Premio Campiello Giovani nel 2007 e autrice di due romanzi: “Tu che te ne andrai ovunque” e  “Happy Italy”. Scrive anche monologhi e drammaturgie per il teatro e attualmente gestisce il Caffè delle Arti a Lodi, uno spazio di aggregazione culturale dove si mangia, si parla di libri, politica e società

 

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