Recensione di Marina Morassut
Autore: Josè Saramago
Traduzione: Rita Desti
Editore: Feltrinelli
Genere: Narrativa
Pagine: 218
Anno di pubblicazione: 2012
Sinossi. «Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, contrario alle norme della vita, causò un enorme turbamento.»
Un paese senza nome, 31 dicembre, scocca la mezzanotte. E arriva l’eternità, nella forma più semplice e quindi più inaspettata: nessuno muore più. La gioia è grande, la massima angoscia dell’umanità sembra sgominata per sempre. Ma non è tutto così semplice: chi sulla morte faceva affari per esempio perde la sua fonte di reddito. E cosa ne sarà della chiesa, ora che non c’è più uno spauracchio e non serve più nessuna resurrezione? I problemi, come si vede, sono tanti e complessi. Ma la morte, con fattezze di donna, segue i suoi imprendibili ragionamenti: dopo sette mesi annuncia, con una lettera scritta a mano, affidata a una busta viola e diretta ai media, che sta per riprendere il suo usuale lavoro, fedele all’impegno di rinnovamento dell’umanità che la vede da sempre protagonista. Da lì in poi le lettere viola partono con cadenza regolare e raggiungono i loro sfortunati (o fortunati?) destinatari, che tornano a morire come si conviene. Ma un violoncellista, dopo che la lettera a lui indirizzata è stata rinviata al mittente per tre volte, costringe la morte a bussare alla sua porta per consegnarla di persona.
Recensione
In questo romanzo del 2005 Saramago ci chiede di lasciarci andare a quella sorta di escamotage che va sotto il nome di “sospensione del senso della realtà”. E chi non sarebbe disposto a farlo, in questo 2020 bisestile e strafottente, soprattutto per il tema portante – e cioè la completa scomparsa della morte in un unico Paese, mai nominato, ma che da alcuni accenni possiamo arguire sia il suo Portogallo.
Tanto quanto il Paese protagonista di questa scellerata decisione da parte della morte, come vedremo fra poco, anche i vari protagonisti umani, più cariche politiche, sociali e religiose che persone in carne ed ossa – tranne la morte, naturalmente! – non posseggono nomi propri, in questa dissacrante ed amara critica della società tutta e della civiltà umana in generale..
Scritto in forma colloquiale tra il narratore ed il lettore, con frequenti interventi dell’autore stesso, si dipana in una continua intermittenza tra ragionamenti, pensieri, narrazioni, dialoghi.
Per semplicità lo potremmo suddividere in 3 distinte fasi: la morte sospende la morte, con tutta la felicità e poi il caos che ne consegue; la morte ripristina la morte, con tutto il caos e la seguente – quasi – felicità che ne consegue; la morte non riesce a consegnare la lettera di morte color viola (sua ideona!) ad un’unica persona, un violoncellista – e se ne fa un tale cruccio, che sospende il suo operato affidandolo alla fida Falce e parte alla scoperta di questo essere umano.
In mezzo, c’è tutto il mondo ironico, sarcasticamente dissacrante ma anche teneramente umano di questo Premio Nobel, che si offre con una scrittura che è uno scrigno di tesori sia nel fraseggio dei pochi dialoghi e delle molte considerazioni personali, nonché racconti all’interno della vicenda stessa, sia nella descrizione di vicissitudini che partono da altri assunti e che si trasformano in storie, che a loro volta narrano di tradizioni, che si sfumano in baraonde politiche, sociali e religiose, che poi terminano in architetture grottesche e tristemente comiche, sempre con un sorriso tirato, seppur divertito.
Protagonista assoluta, nonostante le varie storie e peripezie del popolo che deve sottostare ad una doppia decisione perfida, sia nel bene che nel male, è la morte, in una narrazione eccentrica ma lineare, per chi conosce già gli scritti di Saramago, dove la necessità di raccontare questa storia sembra legata a doppio filo ed inesorabilmente non solo con il freddo prima e tentennante poi personaggio della morte, coadiuvato poi da una Falce sui generis, ma soprattutto di un genere umano costituito da macchiette di politici e religiosi che difficilmente non abbiamo già incontrato nella nostra vita, privata o sociale che sia.
Come si premura di precisare l’autore ad inizio del romanzo,
“sapremo sempre meno che cos’è un essere umano” (Libro delle previsioni) – e riflettendo su questo postulato, soprattutto con gli ultimi mesi di esperienza sulle spalle, potremmo aggiungere anche: “… e quel che era scritto, che sarebbe accaduto, infine accadde…”, rendendo la morte vulnerabile e chiave di lettura della vita.
A cura di Marina Morassut
Josè Saramago
Narratore, poeta e drammaturgo portoghese, ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1998. Costretto a interrompere gli studi secondari fece varie esperienze di lavoro prima di approdare al giornalismo che ha esercitato con successo su vari quotidiani. Dopo il romanzo giovanile Terra e due libri di poesia caratterizzati da una forte sensibilità ritmico-lessicale, si è rivelato acquistando fama internazionale con un’originale produzione narrativa in cui rielaborazione storica e immaginazione mistica e allegorica, realtà e finzione si mescolano in un linguaggio tendenzialmente poetico e vicino ai modi della narrazione orale. Tra le sue opere più note pubblicate da Feltrinelli: Il vangelo secondo Gesù Cristo, Cecità, Tutti i nomi, L’uomo duplicato, L’ultimo Quaderno, Don Giovanni o il dissoluto assolto. Riconosciuto come uno degli autori più significativi del Novecento, la sua produzione spazia dalla poesia al romanzo, dal teatro La seconda volta di Francesco d’Assisi e Nomine Dei ai racconti storici. Intellettuale raffinato e impegnato, ha spesso fatto discutere per i suoi racconti dissacranti che colpiscono al cuore i mali della nostra società. Nel 1998 l’Accademia di Svezia gli ha conferito il Premio Nobel per la Letteratura premiando le sue qualità di scrittore ma anche l’uomo delle battaglie civili. Fissa in una frase il perché del proprio scrivere: “Le parole sono l’unica cosa immortale: quando uno è morto, ai posteri rimangono solo loro”. Tra le pubblicazioni più recenti per Feltrinelli figurano: nel 2012 Lucernario, romanzo giovanile perduto e ritrovato; nel 2014 Alabarde Alabarde; nel 2019 Diario dell’anno del Nobel.
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