LE PERFEZIONI
di Vincenzo Latronico
Bompiani 2022
narrativa, pag.144
Sinossi. Tutti vorrebbero la vita di Anna e Tom. Un lavoro creativo senza troppi vincoli; un appartamento a Berlino luminoso e pieno di piante; una passione per il cibo e la politica progressista; una relazione aperta alla sperimentazione sessuale, alle serate che finiscono la mattina tardi. Una quotidianità limpida e seducente come una timeline di fotografie scattate con cura. Ma fuori campo cresce un’insoddisfazione profonda quanto difficile da mettere a fuoco. Il lavoro diventa ripetitivo. Gli amici tornano in patria. Il tentativo di impegno politico si spegne in uno slancio generico. Gli anni passano. E in quella vita così simile a un’immagine – perfetta nel colore e nella composizione, ma piatta, limitata – Anna e Tom si sentono in trappola, tormentati dal bisogno di trovare qualcosa di più vero. Ma esiste? Vincenzo Latronico torna alla narrativa con una storia lucida e amara di sogni e disillusioni, una parabola sulle nostre vite assediate dalle immagini dei social media e sulla ricerca di un’autenticità sempre più fragile e rara.
Le perfezioni
A cura di Edoardo Guerrini
Recensione di Edoardo Guerrini
Questo romanzo, candidato al Premio Strega 2023, è stato dichiaratamente modellato dall’autore sull’esempio di un testo di Georges Perec, dal titolo Le cose.
Testo che personalmente non conosco e che, lo dico con franchezza, la lettura di questo romanzo non mi ha reso incline a conoscerlo. Indubbia l’originalità delle scelte di Vincenzo Latronico nel costruire questo romanzo, scelte stilistiche, in primo luogo, e anche di contenuti.
I protagonisti, Anna e Tom, non li sentiamo mai parlare: non esiste, in tutto il romanzo, neppure un trattino o un paio di caporali che ci facciano sentire la voce dei personaggi: tutta la storia è esclusivamente narrata dalla voce dell’autore, e tra l’altro è narrata in quattro sezioni successive con quattro diverse tipologie di tempi verbali: presente, imperfetto, passato remoto, e infine futuro.
Anche i luoghi, le ambientazioni, sono mostrati ben poco: il più delle volte sono raccontati con pochi dettagli visivi, al massimo sono descritti in dettaglio gli oggetti, le cose, appunto, che fanno parte e circondano la vita dei due protagonisti: i colori delle doghe dei pavimenti, delle foglie delle piante, delle pareti, della mobilia.. Di Anna e di Tom non sappiamo, nè sapremo praticamente nulla, dei loro pensieri, dei loro sentimenti, delle loro passioni: all’autore non interessa raccontare questo.
La sua è una scelta ben precisa, voluta: lui vuole solo raccontare gli oggetti, la materialità della vita dei due ragazzi, che tra i venti e i trent’anni sono esposti alla nostra visione quasi come se fossimo degli spettatori di un reality show, però senza il sonoro. Anna e Tom (ma potrebbero chiamarsi con mille altri nomi), in pratica diventano due simboli, due rappresentanti della generazione dei millennials, nativi digitali che fin dalla vita in Italia si abituano a un mestiere fatto di consulenze online, esercitabile al novanta per cento da casa propria, e che rapidamente decidono di espatriare andando a vivere a Berlino, pochi anni dopo il crollo del Muro.
Esperienza che evidentemente riflette quella dell’autore, ma anche la città non è che una cornice di cose materiali che circonda e influenza la vita dei due, nella loro ricerca della vita perfetta: comodità materiali, soldi, cibo, anche la vita sessuale tra i due è descritta non dal punto di vista del sentimento, delle pulsioni, dei battiti cardiaci, ma unicamente circa la ricerca del massimo livello di piacere. E questa continua ricerca della perfezione difficilmente trova risultati a loro volta perfetti: vediamo i due arrabattarsi cercando di cavalcare la rivoluzione digitale, e uscirne spesso con l’insoddisfazione di chi vede intorno a sé altri che hanno più successo.
L’unico periodo della vita dei due che mi ha colpito per un certo slancio di passione, evidentemente vissuto anche dall’autore, è quello relativo al famoso periodo dell’afflusso di oltre un milione di immigrati siriani in Germania, quando l’allora Cancelliera Merkel pronunciò la famosa frase “Wir schaffen das”, “Ce la faremo”. Frase che non è affatto ricordata dall’autore, che però mostra l’impegno di Anna e Tom nel volontariato con l’assistenza nel campo profughi allestito nell’ex aeroporto di Berlino, forse l’unica parte del romanzo in cui pare di intuire qualche posizione politica e qualche passione.
Ebbene, per me che conosco la generazione di Anna e Tom, in quanto ho contribuito a procrearne qualche esponente, in effetti ho riconosciuto dei tratti di realtà nella descrizione complessiva del modo di vita, dell’incastrarsi di amicizie plurime tramite forme più che altro virtuali e solo poi di conoscenza fisica, e pure in questa ossessiva ricerca della perfezione in tutte le questioni della vita, dall’arredamento al vestiario, dalle tipologie di gadgets elettronici alle scelte musicali o cinematografiche, per finire con le scelte di dieta, le forme di cucina, e infine i viaggi.
Solo che il clima complessivo del romanzo non è esattamente coinvolgente e appassionante, anzi si legge con un po’ di fatica, e alla fine si arriva con un sospiro di sollievo nel trovare i due protagonisti un po’ più stabili, grazie a un’eredità che li rende capaci del rientro in patria.
Ho avuto un’impressione complessiva di costruzione “voluta”, “pianificata a tavolino”, un poco innaturale; tuttavia, credo che di questo romanzo mi resterà parecchio, mi resterà la forza delle descrizioni emblematiche della vita dei “nostri” ragazzi del nuovo millennio, e di come infine li lasceremo a continuare a cercare un barlume di felicità.
Intervista
INTERVISTA
Grazie a nome di ThrillerNord per il tempo che ci dedicherà.
Di seguito alcune curiosità suscitate dalla lettura del suo romanzo.
Ci potrebbe dare qualche informazione sul suo rapporto con l’autore Georges Perec e il suo romanzo Le cose, al quale Le perfezioni è dichiaratamente ispirato? Che ruolo ha avuto nella sua vita questo libro?
In realtà non così profondo come potrebbe sembrare. Sono legato alle opere dell’Oulipo da quando ero piccolo – Esercizi di stile di Raymond Queneau era un libro molto caro a mio nonno e lo è a mio padre; ma, appunto, crescendo sono sempre stato più vicino alla freddezza calcolata di Queneau che non a quella di Perec. Non capivo, forse, che nel suo caso quella freddezza era un antidoto a contenuti bollenti. Quando ho letto Le cose, cinque o sei anni fa, mi è apparso chiarissimo.
In che misura Anna e Tom, i due protagonisti, sono uno specchio di Vincenzo Latronico e della sua vita di expat a Berlino?
Non sono certo che ne siano uno specchio; ne sono un moodboard, forse, composto da tanti piccoli frammenti rubati alla mia vita o a quella della mia compagna, di amiche e amici, colleghi, vicini di casa… Una cosa che mi ha reso molto felice è che le persone della mia vita a Berlino hanno tutte – chi più chi meno – rivisto la propria esperienza nella vita dei personaggi, senza però sentirsi saccheggiate. Il rischio c’era.
Secondo il suo parere, tutti gli expat della generazione di questo millennio sono simili ad Anna e Tom, oppure ognuno fa storia a sé?
Penso che non ci sia niente che siamo tutti; diciamo che un certo tipo di espatriato, di una certa generazione, e in un certo tipo di posti (Berlino può essere prossima a Londra o Lisbona, meno a Düsseldorf, meno ancora ad Addis Abeba) può sentirsi prossimo alla vita che descrivo. Ma ciò che vi è di forse più condivisibile non è tanto la questione della vita all’estero quanto quella dell’aver vissuto la digitalizzazione del mondo serbando qualche ricordo d’adolescenza del mondo di prima.
La ricerca continua della perfezione, incarnata da Anna e Tom, sembra destinata nel suo romanzo e rimanere quasi sempre insoddisfatta: Lei ritiene che questo senso di imperfezione sia destinato ad avvolgere tutte le nostre esistenze, e che sia una naturale conseguenza della società dei consumi, oppure nel finale si intravede un qualche piccolo raggio di luce, anche con l’aiuto del sole del Belpaese al quale i due fanno ritorno?
Penso che il problema – amplificato da un certo tipo di circolazione delle immagini nei social media – sia che finché si cerca un certo tipo di pienezza e di autenticità, aspettandosi che venga da qualcosa, non lo si troverà: non perché è sbagliata la cosa specifica da cui ce lo aspettiamo (e quindi occorre correre verso la prossima!) ma perché non è una cosa, o un’esperienza, o una forma di vita, a darla. Da questo punto di vista penso che i miei personaggi in Italia saranno infelici: ma non per colpa dell’Italia. Perché quello che cercano è non cercare: che è l’unica cosa che, cercando, non si trova.
Vincenzo Latronico
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Vincenzo Latronico
Vincenzo Latronico (Roma, 1984) ha pubblicato quattro romanzi con Bompiani; l’ultimo, Le Perfezioni (2022), ha vinto il premio Mondello ed è in corso di traduzione in diciassette paesi. Ha tradotto decine di romanzi, concentrandosi soprattutto sui classici, e sta curando per Bompiani una riedizione delle opere di George Orwell. Collabora con Il Post e insegna alla Scuola Holden. Vive a Berlino.