Le ragazze del Dakota




Recensione di Francesca Mogavero


Autore: Gwen Florio

Traduzione: Fabio Zucchella

Editore: Marsilio

Pagine: 316

Genere: Noir

Anno di pubblicazione: 2019

Sinossi. Per chi è stato reporter a Baltimora, o ha lavorato come corrispondente in posti come l’Afghanistan, è difficile calarsi nella realtà di una cittadina sperduta del Montana. Ma Lola Wicks è una giornalista volitiva e ficcanaso, e non ama i compromessi. Per lei, la ricerca della verità è un imperativo morale, sempre e comunque. Certo, la sua relazione con Charlie Laurendeau, lo sceriffo di origini native, potrebbe forse causare qualche problema di deontologia professionale (in paese, del resto, la storia è già sulla bocca di tutti). Proprio per questo, quando viene ritrovato il cadavere di Judith, una ragazza indiana scomparsa da alcuni mesi, la prudenza e il buonsenso consiglierebbero a Lola di non intromettersi nella vicenda. Ma il richiamo è irresistibile, e il suo istinto le impone di seguire la storia. Le circostanze, e gli indizi, la portano molto lontano, fino in North Dakota, in una delle tante boomtown sorte dopo la scoperta di nuovi giacimenti di petrolio. Lì, a quanto pare, la bellissima Judith si guadagnava da vivere come spogliarellista in uno dei tanti locali malfamati della città, intrattenendo gli operai addetti ai pozzi. Possibile che una ragazza intelligente come lei avesse scelto di vivere così? In questo nuovo Far West in cui la vita umana – specialmente quella delle donne – vale sempre meno e la legge, come minimo, si volta dall’altra parte, le vecchie regole non contano più, e quelle nuove devono essere ancora stabilite. Ma perché Judith è morta a poche miglia da casa, sola e assiderata? E che fine hanno fatto le ragazze sparite dalla riserva indiana? In questa sua prima avventura pubblicata in Italia, la giornalista-detective Lola Wicks è costretta a misurarsi con i pericoli della “nuova frontiera”, in un viaggio in cui affronta vento, neve e desolazione, attraversando lande solitarie e magnificamente selvagge. All’orizzonte, la promessa di un’estate che rinverdirà le praterie sconfinate di quella parte d’America che sta vivendo un nuovo boom petrolifero. Ma qual è lo scotto da pagare per questo improvviso benessere?

Recensione

Alla fine, tutto si riduce a cowboy contro indiani. E che siano passati quasi due secoli e lo skyline del leggendario Ovest si sia rifatto il trucco, poco importa.

Invasori contro autoctoni, petrolio contro natura, dio denaro contro spiriti sacri, carne biancacontro carne scura, come se in fondo fossimo tutti brandelli già macellati, pronti a essere masticati e digeriti con più o meno ferocia.

Judith, una ragazza della tribù dei Piedi Neri, è stata trovata morta in mezzo alla neve impietosa, una penna d’aquila come unico vanto e consolazione, un piccolo tatuaggio a marchiare la pelle giovane e bellissima; altre quattro coetanee sono sparite nel giro di un anno: un caso? Un destino già scritto per delle sbandate, magari stanche della riserva, del suo codice e dei suoi vincoli? O invece un filo rosso, macchiato di oro nero, puzzolente di polvere e di traffici, lega queste esistenze perdute?

Lola, ex corrispondente estera ora trasferitasi nel piccolo centro di Magpie, ne afferra saldamente un capo e lo segue tra i meandri di un labirinto di trivelle, pozzi e nuove economie, capaci di cambiare l’assetto di una città e non solo.

Il luogo in cui convergono i nodi è la versione contemporanea del Far West, in cui ogni più basso istinto è concesso e trova sfogo, tutto è in vendita, tutti hanno un prezzo e l’aria è satura di pollo fritto. Magari perché tra una vita e un’aletta abbrustolita, in questo nuovo Paese dei Balocchi Proibiti, non c’è poi molta differenza.

Indifferenza e diffidenza, barriere e coprifuoco, abbandono, degrado, facili profitti (basta chiudere gli occhi) e appetiti che si fanno incontenibili al calare del sole: benvenuti a Burnt Creek, dove smarrirsi è un attimo e ritrovarsi non è semplice né scontato.

Forte dei suoi trascorsi lavorativi, Lola si immerge nell’indagine, cerca testimoni e prende nota, perché ha il giornalismo nel DNA e qualcos’altro, che ancora non comprende, pulsa forte nel suo sangue. Lei che ha scritto sotto le bombe, alla luce delle candele per risparmiare energia elettrica, lei che ha conosciuto guerre sanguinose proclamate da Stati che restano a guardare da lontano, scopre che esistono conflitti silenziosi e quotidiani, che logorano, infangano e spezzano quanto una trincea. Dove cercare?

Di chi fidarsi?

Un’eroina sui generis schietta, alta, magra, senza forme ma con una massa di ricci e un carattere impossibili da pettinare e un adorabile cane con tre zampe, una storia tristemente realistica e uno stile scorrevole che cala il lettore nella vicenda, nelle splendide tradizioni native e nell’atmosfera calda e accogliente di famiglie disposte a tutto pur di riportare a casa le loro figlie, anche a danzare la vita laddove sembra che ci siano solo morte, gelo e orrore: ecco gli ingredienti de

Le ragazze del Dakota di Gwen Florio, un romanzo che svela le ombre e gli scarichi delle boomtown e di certe anime, fosche e terribili appena sotto la superficie.

A cura di Francesca Mogavero

 

Gwen Florio


Gwen Florio, scrittrice e giornalista candidata per tre volte al Premio Pulitzer, è stata corrispondente in alcune delle zone più pericolose del pianeta, come Afghanistan, Iraq e Somalia. Membro di International Thriller Writers e di Mystery Writers of America, per The Strand Magazine è tra le dieci autrici di polizieschi da leggere a tutti i costi. Vive a Missoula, nel Montana.

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