Recensione di Velia Speranza
Autore: Francesca Manfredi
Editore: La nave di Teseo
Genere: Narrativa
Pagine: 169
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Valentina ha dodici anni, una nonna religiosa e severa, una madre selvatica, bellissima e inafferrabile. Il padre è andato via da qualche tempo, ogni tanto torna a trovarla nella vecchia casa di campagna dove vivono le tre donne. In paese la chiamano “la casa cieca”, ha i muri spessi con poche finestre, le fondamenta forti, un impero di polvere che sembra durare da sempre. È l’estate del 1996, arrivata sommessa eppure improvvisamente decisiva: il corpo di Valentina cambia e tutto intorno sembra ribellarsi al segreto che lei sceglie di tenere per sé. La madre e la nonna diventano sempre più distanti ed enigmatiche e la casa stessa prende a vibrare e animarsi di strani presagi, al ritmo di un suo sangue e di misteri ulteriori. Mentre rane, zanzare e cavallette le si affollano attorno, Valentina esplora libera il terreno insidioso e stupefacente della sua adolescenza: scopre così la simbiosi dell’amicizia e il suo punto di rottura, la sessualità aspra e curiosa, l’energia femminile e mistica della natura, la possibilità di mentire per cancellare ogni colpa, per illudersi che tutto resista al tempo, che nulla cambi mai.
Recensione
A dodici anni, il mondo è un posto che non capisci. A dodici anni, qualsiasi certezza avevi, finisce per incrinarsi, inesorabilmente, ogni giorno un pò di più. Ti senti grande, ma non lo sei davvero, o almeno non quanto vorresti. Sei a metà, in parte ancora nell’infanzia, in parte sulla soglia di un’adolescenza confusa.
Valentina, dodici anni e una famiglia complicata, vive gli assaggi di questa prima adolescenza. In un’estate torrida, dispersa in una casa di campagna fuori da un paesino dai contorni sbiaditi, cerca di scendere a patti con la sua crescita. In verità non vorrebbe diventare grande, ma si trova inesorabilmente a non poter fare a meno di quello che sente. Così, mentre nasconde asciugamani sporchi di sangue, si ritrova alle prese con il suo primo amore, infantile ed ingenuo, senza pretese. Sospesa, si aggira fra i campi e le stanze della casa, in procinto di crollare.
A questo punto, nascono i primi drammi. L’amicizia tradita con Ilaria è una ferita che Valentina vive inconsapevolmente, ignara dei significati e delle conseguenze. Sa che le è appena accaduto qualcosa di brutto, ma non ne ha consapevolezza. Ha solo dodici anni, in fondo.
A complicare la sua vita, c’è la famiglia, una nonna conservatrice ed una madre che somiglia più ad una sorella. Valentina vive schiacciata fra queste due potenti figure matriarcali, in perenne lotta fra di loro, con un padre lontano per lavoro. Dovrebbe essere lei l’immatura di casa, ma a scalzarla e a toglierle questo diritto ci pensa la madre. Una donna-bambina, diventata genitore appena diciottenne, ancora non rassegnatasi al suo nuovo ruolo. Nonostante la soglia dei trent’anni agisce, parla come se fosse ancora la ragazzina che prometteva di andarsene da quella casa appena fosse stato possibile. La nonna, donna coriacea che porta avanti i campi e le bestie, tenta di mettere il freno alla figlia, di trasformarla nella persona che alla sua età dovrebbe ormai essere.
Forse per questo cerca disperatamente di plasmare Valentina, di assuefarla alle sue credenze, ai suoi riti che hanno il sapore della religione e della magia.
Gli scontri fra le due donne si trasformano in scene drammatiche, in monologhi che vorrebbero ammantarsi di filosofia, ma che nascondono solamente l’insoddisfazione reciproca. In un ambiente così soffocante, la voce di Valentina trova poco spazio, succube di decisioni ed azioni che nessuno si premura di spiegarle. Con le sue sole forze, deve sforzarsi di trovare la quadratura della sua strana famiglia, rimettendo insieme i pezzi delle cose che non vengono dette.
Proprio per questo, L’impero della polvere è un romanzo di crescita. A dover maturare non è solamente Valentina, giustificata dall’età, ma anche la madre, a tratti infantile quanto la sua stessa figlia. Per la nonna, invece, non c’è via di scampo.
L’età, le esperienze l’hanno indurita. È un blocco di granito che nessuno più può smussare. Un romanzo al femminile, considerando che i pochi personaggi maschili presenti sono quasi evanescenti.
Insieme alla famiglia matriarcale vive, però, un’altra persona, silente. La casa cieca, la vecchia abitazione con una facciata priva di finestre. È un essere vivo, pulsante, che catalizza gli umori dei suoi abitanti. Si trasforma insieme alle tre donne, mutando pelle, crepandosi ad ogni nuovo colpo dell’anima. La casa è il simbolo del passato, un passato sempre presente ma che ora sembra sgretolarsi a poco a poco, perché il passato non può vivere in eterno. Per demolirlo, ci vogliono attacchi biblici (letteralmente, considerando l’invasione delle cavallette), come un’ira divina che si abbatta sul peccato.
E questo è anche l’insegnamento di fondo: si può combattere con tutte le forze, nuotando contro corrente, nascondendo il vero, ma alla fine tutti noi cresciamo. Per quanto doloroso sia, non possiamo farne a meno.
Francesca Manfredi
Francesca Manfredi è nata a Reggio Emilia. Insegna presso la Scuola Holden di Torino, dove tiene corsi di narrazione. Negli anni ha pubblicato molti raccoti su Corriere della Sera e Linus. Nel 2017 pubblica la raccola Un buon posto dove stare, vincendo il Premio Campiello Opera Prima.
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