L’impossibile ritorno




Amélie Nothomb


Traduttore: Federica Di Lella

Editore: Voland

Collana: Amazzoni

Pagine: 120 p., Brossura

Anno edizione: 2025


Sinossi. Questa avventura “á la Thelma & Louise” diventa un’occasione non solo per elaborare il lutto del padre ma anche per capire la sé stessa di oggi.

«Siamo a Kyoto e camminiamo. Non abbiamo bisogno di altro.»

Amélie Nothomb torna nel paese amato, il Giappone, il luogo della sua infanzia e della disastrosa vergogna come impiegata (vedi Stupore e tremori). Questa volta è in compagnia dell’amica fotografa Pep Beni e durante i dieci giorni di viaggio sperimenta il kenshō (una sorta di estasi contemplativa), abbandona lo champagne per i whisky giapponesi, si immerge con una nuova prospettiva nei luoghi della gioventù. E se alcune parole giapponesi sono ormai sbiadite nella memoria, le sensazioni che i suoni, gli odori e la luce le provocano si riaffacciano come se non avesse mai lasciato il Giappone. 


 Recensione

di

Sabrina De Bastiani


– Sta’ al gioco – continua. – Sii presente per davvero. Tokyo 2023, vale la pena di non tirarsi indietro.

Non escludo il ritorno, cantava Franco Califano nel 2005. 

E nel 2025 Nothomb ne scrive l’impossibilità.

Sono vere entrambe le cose, dal momento che l’Autrice, in queste pagine,  ci coinvolge in  un sublime diario di viaggio che sancisce un suo ritorno al Giappone più ancora che in Giappone. Portandoci,  capitolo dopo capitolo, a comprendere come questo ritorno sia di fatto impossibile.

Sono le magie che sa fare Amélie Nothomb,  la sua narrazione in fieri, che la porta a scoprire se stessa contemporaneamente al lettore, a svelarsi e rivelarsi stupendosene lei stessa per prima. 

Racconta  di sè e alla fine riesce a dirci qualcosa anche di noi stessi.

Meditare nel giardino del Ryoan ji equivale a esplorare un’ipotesi di esistenza che forse non attueremo ma la cui semplice eventualità purifica l’anima.

Lo fa attraverso la sua scrittura inconfondibile, chirurgica senza essere fredda, misurata eppure smisuratamente potente, affilata ma accogliente, inclusiva – Quando non sai più se a parlare sei tu o l’altro – o nessuno – è un ottimo segno. Succede qualcosa che è un po’ come un’epifania –  emozionante e intima, intrinsecamente ironica. 

In una parola, una scrittura shiti, la sua, che si muove sulla via dello shibur.

(…) dell’estetica shiti, termine che potremmo tradurre con “aspra”. Questa asprezza ambisce all’invisibilità, allo scabro, a ciò che si inserisce nella natura senza essere appariscente. Portare una giacca da kimono marrone, mangiare un cachi allappante, bere il matcha in una ciotola senza il bordo liscio, invecchiare diventando rugosi come una corteccia, evitare i fronzoli e gli ornamenti sia nell’espressione che nelle azioni, questo significa seguire la via dello shibur: il massimo del buon gusto.

Il ritorno in Giappone , dunque. Un viaggio che forse non avrebbe affrontato Nothomb, non per la distanza da coprire,  ma per  una distanza, emotiva,  da scoprire ed eventualmente affrontare. 

Ben più che leggere, rileggere è un atto d’amore. Correre il rischio di rimettere alla prova un colpo di fulmine. 

Il ritorno in Giappone è un atto d’amore e come in una rilettura, prevede la consapevolezza del medesimo rischio, ah les coups de foudre,  da affrontare. 

Un viaggio che, forse, non avrebbe affrontato da sola, ma all’amica Pep Beni non si  può dire di no … e i motivi si scopriranno leggendo e conoscendo attraverso il racconto di Nothomb la personalità esplosiva di questa fotografa, dall’animo artistico, la determinazione leonina e la presenza scenica trascinante.

In questo viaggio “á la Thelma & Louise”, dunque, si diceva all’inizio, l’Autrice incontra se stessa pur non essendo da sola. 

Lo fa in maniera empirica e sensoriale  ritrovando il padre, nella mimica facciale –   L’ultima volta che lo avevo visto ero con lui. Mio padre aveva allora una cinquantina d’anni, la mia età. Ricordo la sua emozione mentre lo visitavamo insieme. Non diceva quasi niente ma sul suo viso si notavano dei crolli improvvisi, come se quella bellezza lo devastasse: spalancava gli occhi con aria di sofferenza. A quanto dicono, io ho un’espressione simile quando ammiro qualcosa –  nella voce – Non conosco miglior sistema mnemonico della voce di mio padre. Basta che abbia pronunciato una parola un’unica volta in qualsiasi lingua perché rimanga impressa in me in eterno.

Lo fa conservando  l’intimo sentire  –  La nostalgia è un sentimento crepuscolare, la mia si fa sempre più spazio dentro di me. Scopro la gioia di non condividerla –  pur condividendo spazi, cibi, percorsi, con Pep. 

Lo fa facendosi interprete e portavoce delle richieste e delle sensazioni dell’amica, custodendo le proprie  e affidandole alla  bimba piccola che è stata. Quest’ultima è insediata stabilmente nel profondo di me stessa.

E poi arriva il rientro, inebriato di bellezza anche il lettore sente il peso del distacco da un luogo che ha vissuto sulla carta, ma che si è insinuato sotto pelle e che lascia bombardati da emozioni senza fissa dimora.

Ultima notte. Mi sforzo di non pensare a niente, ma non è facile. Mi concentro sulla posizione sdraiata. la prossima notte la passerò in aereo, non potrò concedermi il lusso di stare stesa. Tutto pur di non lasciare spazio alla disperazione, alla sensazione di fallimento e di tradimento: ancora una volta sto per lasciare il Giappone. E in questo caso non posso accusare i miei genitori o il fato. Parto da adulta responsabile, ho scelto di non restare. Come potrò conciliare un simile comportamento con l’amore infinito che mi lega a questo paese?

La risposta è in ogni riga di questo impossibile ritorno. 

Impossibile infatti tornare, laddove un qualcosa di noi non si sia mai, davvero, allontanato. 

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Amélie Nothomb


è una scrittrice belga. Considerata a livello internazionale come una tra le penne più eclettiche e imprevedibili della letteratura contemporanea, con il romanzo Primo sangue, pubblicato in Italia da Voland, ha vinto il Premio Strega Europeo nel 2022.
Figlia di un ambasciatore membro di una delle famiglie più in vista del suo paese ha trascorso l’infanzia in Giappone, per poi trasferirsi in Cina al seguito del padre diplomatico.
I suoi libri hanno ormai conquistato milioni di lettori e fans appassionati. L’esordio a soli ventitré anni con Igiene dell’assassino, cui ha fatto seguito, ogni anno, un romanzo accolto con identico successo. Laureatasi, decide di ritornare a Tokyo per approfondire la conoscenza della lingua giapponese studiando la «langue tokyoïte des affaires»: assunta come traduttrice in una enorme azienda giapponese, vive un’esperienza durissima che racconta in seguito nel libro Stupore e tremori, che riceverà il Grand Prix du Roman dell’Académie française (1999) e da cui è stato tratto anche un film. Ricordiamo tra i suoi titoli, pubblicati in Italia da Voland, Né di Eva né di Adamo, Acido solforico, Causa di forza maggioreIl viaggio d’inverno, Una forma di vita, Barbablù, La nostalgia felice, Petronille, Colpisci il tuo cuore, SeteGli aerostatiPrimo sangue, Il libero delle sorelle, Psicopompo, L’impossibile ritorno.