Lo chiamavano Tyson




Recensione di Elvio Mac


Autore: Mauro Valentini

Editore: Armando Editore

Genere: Giallo

Pagine: 240

Anno di pubblicazione: 2021

Sinossi. Fausto Colasanti è un cinquantenne che sopravvive facendo piccoli lavori saltuari. È da tutti chiamato Tyson oltre che per l’aspetto, per la sua atavica incapacità a controllare la rabbia. Un compagno d’infanzia, oggi famoso chef, lo segnala per un lavoro al Commendatore Peroni, manager nel campo dell’edilizia. Egli dovrà però trovare un aiutante e per non perdere quella che sembra un’ottima e ultima occasione lavorativa, Tyson proporrà il suo amico Alcide Pennello. Tyson e Alcide saranno i custodi della villa del costruttore per 24 ore al giorno, completamente immersa nel verde del quartiere romano dell’Eur. L’edificio è dotato di un originale sistema antintrusione: una gabbia blindata che imprigiona i ladri permettendo ai custodi di avvertire la Polizia. Ma la durezza di Tyson e l’avventatezza di Pennello, insieme a un crescendo di azioni grottesche e imprevedibili da parte dei tanti altri protagonisti che ruotano attorno alla villa, scateneranno una serie di eventi sorprendenti e carichi di azioni avvincenti.

Recensione. La periferia romana è la cornice di questa storia dove molte sono le persone come Tyson, ma pochissime sono quelle che hanno avuto una seconda possibilità.

Tyson se la ritrova addosso una seconda occasione e questa volta l’unico modo che ha per coglierla è non usare la violenza, quella parte del suo carattere che non riesce mai a contenere e che lo ha sempre messo nei guai.

L’inizio è pieno di ripensamenti. Si avverte subito l’incertezza di Tyson quando deve cercare un socio per un lavoro di quattro mesi, le prime due scelte non sono disponibili e solo al terzo tentativo contatta Pennello, ma appena definisce la questione, capisce che forse ha sbagliato persona.

La stessa cosa succede allo chef Bruschetta, anche lui ha dei ripensamenti per aver affidato a Tyson un lavoro così importante. Tyson è colto e intelligente, ma alla fine emerge sempre l’animo rozzo e borgataro. Ma tra loro c’è un antico legame, di quelli che sono tali perché c’è una giovinezza condivisa.

Il racconto è narrato in terza persona, ci sono molti personaggi, quasi tutti popolano I quartieri poveri, dove è permeato un senso di degrado sociale che pare irreparabile. Tyson è il personaggio sempre cupo, l’eroe sbagliato, appassionato di  musica anni Settanta progressive rock, proviene da un quartiere fatto tutto di cemento e alienato dal contesto urbano, poi una parentesi di vita americana e il ritorno alle origini.

La musica ha un ruolo fondamentale, viene spesso usata nel racconto per descrivere le situazioni grottesche e i rapporti tra le persone. Alcuni capitoli sono inframezzati dai testi musicali che in qualche modo ricreano l’atmosfera degli anni 80, quando i protagonisti erano giovani.

Quasi tutti i personaggi non sono più ragazzi ma sono uomini di mezza età, che stanno ancora pensando di sbarcare il lunario in qualche modo, in realtà non hanno mai programmato il futuro. Continuano a vivere barcamenandosi tra lavoretti raccattati e faccende di raccomandazioni ben oltre il limite della legalità. I soprannomi dei protagonisti hanno tutti una spiegazione divertente. In alcuni casi il soprannome è più significativo del nome proprio.

L’immagine della gabbia ricorre più volte per rappresentare la vita. Una prigionia che non è solo in senso fisico, ma anche caratteriale per l’incapacità di cambiare ciò che siamo. Anche la gabbia dorata, rappresentata da Villa Azzurra, si trasforma in luogo dove regnano disordine e confusione dati dai comportamenti inopportuni degli uomini. Succede che la gabbia è sempre una pena, quasi come quella che veniva usata nel medioevo per esporre i colpevoli alla derisione pubblica.

Si parte a ritroso, ogni capitolo parla dei giorni prima, degli accadimenti che hanno portato Tyson e Pennello in quella situazione. Poi inesorabilmente ci si avvicina all’ultimo giorno in villa. Come sempre le deviazioni dai buoni propositi arrivano impreviste, dovute a impulsi, sentimenti e occasioni che l’essere umano si sente obbligato a cogliere. È un susseguirsi di piccoli eventi a creare una catena che imprigiona. Un alluce dolente, un litigio tra fidanzati, un incrocio casuale tra ladri e vigilanti e tutto andrà nella maniera sbagliata.

La gabbia diventa la protagonista assoluta, tutti vogliono entrare a Villa Azzurra e tutti perderanno qualcosa. È un crescendo di violenza che sfocia dal nulla ma è inarrestabile, fino all’inevitabile resa aspettando di consegnarsi al destino.

Il finale mi è piaciuto perché è vero, non ci sono scappatoie, non ci sono regali dell’ultimo momento, la vita è così. Le persone pensano sempre di poter gestire la situazione quando si fa complicata, invece la situazione sfugge di mano e ci si rende conto di aver sbagliato un’altra volta.

A cura di Elvio Mac

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Mauro Valentini


Mauro Valentini: giornalista e scrittore. Nel 2020 con Armando Editore è stato tra i primi dieci libri più venduti in Italia con: Mio figlio Marco – La verità sul caso Vannini scritto con Marina Conte. Ha pubblicato tra gli altri Mirella Gregori – Cronaca di una scomparsa e Marta Russo – Il Mistero della Sapienza. Con quest’opera ha vinto il premio letterario Costa d’Amalfi 2017 e si è classificato secondo al Premio Piersanti Mattarella 2019. Lo chiamavano Tyson è il suo primo romanzo.

 

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