Recensione di Laura Salvadori
Autore: Jean-Christophe Grangé
Traduzione: Doriana Comerlati
Editore: Garzanti
Genere: thriller
Pagine: 336
Anno di pubblicazione: 2020
Sinossi. Nel cuore della Foresta nera, dove gli alberi fitti formano un dedalo inespugnabile, il buio non ha confini. È un buio che non lascia scampo e non perdona i passi falsi, come quelli commessi dal giovane Jürgen von Geyersberg, rampollo di una nobile e stimata dinastia. Quando il suo corpo viene rinvenuto con evidenti segni di mutilazione, è subito chiaro che si tratta di un efferato omicidio di cui può occuparsi una sola persona: il detective Pierre Niémans, l’uomo perfetto per risolvere casi spinosi che richiedono sangue freddo e riservatezza in ogni fase dell’indagine. Perché è importante che non trapeli alcun dettaglio e si impedisca alla stampa di ricamare sopra le vicende di una famiglia tanto rispettabile. Con l’aiuto dell’allieva Ivana Bogdanović e del comandante Kleinert, capo delle forze dell’ordine tedesche, Niémans si mette sulle tracce degli assassini, individuando, grazie al suo intuito infallibile, una valida pista da seguire: è quella della pirsch, un misterioso rituale venatorio che sembra risalire ai Cacciatori neri, un gruppo di criminali senza scrupoli assoldati da Himmler durante la seconda guerra mondiale per rintracciare ed eliminare gli ebrei. Ma più il tempo passa, più questa pista, all’inizio tanto promettente, si perde in sentieri secondari che sviano la polizia rischiando di far naufragare le indagini. Ma una nuova battuta di caccia sta per cominciare. Per arrivare alla verità, a Niémans e ai suoi non resta che stare al gioco e trasformarsi in predatori, prima che siano loro a diventare prede. Jean-Christophe Grangé si conferma uno degli autori di thriller più amati dai lettori. I suoi libri, tradotti in trenta lingue, occupano sempre i primi posti delle classifiche internazionali e il suo ultimo successo non fa eccezione. Con L’ultima caccia, Grangé torna alle atmosfere del romanzo che gli ha regalato la notorietà, I fiumi di porpora, e tesse una storia ricca di suspense e colpi di scena, dove gli orrori del passato sono la chiave per risolvere gli enigmi del presente.
Recensione. Che Jean-Christophe Grangé fosse un grandissimo scrittore mi era ben chiaro. Ho letto diversi romanzi di questo autore e ogni volta sono rimasta enormemente colpita dalla sua sconfinata capacità di creare trame ad alto effetto, originali, di ampissimo respiro, realistiche e descritte con una meticolosità e una maestria davvero impressionante.
Ogni suo romanzo è un romanzo autoconclusivo, una storia a sé. E in ogni romanzo appaiono nuovi personaggi, così vivi e reali da sembrare veri. Personalmente trovo che la fantasia e l’immaginazione di Grangé abitino in un pozzo senza fondo, che scende, scende in profondità e non trova mai la fine. Grangé getta il secchio e quando lo tira su è sempre colmo di storie, di personaggi, di intrighi e di colpi di scena incredibili!
Bene, appurato che adoro questo autore, veniamo a questa sua ultima fatica.
In “L’ultima caccia” abbiamo a che fare con un poliziotto che ha visto tempi migliori: Pierre Niémans, oggi poco più che l’ombra di ciò che è stato in passato, ossia il temibile capo della Polizia Criminale, letale, traboccante di energia, servitore fedele di una giustizia immediata, che perseguiva a tutti i costi. Violento, imprevedibile, irrispettoso della legge. Un vincitore, per il quale il fine giustifica i mezzi.
Un incidente lo ha completamente cambiato. Niémans ha lottato contro la morte ma la sua brutalità di un tempo è stata come risucchiata dal coma che ne è seguito. Messo ai margini, ha ripiegato per qualche anno nell’insegnamento alle matricole, per poi essere riciclato dentro ad una mansione nebulosa e ambigua, quella di essere d’aiuto nei casi difficili.
Niéman si trova nella scomoda posizione di dover dimostrare di valere ancora qualcosa quando viene chiamato a risolvere un caso assai sconcertante, che coinvolge una potentissima famiglia tedesca.
Insieme a lui c’è “la piccola slava” Ivana Bogdanovic, traboccante di energia, risoluta, sopravvissuta alla guerra dei Balcani, ad un padre infanticida, al crack negli scantinati, è stata allieva di Niémans e ha verso di lui una adorazione totale.
Una coppia, questa, davvero disegnata con grande genialità. Due sopravvissuti, che hanno nutrito la violenza della loro vita allo scopo di consegnarla ad un ideale di giustizia fortissimo. Soli, con un passato cattivo che torna a sprazzi a ricordare loro che se non vogliono annegare devono smettere di annaspare ma nuotare con bracciate possenti ed instancabili.
Niémans e Ivana sono entrambi personaggi enigmatici. Grangé si diverte a gettare ai nostri piedi minuscoli indizi della loro vita passata senza mai approfondire. Sappiamo di dover sapere qualcosa su di loro, qualcosa di succoso e di determinante per poterli conoscere davvero. Ma questo qualcosa ci viene negato. E questo non fa che acuire fino al parossismo la nostra curiosità.
E se l’autore è avaro di notizie sul passato dei due protagonisti, lo è molto meno con la loro caratterizzazione. Il lettore avrà ampio accesso all’interiorità di entrambi. I loro pensieri, le loro sensazioni, saranno sempre ben descritte, consentendoci di entrare in sintonia con loro, una sintonia che tende alla simbiosi, perché per tutta la durata della lettura entreremo nel profondo del loro intimo in modo quasi doloroso. E li ameremo, inevitabilmente. Vorremo consolarli, incoraggiarli, tendere loro una mano. Per non vederli soffrire, o fallire.
L’indagine coinvolgerà il mondo della caccia, un mondo misterioso, fatto di tradizioni a me sconosciute, riti e rituali che si fondono con il mistero della natura, con il lato selvaggio dell’uomo e con il suo atavico bisogno di controllo sulla foresta. Una sfida, tra l’uomo e l’animale che travalica la violenza e la morte a va a confondersi con una sorprendente forma di rispetto della fauna e del suo equilibrio.
Questa è la caccia per la famiglia Geyersberg, una tradizione che sembra sovrastare tutto e tutti. Una visione che ho stentato ad accettare, visto che per me la caccia ha sempre avuto una accezione negativa, quella di una lotta impari tra l’uomo armato e l’animale indifeso.
Il mondo della caccia è stata una scoperta, per me, che, appunto, non ne conoscevo che questa visione sanguinaria e violenta. Addentrarmi nella conoscenza delle tecniche di caccia, iniziare a comprendere il fascino che può esercitare sugli uomini, accettare che l’uomo conserva un lato selvaggio e che spesso deve ascoltare e assecondare questa sua natura, sono state scoperte incredibili per me.
Con queste premesse, il romanzo scivola via (anche troppo in fretta) verso la soluzione del caso. Le sorprese saranno tante e tutte inaspettate. Non mi aspettavo niente di ciò che poi ho scoperto. Genialità, senso della narrazione, crudezza mescolata a sentimenti messi a nudo con coraggio e cuore, empatia, orrore. Tutti questi ingredienti sono mescolati con grandissimo talento a confezionare un romanzo davvero bellissimo, dove niente è fuori posto e dove anche il sangue e la morte hanno un fascino pericoloso e suadente che è capace di ipnotizzarti ed irretirti completamente. Una scrittura semplice ma ricercata, che ricama i personaggi fino a farne persone, che riesce a descrivere anche un semplice respiro, che getta il lettore nel vortice della storia, con arguzia, incanto e senza sforzo alcuno.
“L’ultima caccia” conferma, se mai ce ne fosse bisogno, l’enorme talento di Jean-Christophe Grangé.
Un romanzo ipnotico, affascinante, dove l’uomo è chiamato a confessare i suoi istinti primordiali, a proteggerli e a farne ragione di vita. Una preda e un cacciatore, i cui ruoli si confondono. Ma che da soli disegnano, inevitabilmente, la danza della vita.
Jean-Christophe Grangé
è autore di romanzi di grandissimo successo che hanno ampliato i confini del thriller tradizionale. I suoi libri, tradotti in tutto il mondo e venduti in milioni di copie, sono pubblicati in Italia da Garzanti. Spesso sono stati portati sul grande schermo, e I fiumi di porpora ha vinto il premio Grinzane Cinema 2007 per il miglior libro da cui è stato tratto un film.
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