Recensione di Daniel De Lost
Autore: Luigi La Rosa
Editore: Piemme
Genere: Biografia romanzata
Pagine: 434
Anno di pubblicazione: 2020
Sinossi. Parigi, 1863. Gustave Caillebotte è ancora un ragazzo quando, nel salotto della ricca casa di famiglia, sente parlare, con toni di ferma condanna, dell’esposizione dei pittori Refusés e in particolar modo dell’opera di un certo Édouard Manet. La visione di quel quadro, “Le déjeuner sur l’herbe”, al quale si avvicina di nascosto e mosso da un’oscura fame, segna il nascere della passione contrastata che brucerà dentro fino a divorargli l’anima, pervadendo i giorni della sua breve esistenza. Gustave disubbidisce alle direttive paterne, animato dal desiderio di imparare a dipingere e far suoi quei tratti così inusuali, così nuovi, esperimenti di colore che sono autentici oltraggi alla tradizione e che indicano l’origine di una rivolta: il movimento che qualcuno definirà “Impressionismo”. Una simile passione, agli occhi del padre Martial, uomo severo ma non privo di curiosità, non può che essere un passatempo. Per la madre Céleste, creatura travagliata e complessa, qualcosa di inadatto a un uomo. Il conflitto tra la sensibilità intima del pittore e il ruolo che la società borghese dell’epoca impone attraverserà come un frastagliato filo rosso l’intera vita del giovane Caillebotte, nutrendo la sua arte e l’amore per i corpi maschili, oggetto di molte delle sue tele più belle. Questo dissidio tra i propri desideri segreti e le costrizioni esterne si insinua in ogni pennellata, rendendo i suoi lavori intensi e modernissimi. Ma la parabola di Gustave Caillebotte racchiude molto di più: oltre a progettare velieri fu uno dei più importanti collezionisti del suo tempo, il mecenate generoso di artisti immensi come Monet, Renoir, Degas, Morisot e parecchi altri, che devono a lui più di quanto la cultura ufficiale abbia tramandato. Ed è qui, nelle pagine di Luigi La Rosa, che vediamo scorrere la sua storia, un’epica sofferta e toccante che è già un romanzo.
Recensione
Ci sono artisti il cui successo sembra consumarsi in un’unica, repentina e avvolgente esplosione, altri invece dimorano in una minuscola fiammella che brama di essere alimentata, ma che lo sferzare dei gelidi venti invernali ne minaccia costantemente l’estinzione. Quanti di questi artisti rischiano la terribile caduta nel baratro del dimenticatoio; sono gli artisti che, purtroppo per macabri giochi della sorte, ricevono i legittimi riconoscimenti solo dopo la morte; sono gli artisti dalle cui tele la polvere dev’essere scossa, gli artisti a cui si deve rendere giustizia.
È proprio questo l’obiettivo di Luigi La Rosa ne L’uomo senza inverno. Storia di un genio dimenticato dell’impressionismo: risollevare dalle ombre un certo Gustave Caillebotte (1848-1894), mecenate e pittore, che, infondendo nelle sue tele l’attrazione per la grande invenzione che a fine Ottocento fu la fotografia, attraverso un mélange di stilemi impressionistici e accademici filtrò scenari e temi tratti dal proprio vissuto quotidiano e dalla contemporaneità parigina attraverso la propria sensibilità, interpretandoli in maniera squisitamente soggettiva.
Eppure, il percorso di Caillebotte si prospettava fin dal principio in salita: a partire da Les Raboteurs de Parquet, una delle prime raffigurazioni di scene di vita della classe operaia, di quei tanto celebrati corpi maschili, i “corpi dei piallatori piegati su dune di trucioli e segatura.” Una tela presentata al Salon nel 1876 e freddamente rifiutata dalla commissione esaminatrice, la quale era rimasta scioccata dalla cruda autenticità, dalla presunta volgarità della tela stessa.
Sarà il preziosissimo aiuto di Pierre-Auguste Renoir, a permettere, appena un anno dopo quel terribile rifiuto, che quella tela e il suo artista non restassero l’ennesimo fuoco di paglia, garantendo loro la chiave d’accesso alla mostra, quindi al circolo, degli indipendenti artisti impressionisti.
Da quel momento, la vita di Gustave è attraversata da ondate di diversa natura: dalla bruciante passione per gli amanti sfuggenti, dai corpi sensuali, ispiratori di alcune opere e tramite perfetto nell’instancabile ricerca della vera bellezza, alle amicizie, spesso tramutate in rivalità, gelosie, nei confronti dei compagni impressionisti.
Ma è soprattutto l’acceso conflitto con il padre, il severo Martial, ad animare la ferrea volontà di Gustave di darsi completamente all’arte; quell’arte che, proprio per Martial non è altro che un passatempo per i perdigiorno. Come spesso inevitabilmente accade, anche per Gustave il conflitto tra la passione e la sensibilità che lo spingono a dipingere e il ruolo che la società borghese e conformista dell’epoca gli impone colpisce la sua intera esistenza, in cui dunque i desideri latenti, proibiti, e le immancabili imposizioni sociali danno vita alla battaglia che infuria tra le pennellate del pittore e che rende i suoi lavori così passionali e moderni.
L’opera di Luigi La Rosa, per quanto, per sua stessa ammissione nelle prime pagine, romanzata, è una raffinata e accurata ricerca stilistica e storica; la stessa che ha appunto contraddistinto la produzione di Gustave Caillebotte, al quale finalmente l’autore siciliano rende giustizia. Una storia delicata e spietata al tempo stesso, raccontata con una prosa elegante, ricercata e ricca di descrizioni dettagliate che trasudano arte, ovvero la seconda vera protagonista del romanzo. È l’elogio sofferto e a tratti commovente di un genio solitario, introverso, nato e cresciuto nell’agio di una famiglia altoborghese, ma il cui unico scopo è fare parte dell’innovatore movimento impressionista, di cui fu appunto munifico mecenate e grande collezionista, a tal punto che, nel testamento redatto a soli 28 anni, concede generosamente in eredità alla Francia una sessantina di opere dei suoi maggiori esponenti. Quella preziosa donazione che, quasi un secolo dopo la sua morte, andrà a costituire il fulcro del prestigioso Musée d’Orsay.
L’uomo senza inverno, quasi con il respiro di un’opera teatrale, è suddiviso in tre atti: Primavera, che comprende il periodo 1863-1875, Estate, che abbraccia il periodo 1875-1882 e infine Autunno, per il periodo 1882-1894. Strano, manca proprio l’inverno! La Rosa ci narra la vita di un’artista poliedrico e virtuoso, un’anima sensibile, ma anche di un intero movimento, l’Impressionismo, che ha segnato non solo un’era decisiva della storia dell’arte, ma anche e soprattutto lo scenario grondante cultura e vita scintillante della Parigi della Belle Époque.
Luigi La Rosa
Luigi La Rosa, nato a Messina nel 1974, si divide tra l’Italia e Parigi. Collaboratore di quotidiani e riviste, docente di scrittura creativa, per Rizzoli-Bur ha curato i volumi Pensieri di Natale, Pensieri erotici, L’anno che verrà e L’alfabeto dell’amore. Un suo racconto è nell’antologia Quello che c’è tra di noi – storie d’amore omosessuale, Manni Editori. È autore di Solo a Parigi e non altrove – una guida sentimentale e Quel nome è amore, usciti entrambi per Ad est dell’Equatore. Per Touring Club ha curato la sezione letteraria e artistica dell’ultima guida verde di Parigi.
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