A cura di Ilaria Bagnati
Autore: Massimo Polidoro
Editore: Edizioni Piemme
Pagine: 166
Genere: Narrativa
Data di pubblicazione: 2019
Sinossi. Sola e con una figlia, Mariuccia accetta di fare domanda come infermiera all’ospedale psichiatrico di Trieste. è magliaia, non sa nulla di malati psichiatrici, ma decide comunque di provarci. Quello è un lavoro sicuro, e Mariuccia ha una disperata necessità di mantenersi. Ma il mondo che gli si spalanca di fronte è completamente diverso da ciò che immaginava. Gli infermieri sono secondini, devono pensare a spazzare, alle pulizie, non certo prendersi cura dei pazienti. A loro si dedica la signora Clelia, la terribile caporeparto dagli occhi gelidi, mentre il medico è una presenza invisibile e distante. A Mariuccia si presenta una quotidianità fatta di trattamenti inumani, di legacci, camicie di forza, bagni ghiacciati, elettroshock, gabbie di contenzione, stanzini di punizione, e guai a chi fiata. Tutto le appare assurdo, anche se giorno dopo giorno vi si adatta come fosse normale: dopotutto è solo un’infermiera e deve obbedire agli ordini. C’è anche una ragazza tra quei muri. Una ragazzina senza nome e senza diritti, come tutti lì dentro. Mariuccia scoprirà solo dopo diverse settimane che si chiama Marta.
Recensione
Come anticipato questa volta vi parlerò di Basaglia, della sua rivoluzione, della legge 180, di come era l’ospedale psichiatrico prima del suo arrivo e di cosa è successo poi. Per affrontare questi argomenti ho deciso di fare riferimento a Marta che aspetta l’alba, un libro toccante, tratto da una storia vera, che racconta la vita di due donne, Marta e Mariuccia che per motivi diversi si sono incontrate nel manicomio di San Giovanni a Trieste. Marta è solo una ragazzina quando viene internata nel manicomio, il motivo è un’ubriacatura che il cognato non le perdona anche se è dovuta alla perdita prematura dei genitori.
Marta non capisce perché viene rinchiusa lì dentro, lei non è pazza così ribella con tutte le sue forze ma ciò non fa che peggiorare la situazione attirando le ire delle infermiere e dei dottori che la rinchiudono in uno stanzino per giorni, le producono uno shock anafilattico, le fanno l’elettroshock, la legano al letto. Alla fine Marta ovviamente non è più la stessa, ma chi lo sarebbe? Mariuccia ha alle spalle un matrimonio e una figlia da accudire, il suo lavoro da magliaia non le basta così, come le hanno consigliato, fa domanda al manicomio di San Giovanni come infermiera. Mariuccia non ha studiato da infermiera e non conosce il mestiere ma non importa perché all’inizio dovrà solo pulire e controllare le pazienti. In quel luogo Mariuccia è spettatrice e purtroppo a volte anche complice delle più atroci torture che si possono compiere ad un essere umano.
Le pazienti vengono imboccate a forza, le sudicie (così vengono chiamate quelle pazienti che non riescono più a lavarsi da sole) vengono lavate con una scopa e sciacquate con la gomma da giardino, molte vengono legate, picchiate, rinchiuse in uno stanzino o in una gabbia, subiscono l’elettroshock e nei casi in cui si pensa non ci sia “rimedio” alcune vengono addirittura lobotomizzate. Mariuccia si chiede spesso se tutto ciò sia giusto perché quelle che vede le sembrano più delle torture che delle cure ma ripete a se stessa che lei non ha studiato e che medici e infermieri sanno quello che fanno. Mariuccia, suo malgrado, fa anche conoscenza del Ralli che nel 1927 diventa un istituto pedagogico provinciale, ossia il manicomio dei bambini. “Le norme prevedevano che lì entrassero bambini “gravati da anomalie del carattere e dell’intelligenza”, ma in realtà la gran parte degli internati erano bambini sani, solo molto sfortunati”.
Molti provengono da famiglie povere o “moralmente degradate”, oppure sono orfani, altri hanno danni cerebrali seri dalla nascita. “C’erano bambini che tremavano, non per il freddo ma per un tremore che non li lasciava mai, nemmeno nel sonno”, così Mariuccia si ritrova a piangere con loro, per loro. Nel 1971, per fortuna le cose iniziano a cambiare, arriva Basaglia e diventa il nuovo direttore dell’ospedale psichiatrico di Trieste. Basaglia porta con sé il vento della rivoluzione dopo aver lavorato nei manicomi di Gorizia e Parma.
Tra i numerosi cambiamenti, non accettati di buon grado da tutto il personale, sono previsti l’apertura dei reparti e la conoscenza e il dialogo tra infermiere, medici e pazienti. “In quel momento qualcosa scattò dentro di me. Guardavo le matte e già mi vergognavo di chiamarle così. Più le osservavo e più mi rendevo conto che non stavo guardando dei mobili, delle cose inanimate. Quelle erano persone, avevano avuto sentimenti, passioni, desideri… forse le avevano ancora. Stava a me scoprirlo”.
Il 13 maggio 1978 il parlamento approva la riforma psichiatrica, nota come “legge 180” anche sei mesi dopo viene inserita negli articoli 33, 34, 35 e 64 della legge di riforma sanitaria n.833. Il testo della Legge Basaglia prevedeva una nuova organizzazione dell’assistenza psichiatrica fondata sull’idea di dover impostare dei rapporti umani con il personale e con tutta la società, in modo da migliorare la qualità della vita dei malati.
La critica più decisa alla 180 riguarda il fatto di non aver pianificato in modo accurato le conseguenze della chiusura degli istituti psichiatrici. La norma ha infatti affidato alle Regioni l`attuazione dei provvedimenti in materia di salute mentale, generando una difformità di trattamento. Mentre alcune sono state tempestive nell`attuare la normativa, altre hanno tardato, producendo nel tempo effetti su qualità ed efficacia dell`assistenza. Attualmente, i manicomi sono stati del tutto sostituiti da centri di salute mentale, strutture residenziali psichiatriche, residenze per le misure di sicurezza (Rems) o progetti di sostegno alla persona e assistenza domiciliare.
In ultima analisi si può affermare che prima della Legge Basaglia i malati venivano segregati ed emarginati, oggi invece, la riforma della psichiatria ha, fortunatamente, ridato dignità e diritti alle persone fornendo loro un’assistenza orientata all’integrazione nella società. Tornando al libro, voglio consigliarne la lettura perché l’autore ha riportato la storia di Mariuccia e del manicomio di San Giovanni in maniera molto chiara e toccante.
Mi è piaciuto molto come Polidoro parla di Mariuccia, della sua vita personale, del suo lavoro, dei suoi dubbi prima dell’arrivo di Basaglia e di come la rivoluzione avvenuta all’interno del manicomio sia andata di pari passo con quella che è avvenuta in Mariuccia nel suo modo di trattare e vedere le pazienti.
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A cura di Ilaria Bagnati
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Massimo Polidoro
Massimo Polidoro è scrittore, giornalista e Segretario del CICAP, insegna Comunicazione scientifica ai dottorandi dell’Università di Padova e in passato è stato docente di Metodo scientifico e Psicologia dell’insolito all’Università di Milano-Bicocca. Allievo di James Randi, è Fellow del Center for Skeptical Inquiry (CSI) e autore di 50 libri e centinaia di articoli pubblicati su Focus e altre testate. Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle è il suo libro più recente. Presenza fissa a Superquark, è spesso autore e conduttore di programmi di divulgazione scientifica.
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