I miei vent’anni all’FBI a caccia di serial killer
Recensione di Loredana Cescutti
Autore: Robert K. Ressler e Tom Shachtam
Traduzione: Annamaria Biavasco e Valentina Guani
Editore: Longanesi
Prefazione: Ilaria Tuti
Genere: Docuthriller – Saggio
Pagine: 328 p., R
Anno di pubblicazione: 2021
(Prima pubblicazione 1992 – Whoever Fights Monsters)
Sinossi. Per vent’anni è entrato nella mente dei più pericolosi serial killer d’America. Ha studiato i loro comportamenti. Li ha classificati. E ha salvato centinaia di vite. Questo è quello che ha scoperto.
«Una delle domande più frequenti rivolta a chi ama i romanzi di genere thriller, noir e poliziesco – chi ama leggerli, ma anche chi ama scriverli – è: “Che cosa ti attrae in queste storie spesso così efferate?” La risposta può essere contenuta in poche lettere: la verità. La verità dei tratti che l’essere umano può assumere, quelli di un mostro che preferiremmo concepire come alieno, diverso da tutto ciò che ci definisce e che contribuisce a delimitare lo spazio – fisico, psicologico, emotivo – in cui è sicuro e appagante muoverci. Ma il mostro è davvero così lontano da ciascuno di noi? Il titolo di questo libro, che è un memoir, un saggio, un’avventura avvincente, sembra quasi un invito a rispondere affermativamente, portando il focus sul termine, insistendo su un immaginario condiviso e consolidato. Tuttavia, pagina dopo pagina, questa immagine si rafforza ma anche si sgretola, si arricchisce di nuove tinte per poi sbiadire. Così, fino alla fine. Cercare. Ecco un’altra parola che sovviene dopo la prima che ho citato, verità. Più spesso, a rigor di logica, la precede. Cerca chi…
“Chi commette reati contro la persona senza ricavarne alcun beneficio economico appartiene a una categoria molto diversa rispetto ai criminali che agiscono per denaro. Assassini, stupratori e pedofili non inseguono un guadagno monetario, ma un appagamento emotivo che, pur nella sua perversione, non è incomprensibile.”
Recensione
Leggere questo libro è stato un viaggio ma, non come quello a cui noi ci riferiamo quando prendiamo in mano un romanzo qualsiasi al quale attribuiamo un valore importantissimo, quello della libertà di muoverci fra le pagine per poter poi sognare, vivere con la fantasia di mondi e persone, indipendentemente dal genere a cui dedichiamo più tempo.
Affrontare “Monsters” è stato come tuffarsi dentro un buco nero, nel quale mi sono sentita risucchiata a tal punto che da sola, ho dovuto pormi dei limiti nel tempo dedicato alla sua lettura e, degli attimi in cui tenerlo proprio a distanza. Questo perché, come afferma e ricorda spesso Ressler fra le sue pagine, questi “mostri” riescono a rendersi affascinanti e irresistibili e, anche se hai le armi della conoscenza e dell’esperienza di cui erano in possesso lui e altri suoi colleghi (cosa che io non ho), il rischio di cadere nella loro rete e di farteli entrare in testa è altissimo.
E la cosa peggiore, dopo, sarà riuscire a prenderne le distanze e farli uscire dalla tua mente, dai tuoi pensieri, addirittura dalle tue parole, tant’è che io ancora ne parlo perché in questo modo, mi pare di alleggerirmi anche se così facendo, in un certo modo trasferisco il male ad altri.
“Quantico aveva visto la luce nel 1972 come accademia di formazione per agenti già in servizio nell’FBI e nella polizia e per neoassunti… Il NCAVC, insomma, divenne la branca di Quantico che si occupava di formazione e ricerca nelle scienze comportamentali.”
Per Ressler tutto iniziò così, dopo un’esperienza importante nelle investigazioni militari, e una curiosità intrinseca della persona stessa, che ha sempre avuto il desiderio di andare più in là di quello che si vede, per tentare di capire, di dare risposte, di ampliare il modo di vedere per poter così, riuscire ad avere una visuale d’insieme più chiara.
Persone, perché anche se non sembra, anche le figure più negative della storia erano comunque esseri umani, che hanno compiuto le peggiori nefandezze e che se non fermati, mai sarebbero riusciti a mettersi uno stop da soli, semplicemente perché la loro testa funzionava e funziona in modo molto diverso rispetto alla nostra.
Allo stesso modo, esseri umani che bisognava studiare per capire, per cercare di guardare dall’interno, nel tentativo di entrarne addirittura in sintonia ed empatia con l’intento ultimo di trovare una chiave, al fine di leggere la loro anima, sin tanto da rischiare di farsi risucchiare, che era il rischio più grosso.
Una fascinazione borderline: tanto mi danno, estremamente tanto potrebbero togliermi.
“… ero caduto vittima della “sindrome di Stoccolma”, mi ero identificato con il mio sequestratore, gli avevo concesso la mia fiducia. Eppure, avrei dovuto essere il primo a sapere che c’era quel rischio… Ero sato troppo arrogante… Mi ripromisi di non farlo mai più.”
Anche i migliori, i più preparati, si sono resi conto di essere deboli e impreparati, talvolta inferiori, rispetto al male assoluto, quello che non può in nessun modo essere fermato, se non con la preclusione della libertà e dei contati sociali e, come avveniva a suo tempo in qualche stato, anche se Robert K. Ressler fino all’ultimo non ha mai approvato il metodo, anche con la pena di morte.
Alcuni colleghi hanno chiesto di poter rinunciare a questo tipo di impegno nella ricerca, altri sono caduti inconsapevolmente fra le fauci mentali di questi “mostri”, altri ancora, come l’autore del libro, hanno subito disturbi fisici importanti, dovuti allo stresso di mantenere difese alte al massimo per la paura di cadere vittime mentali dei serial killer incontrati.
“Da allora avrei interrogato personalmente oltre cento dei più pericolosi criminali rinchiusi nelle carceri degli Stati Uniti, e mi sarei dedicato, nel contempo, all’addestramento di quanti avrebbero in seguito portato avanti il lavoro…”
Fra gli innumerevoli personaggi spaventosi che nella sua carriera di profiler, ha avuto modo di incontrare Robert K. Ressler, ne cito alcuni fra i più conosciuti per le azioni immonde compiute:
Richard Trenton Chase (il vampiro di Sacramento), William Heirens, David Berkowitz (il “Figlio di Sam”), Charles Manson, Sirhan Sirhan, Charles Whitman, Richard Speck, Harvey Murray Glatman, John Wayne Gacy, Ted Bundy, Edmund Emil Kemper, John Linley Frazier, Herbert Mullin, Jeffrey Dahmer.
Quest’ultimo da consulente per la difesa, a fine carriera, quando comunque era ancora spinto dal dare risposta alla domanda che lo ha accompagnato in tutta la sua carriera: “Perché?”.
Qui sotto in foto potete trovare alcuni dei sopracitati, fra gli uomini più temibili che hanno tenuto in scacco e hanno fatto vivere nel terrore gli Stati Uniti per molto tempo.
“… occorre che il detenuto prenda sul serio chi conduce il colloquio, stabilisca con lui un rapporto di fiducia e si senta libero di parlare… Perché ciò avvenga, bisogna guadagnarsi il suo rispetto e quindi non lasciar trapelare i sentimenti scatenati dall’efferatezza delle azioni che il detenuto ha commesso.”
I colloqui erano fondati su solidi principi, per cui l’intervistato doveva comunque essere consenziente e collaborante, non doveva in altre parole essere costretto o preso in giro, si doveva percepire una sorte di “rispetto”, anche perché da persone di questa risma, altrimenti non si sarebbe riusciti ad ottenere nulla. Se l’intervistatore si fosse dimostrato giudicante invece che sinceramente interessato, l’intervistato avrebbe perso di interesse e a quel punto si sarebbe potuto tranquillamente chiudere il rapporto, poiché il serial killer non avrebbe più collaborato.
In tutto questo percorso di interviste, Ressler ha potuto stilare un profilo molto dettagliato, per circoscrivere quali siano, in realtà le condizioni che possono condurre ad attraversare, dapprimainconsapevolmente, per poi trovarne sempre più godimento, la linea netta di demarcazione fra normalità e aberrazione.
Tutti potremmo essere dei potenziali sociopatici e psicopatici in tenerissima età, ma è la nostra esperienza di vita nell’infanzia che ci forma e ci renderà ciò che poi saremo in età adulta.
“… nessuno si trasforma di colpo, a trentacinque anni, da persona perfettamente normale in violento criminale. I comportamenti che preludono all’esplosione della violenza omicida esistono fin dall’infanzia e si sviluppano in un arco di tempo piuttosto lungo.”
Infatti, si rese conto che è il tipo di infanzia affrontata e la famiglia che condizionano la nostra formazione psichica, il nostro autocontrollo, la nostra maturazione e il nostro sano sviluppo armonico.
“Il cinquanta per cento dei soggetti aveva casi di disturbi psichici fra i parenti stretti. Il cinquanta per cento aveva genitori coinvolti in attività criminali. Quasi il settanta per cento aveva storie di alcolismo o tossicodipendenza in famiglia. Tutti gli assassini – nessuno escluso – avevano subito abusi emotivi durante l’infanzia.”
Fra le varie risposte di collaborazione affermative, ovviamente vi è stato anche il tentativo di giocare sull’opportunità. Pensate che Ted Bundy, ad un passo dall’esecuzione della pena di morte, invece di rendersi disponibile all’intervista di profilazione, si è reso altresì pronto a collaborare su indagini e profilazione di altri serial killer come consulente, nel tentativo di posticipare di qualche mese, sul momento, l’esecuzione della sua sentenza. Ovviamente la risposta di Ressler è stata negativa e non si sono più rivisti.
“Tutti gli assassini che intervistammo avevano fantasie impellenti; uccidevano per veder accadere nella realtà ciò che avevano sognato ripetutamente durante l’infanzia e l’adolescenza.”
Noi sappiamo scindere fra ciò che si può e ciò che non si può, loro avvertono fisicamente il bisogno di andare oltre, per sentirsi vivi.
“Io credo fermamente che non debbano essere giustiziati, ma tenuti in carcere e seguiti, perché da loro possiamo imparare a evitare che altri assassini imbocchino strade analoghe… i serial killer sono così presi dalle proprie fantasie che il timore di essere catturati e condannati a morte non li tange. È molto più utile tenere in vita uno come Ed Kemper e studiarlo.”
Come dicevo all’inizio, sicuramente non è stata una lettura semplice, proprio perché si è rivelata fin troppo affascinante e quindi invischiante. Un vero manuale su come studiare e conoscere persone che hanno lasciato, purtroppo, un segno nella storia recente.
La prima stesura di questo romanzo risale al 1991 quando Ressler ormai era andato in pensione.
Dal pensionamento, e fino alla sua morte, lui ha continuato a girare l’America, per partecipare attivamente a seminari sull’argomento, continuando a formare quante più persone possibili e, insistendo affinché lo studio su questi personaggi proseguisse, col fine ultimo di rendere sempre più efficace ed efficiente il lavoro d’indagine, con l’obiettivo di ridurre al minimo lo spargimento di vittime.
Questo perché, se vi fosse stato da sempre un maggior coordinamento, maggiore attenzione e capacità di riconoscere determinati segnali, molte vittime si sarebbero potute risparmiare.
Il romanzo è sicuramente consigliato, come afferma anche Ilaria Tuti nella sua sentita prefazione, a chi vuole sapere.
A chi vuole conoscere la verità.
“Le persone normali imparano ad accettare i limiti posti dal controllo sociale e dal senso della misura. Il soggetto deviante… crede di poter agire le sue fantasie e che nessuno possa impedirglielo.”
Robert K. Ressler, Tom Shachtam
Robert K. Ressler: 1937-2013) è stato un agente dell’FBI e uno dei primi criminal profiler statunitensi. Dopo aver studiato per anni le testimonianze di trentasei serial killer, ha teorizzato una correlazione tra contesto sociale e motivazioni personali, elaborando un sistema di classificazione criminale che prendeva in considerazione anche le caratteristiche delle vittime e non solo quelle del loro assassino. Grazie alle sue scoperte, è stato possibile prevedere e prevenire centinaia di omicidi in tutto il mondo.
Tom Shachtam: (1942) è uno scrittore, giornalista e regista americano. Ha insegnato alla New York University. Vive in Connecticut.
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