Un’indagine per i cinque di Monteverde
Recensione di Claudia Cocuzza
Autore: François Morlupi
Editore: Salani
Genere: giallo
Pagine: 480
Anno di pubblicazione: 3 marzo 2022
Sinossi. Il grande parco di villa Pamphili, a due passi dal Vaticano e da Monteverde, ha due volti molto diversi: di giorno è un giardino che accoglie bambini, anziani e sportivi; di notte si trasforma in un rifugio abusivo per senzatetto, drogati e prostitute. All’alba di una gelida mattina di gennaio, una di loro viene trovata senza vita, brutalmente uccisa con un’arma da taglio. Era italiana, aveva poco più di vent’anni, era una ragazza sola, si vendeva per pagarsi l’università. L’omicidio sconvolge il commissario Ansaldi e i suoi agenti, perché apre uno squarcio di disperazione nella tranquilla routine del loro quartiere. In più, arriva proprio nel momento peggiore, a due settimane da un importante vertice politico tra i principali capi di Stato europei, con gli occhi del mondo puntati sulla capitale. Che ci sia o no un legame tra i due eventi, per il commissario è appena iniziata una terribile corsa contro il tempo.
Recensione
Dopo il successo di Come delfini tra pescecani, François Morlupi ritorna con una nuova sfida per i cinque di Monteverde.
A ridosso di un evento politico che vedrà l’attenzione del mondo rivolta su Roma, il tranquillo quartiere di Monteverde diventa scenario di un efferato delitto, l’omicidio di una ragazza che, per mantenersi agli studi, si prostituisce a villa Pamphili.
Per il commissariato la notizia ha lo stesso effetto di una deflagrazione: non solo il momento non è ideale, ma la squadra è sconvolta dal fatto di non essersi resa conto del giro di prostituzione che si svolge sotto il proprio naso.
A questo primo delitto ne segue un altro, a stretto giro; stavolta la vittima è uno stimato ecclesiastico.
Di male in peggio.
La prostituta e il prete; il profano e il sacro; il diavolo e l’acqua Santa.
L’indagine, che doveva passare sotto silenzio, inizia a suscitare clamore mediatico.
I nostri cinque danno la caccia a un serial killer e lo fanno nelle condizioni peggiori, avendo sul collo il fiato del questore Loprieno, della Santa Sede, del Ministro degli Interni e, come se non bastasse, sotto la minaccia di vedersi soffiare il caso dalla sezione antiterrorismo, guidata da Roversi.
La narrazione copre otto giorni di indagine, durante i quali seguiamo i cinque personaggi sul campo e abbiamo anche la possibilità di conoscerli sul piano personale.
Morlupi ricorre a un narratore onnisciente che ci permette di avere una visione d’insieme e di osservare di volta in volta la scena da un punto di vista che può essere di uno dei cinque, ma anche dell’assassino, della vittima o di uno dei personaggi secondari di passaggio.
Il ritmo della narrazione è incalzante. Il primo timelock viene impostato immediatamente, con la l’annuncio del Consilium tra i più importanti capi di Stato europei a due settimane dall’omicidio della prostituta, ma a questo ne seguono altri, sempre più stringenti: Ansaldi e i suoi rischiano di doversi fare da parte quando, tra le varie piste, si fa spazio quella di matrice terroristica. A questo punto non hanno più giorni a disposizione, ma solo poche ore, per trovare il colpevole o arrendersi. La concitazione è palpabile e scandita dal conto alla rovescia che conclude ognuno dei capitoli a partire dall’ultimatum finale.
L’ambientazione è Roma, ma quella in cui ci muoviamo non è la città da cartolina: in auto insieme ai nostri personaggi prendiamo buche che ci fanno sobbalzare, rimaniamo imbottigliati nel traffico che, in una serata di pioggia particolarmente violenta, ci fa rimpiangere ‒ come fa Di Chiara ‒ di non avere una canoa a disposizione, osserviamo cumuli di spazzatura e scommettiamo sull’efficienza del servizio di nettezza urbana. Eppure è una Roma a cui i cinque sono legatissimi e che non lascerebbero mai; l’amore dell’autore per la sua città viene espresso per bocca dell’omologo svedese del commissario Ansaldi, che gli confida come anche nel suo Paese i problemi non manchino e che, per quanto possano essere efficienti e organizzati, non godranno mai del sole e del buon cibo.
Andiamo così a un altro aspetto della prosa di Morlupi: Nel nero degli abissi è un giallo con sfumature noir, ma nel corso della narrazione trovano spazio spunti per dibattiti di natura sociale e politica, dalla difficoltà del rapporto scuola-famiglia alle purtroppo note furbate di un certo tipo di dipendente pubblico scansafatiche, dall’affidabilità dei nostri politici fino al preoccupante fenomeno della solitudine fisica del singolo all’interno di una società iperconnessa.
Accanto a ciò,
numerose piccole ma efficaci pennellate rivelano l’amore dell’autore per l’arte tutta, dalla letteratura all’architettura, dalla pittura alla cinematografia; amore che distribuisce tra le sue creature, che ne vengono caratterizzate, per cui di Ansaldi sappiamo che è un appassionato di pittura ‒ il suo cane si chiama Chagall ‒ e di poesia, mentre Di Chiara è un cultore di cinema coreano, ma anche di calcio, sia da tifoso che da giocatore; ma forse è meglio cambiare discorso per non girare il coltello nella piaga.
Degni di nota anche i delicati camei attraverso i quali Morlupi ci racconta vicende storiche, leggende e curiosità che non distraggono dall’indagine, non tolgono mordente alla narrazione ma anzi la arricchiscono, costituendo un gradito plus.
Come si sarà intuito, i personaggi sono tridimensionali, ognuno è tratteggiato con cura e ha caratteristiche che lo identificano immediatamente: il commissario Biagio Maria Ansaldi, con i suoi cento e passa chili, lo zuccotto e le scarpe gialle, l’ansia e l’ipocondria, è la guida della squadra e non solo dal punto di vista professionale; il vice ispettore Eugénie Loy, con la sua immancabile coda di cavallo e gli occhi di ghiaccio, è l’elemento di spicco; i Ringo Boys, Di Chiara e Leoncini, sono una coppia di amici, oltre che di colleghi, che, nella loro diversità, si completano; infine l’affascinante e determinata Alerami, l’ultima arrivata, che, con la sua ansia di primeggiare, rischia di mettere in pericolo l’equilibrio dell’intero gruppo.
Per farceli conoscere, Morlupi fa uso di una struttura ricorrente: la narrazione ‒ circolare, in quanto la scena di apertura si ricongiunge con quella conclusiva ‒ è suddivisa in capitoli che ripercorrono un’intera giornata lavorativa, alla fine della quale viene inserito un capitolo in cui vediamo i cinque muoversi nella loro sfera privata, separatamente ma nello stesso tempo come se non si dividessero mai davvero, poiché ogni scena individuale si ricollega con un piccolo gancio a quella successiva.
Inoltre, nel corso dell’indagine, trovano spazio brevi flashback che ci consentono di recuperare le singole backstories e sono senz’altro funzionali a creare un rapporto di empatia tra i personaggi e il lettore.
Un piccolo appunto stilistico: l’autore ricorre spessissimo a figure retoriche quali la similitudine, la metafora, l’antonomasia e l’iperbole, miscelando ironicamente elementi della cultura, classica e moderna, con altri di tenore molto più “commerciale”, passando da Matisse al dottor Nowzaradancon assoluta nonchalance.
L’ironia, insieme alla maestria nella costruzione della trama, è senz’altro il marchio di fabbrica di Morlupi, ça va sans dire.
Ma cosa vuol dire scendere nel nero degli abissi?
Quest’espressione ricorre più volte nel testo, in riferimento a situazioni e personaggi diversi: significa superare un trauma del passato? O farsi forza per andare oltre le proprie paure, oltre la paura della paura stessa?
Di certo l’epilogo, sorprendente e amaro, ci fa intravedere una luce dopo aver rimestato nel buio dei nostri incubi più reconditi.
A cura di Claudia Cocuzza
www.facebook.com/duelettricisottountetto/
François Morlupi
Classse 1983, italo-francese, lavora in ambito informatico in una scuola francese di Roma. Prima di Come delfini tra pescecani, con cui ha debuttato in Salani, ha scritto due romanzi che per mesi sono stati sempre ai primi posti delle classifiche ebook, diventando un caso editoriale.
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