Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Olga Tokarczuk
Traduzione di Raffaella Belletti
Editore: Bompiani
Pagine: 320
Genere: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2020
Precedenti edizioni italiane: (e/o, 1999 e Nottetempo, 2013)
Sinossi. Prawiek è un villaggio sospeso nel tempo, “un luogo al centro dell’universo”: percorso dai fiumi Bianca e Nera, punteggiato da alture come la Collina dei Maggiolini, ha quattro arcangeli a vegliare i suoi confini e un Tempo scandito dalle consuetudini più semplici. Le guerre e gli eventi della storia portano scompiglio anche qui, come nel resto del mondo, ma a Prawiek le giornate ruotano attorno alle preghiere, al mulino e al macinacaffè, alle nascite e alle morti, alle piccole storie degli eccentrici personaggi che lo abitano: Spighetta, che si nutre di ciò che resta dopo la mietitura; il castellano Popielski, che dedica la vita a un misterioso gioco da tavolo; Ruta, che ama i funghi più delle piante e degli animali; l’Uomo Cattivo, rimasto solo così a lungo da dimenticare la sua natura umana. Una fiaba dal passo solenne e rarefatto sulla stretta inesorabile del tempo e sul rapporto sublime e grottesco tra uomo e mondo.
Recensione
Riemergo dalla lettura di questo libro come si ritorna da un viaggio: resto sulla soglia ancora con le valigie in mano, frastornata dal fuso orario, sul cappotto qualche fiocco di neve e una foglia dai riflessi di rame, tra i capelli spettinati la traccia di profumi e cucine e terre ormai a chilometri di distanza. Il cuore e la testa ancora un po’ altrove, appesi ai panorami e alle esperienze appena vissuti.
L’impressione è ancora troppo vivida per poterla raccontare e per le foto, i video (una volta erano diapositive!) c’è tempo.
Mi ritrovo a parlare di Misia, di Izek, di Spighetta, Ivan, il castellano Popielski, i cani e la luna come se fossero amici d’infanzia: abbiamo condiviso giochi, sbucciature e segreti, siamo cresciuti, ci siamo allontanati, ma in fondo siamo sempre noi, capaci di riprendere il discorso là dove lo avevamo interrotto anni fa.
Perché tutto è sempre uguali nel suo perenne mutamento, nel suo continuo movimento – e in questo, nemmeno Dio fa eccezione, perché se “fosse immutabile, immobile, il mondo cesserebbe di esistere”. Come maggio che ritorna, ma fa fiorire rami nuovi e dona nuove forme ed estensioni a quelli che attendevano il suo ritorno; come l’acqua di un fiume che ha un altro sapore sorso dopo sorso; come il ventre che si espande per accogliere un’altra gravidanza – il corpo ricorda, ma il mistero si rinnova.
A Prawiek, “tempi remoti” in polacco, i quattro punti cardinali sono presidiati dagli Arcangeli, il ritmo è scandito dal mulino e dallo scorrere della Nera e dalla Bianca, apparentemente senza scosse, ma il tempo di fuori forza i confini, porta con sé la guerra e l’asfalto, gli alcolici clandestini e il comunismo, le belle scarpe col tacco, i francobolli e il cibo in scatola.
La bellezza – il talento della scrittrice – è inserire il cambiamento come un punto in più del tessuto, un decoro quasi invisibile nel grande arazzo dell’esistenza: ogni rivoluzione è talmente piccola da risultare impercettibile, immota, si infila nella trama ed è come se ci fosse sempre stata. Come il regno del micelio, che abbranca le radici e le zolle, spinge i suoi filamenti un po’ più in là anno dopo anno, ma restando invisibile sotto una superficie stabile.
I personaggi nascono, imparano a leggere, sperimentano l’amore vero o le delusioni di un sentimento posticcio, diventano madri, padri, avi e lasciano spazio alla generazione successiva in un continuum che trascina il lettore in un gioco senza fine di cui si prende subito il vizio.
Un protagonista, un altro e un altro ancora, in una danza identica e unica, vorticosa, leggera, grave e stagnante allo stesso tempo.
Olga Tokarczuk tratteggia con maestria, incanto e consapevolezza demiurgica e letteraria un pianeta che si crede autonomo, indipendente dal resto del Creato, ma che fa parte dell’universo degli “Otto Mondi”; un paese che è solo una casella sulla scacchiera, un campo a maggese che racchiude e tiene in caldo i semi di ogni varietà.
Ai lettori non resta che lanciare il dado e avanzare un turno dopo l’altro con l’illusione di tenere salde le redini della partita… Ma è il libro stesso a tenerci in pugno, come un destino già scritto, come un fuoco fatuo che arde dall’alba della Creazione e continuerà a farlo quando tutto sarà in cenere, con o senza spettatori.
A cura di Francesca Mogavero
Olga Tokarczuk
Olga Tokarczuk è nata nel 1962 e ha studiato psicologia a Varsavia. Scrittrice e poetessa tra le più acclamate della Polonia, la sua opera è stata tradotta in trenta paesi e in oltre quarantacinque lingue. Ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura 2018 “per la sua immaginazione narrativa che con passione enciclopedica rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita”. Il romanzo I vagabondi(Bompiani, 2019) le è valso il Man Booker International Prize 2018 ed è stato finalista al National Book Award. È stata di nuovo finalista al Man Booker International Prize nel 2019 con Guida il tuo carro sulle ossa dei morti.
Acquista su Amazon.it: