A cura di Loredana Gasparri
Autore: Léo Malet
Collana: Darkside
Pagine: 176
Genere: Noir
Data Pubblicazione: 27-06-2019
Sinossi. Tempi duri per Nestor Burma: le casse dell’Agenzia Fiat Lux sono drammaticamente vuote e la pioggia primaverile rende Parigi sempre più cupa. Così, fiutata la possibilità di un mistero, il detective privato si reca di nascosto presso un’isolata villa di Boulogne, dove sarà l’involontario e sbigottito testimone di una strage, messa in atto da un losco individuo dal volto deturpato. La vittima, tale Mauffat, sembra essere a sua volta un personaggio poco raccomandabile: un ex medico radiato dall’ordine, che custodiva nella propria cassaforte mazzette di banconote e bottiglie di benzina… A complicare le cose si aggiunge il fatto che Mauffat venga anche considerato il responsabile della morte della giovanissima Yolande Bonamy, deceduta in seguito a un aborto mal praticato: ad accusare l’ex medico sono i nonni della ragazza, che, in mancanza di prove concrete, affideranno al protagonista il compito di incastrare l’assassino rimasto impunito. Ma come fare, ora che l’assassino stesso è stato a sua volta brutalmente assassinato? Ancora una volta toccherà a Nestor Burma risolvere l’intrigo, muovendosi tra sicari prezzolati, locali a luci rosse, chanteuses decadute e “bambole”, reali o sognate… E sarà proprio una “bambola” la chiave per decifrare il mistero. Nestor Burma torna in libreria, pronto a riconquistare i lettori con l’irriverenza e l’umanità che lo contraddistinguono, espresse al loro meglio in questa nuova avventura, finora inedita in Italia.
L’investigatore Nestor Burma
Il nome di Léo Malet mi è arrivato carico di fascino. Quello glamour del bianco e nero, del linguaggio démodé, della sensualità femminile affamata di vita, degli uomini che si prendono con forza e pochi scrupoli ciò che vogliono, degli investigatori privati un po’ sgangherati e troppo amici della bottiglia, che però arrivano tenaci alla verità.
Nestor Burma e la bambola: già il titolo mescola questi ingredienti e ne ammicca altri che poi tocca al lettore scoprire con la stessa tenacia del protagonista, il private eye (chiedo perdono per l’americanismo) dal nome originale.
Apro il libro, immediatamente la scena si fa in bianco e nero, e il viso obliquo di Jean Gabin non smette di accompagnarmi dalla prima all’ultima parola.
Sono in Francia, sono a Parigi, e sono gli anni ’60!
Tallono Nestor Burma che si sta dedicando, un po’ alticcio, all’esecuzione dell’incarico che gli è stato affidato dai vecchi signori Bonamy, ancora affranti e arrabbiati per la perdita dell’amata nipote Yolande qualche anno prima, ad opera di un medico maldestro, ai limiti dell’incompetenza.
Non ho altro riferimento che lui, l’investigatore, che, come tutti i francesi, ha una caratteristica pressoché irrinunciabile e inconfondibile: non smette di parlare un momento. L’autore gli lascia l’intero campo, e io lo ascolto mentre, con uno stile pressoché unico nel suo genere, racconta le sue mosse, la vicenda, descrive i personaggi che incontra.
Mi incanto ad ascoltare l’ironia al limite del sarcasmo, le sue battute, il modo quasi scanzonato di descrivere un assassinio (eh, sì, sarà privilegiato testimone), la vittima, la sua stessa presenza. Raccontato così, il crimine e i criminali sembrano persino divertenti. Anche quando graffia e descrive personaggi e azioni irritanti, antipatiche, Nestor Burma conserva un certo spirito nero, un black humour tutto francese, un tratto inconfondibile e che si ricorda a lungo. All’inizio mi sconcerta: procede a tentoni, mi racconta un avvenimento, e poi si ferma, torna indietro e mi racconta com’è iniziato tutto.
E poi, mentre ancora sto tenendo a mente i nomi, lui corre avanti a riprendere dove si ferm… ah, no, ha già cambiato direzione: gli è venuta un’idea e la deve mettere in pratica!
Lo guardo stranita, ma gli vado dietro, cerco di capire, e lui cosa fa?
Trova un altro bandolo della matassa. Quello che sembrava piuttosto semplice, ora si complica a dismisura. Entra una bambola in scena.
Ma chi è? Cos’è? Un giocattolo?
Un nomignolo un po’ gigione dato dalla solita fantasia maschile a tutte le belle ragazze giovani del mondo?
Sì, senz’altro, ma non dimentichiamo… che dovete scoprirlo da soli, correndo dietro a Burma come ho fatto io. All’inizio l’investigatore va veloce, perché è convinto di essere solo, ma poi, si ricorda che sta parlando ai lettori e anche ai suoi compagni co-protagonisti che non hanno la sua prontezza di associazioni e la sua libertà di movimento. Rallenterà abbastanza per darvi modo di seguire e apprezzare una bella storia intrecciata a diversi livelli, che si ramifica pescando in ambiti anche molto lontani tra di loro, che si snoda intorno alla bambola.
Oh, scoprirete tutto anche su quella, non temete.
Nel frattempo, godetevi in diretta l’avventura nella Parigi di fine anni ’60, con il mitico Quai d’Orfèvres in piena azione, l’atmosfera del passato in bianco e nero con le sue emozioni forti trattenute a stento, il mondo ancora indeciso su quale velocità prendere, mentre America ed Europa si guardano ancora un po’ sospettose.
A cura di Loredana Gasparri
delfurorediaverlibri,blogspot.com
Léo Malet
Léo Malet, l’anarchico conservatore, come amava definirsi, è uno dei padri del romanzo noir francese. Nato al numero cinque di Rue du Bassin, a Montpellier, figlio di una sarta e di un impiegato, rimane prestissimo orfano. Quando Léo ha due anni muoiono prima il padre e il fratellino e, a distanza di un anno, la madre. Tutti e tre di tubercolosi. Così, è il nonno bottaio e grande lettore che si prende cura del nipote e lo inizia, in modo non certo canonico, alla letteratura. A sedici anni Léo Malet si trasferisce a Parigi in cerca di fortuna. Determinante è l’incontro con André Colomer, disertore e pacifista: Colomer gli dà una famiglia e soprattutto lo introduce in ambienti anarchici. In questo periodo Malet collabora anche a vari giornali e riviste (En dehors, Journal de l’Homme aux Sandales, Revue Anarchiste). A Parigi abita in molti posti, anche sotto il ponte Sully, vive alla giornata, fa l’impiegato, il manovale, il vagabondo, il gestore di un negozio d’abbigliamento, il magazziniere, il giornalista, la comparsa cinematografica, lo strillone, il telefonista. Nel 1931 l’incontro con André Breton gli dà accesso al mondo delle case editrici e degli scrittori; Malet entra a far parte del Gruppo dei Surrealisti. Per qualche tempo il suo vicino di casa è Prévert, uno dei suoi migliori amici Aragon. Si sposa con Paulette Doucet e insieme fondano il Cabaret du Poète Pendu. Dopo una dura esperienza in un campo di concentramento nazista, nel 1941 inizia a scrivere polizieschi firmandosi con svariati pseudonimi: Frank Harding, Leo Latimer, Louis Refreger, Omer Refreger, Lionel Doucet, Jean de Selneuves, John Silver Lee. Con lo pseudonimo di Frank Harding crea il personaggio del reporter Johnny Métal, protagonista di una decina di romanzi gialli. Nel 1943 pubblica 120 Rue de la Gare con cui esordisce la sua creazione narrativa più celebre, l’investigatore privato Nestor Burma. Burma sarà protagonista di una trentina di avventure, inclusa una “serie nella serie” intitolata I nuovi misteri di Parigi, che comprende quindici racconti, ognuno dei quali dedicato a un diverso “arrondissment” di Parigi. Con Nestor Burma, Malet da un lato riscuote i primi consensi di pubblico, anche attraverso successive trasposizioni cinematografiche, una serie televisiva (1991-1995) di 85 episodi e l’adattamento a fumetti. Ma d’altro canto si allontana dal movimento anarchico: nel 1949 il gruppo dei Surrealisti lo espelle con l’accusa di essere diventato “seguace di una pedagogia poliziesca”. In realtà Malet è uno scrittore dai mille volti: accanto al poliziesco, si cimenta nei romanzi di cappa e spada e, soprattutto, nel noir. La critica gli concede proprio in questo filone i maggiori riconoscimenti: la Trilogie noir, di cui fanno parte Nodo alle budella, La vita è uno schifo e Il sole non è per noi, viene considerato il suo capolavoro. Malet muore nel 1996. Chi vuole andare a visitare la sua tomba, la trova al cimitero di Chatillon-sous-Bagneux.
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