Recensione di Enrico Fasano
Autore: Pietro Grossi
Editore: Feltrinelli
Genere: Horror
Pagine: 144
Anno di pubblicazione: 2018
Sinossi. Tutto ha inizio con una casa nel bosco. Una casa apparentemente abbandonata. Al suo interno, polvere e muffa dappertutto… a eccezione di alcuni angoli lindi e scrupolosamente ordinati. E poi una maschera demoniaca di cartapesta, il disegno di un bambino che sembra appeso al muro da qualche giorno soltanto – la carta bianca e senza sciupature – e, al piano superiore, una maschera ancora più inquietante, ricavata in una tanichetta opaca. Tutta la casa urla che qualcosa di sinistro accade fra quelle mura, ma cosa? Il protagonista e sua moglie sono appena rientrati per Natale in Italia: vivono a New York, e da poco è nato il loro bambino. Sono immersi nell’atmosfera morbida di quei primi mesi e approfittano delle vacanze per rivedere i vecchi amici. È allora che, seduti al tavolo di un caffè, scoprono la casa misteriosa dal racconto di Diego e Lidia. Lui in particolare li ascolta con attenzione: è uno scrittore in cerca di storie e viene subito attratto dalla possibilità di trovare materia per il suo prossimo romanzo. Durante le vacanze il pensiero torna continuamente a quel luogo, perciò – quando è il momento di rientrare negli Stati Uniti – la moglie gli propone di restare lì ancora un po’, da solo, a inseguire quella storia. Accettando, lui progetta di prendersi giusto un paio di settimane e poi di raggiungere moglie e figlio negli Stati Uniti (ed è a lui, al bambino ormai cresciuto, che il padre racconta la storia che leggiamo), ma quel mistero è così inesplicabile, racchiude qualcosa che lo attrae così visceralmente che il tempo e le distanze si allungano. La distanza con la sua famiglia, ma anche la distanza dal se stesso che credeva di conoscere. Gli appostamenti davanti alla casa diventano infatti, giorno dopo giorno, notte dopo notte, qualcosa d’altro, come se lo sguardo si spostasse dalla casa verso di sé.
RECENSIONE
Parlare e scrivere di horror non è mai semplice, è un genere che in Italia non ha mai sfondato dal punto di vista degli scrittori: è letto moltissimo e anche amato ma dire che esistono veri e proprio autori dell’orrore italiani è un’affermazione grossa. Se penso ai vari King, Barker, Ketchum, ecc. mi risulta difficile paragonarli e confrontarli con qualche penna equipollente italiana. Ecco quindi spiegato il mio stupore quando in libreria inizio a sfogliare Orrore di Pietro Grossi, un autore per me sconosciuto, italiano e che scrive una storia apparentemente terrificante.
È una storia breve, un romanzo di poco più di 140 pagine che reputo si possa dividere in due parti nettamente distinte e contrastanti anche se viene scritto come un’unica sequenza. Controverso e destabilizzante soprattutto nella seconda metà, la storia ti avvolge e ti catapulta in un mondo parallelo senza varcare i confini nazionali.
Siamo in Italia, in una zona non definita; le vicende si svolgono in due paesini sperduti a ridosso di qualche catena montuosa, che non vengono mai nominati se non con la sola iniziale del nome, elemento che rende subito la storia misteriosa: perché mai l’autore vuole nasconderci la verità su dettagli così irrilevanti? Vuole creare tensione o semplicemente estremizzare tutto ciò che non è rilevante e di conseguenza far concentrare il lettore solo sulla storia? Accetto e approvo l’idea, mi piace avventurarmi in libri che fin dalle prime pagine cercano di confonderti.
Fin da subito i canoni del buon horror del nuovo secolo sono serviti: non immaginatevi di leggere cose vecchie e classiche degli anni ’80, non si tratta di un ritorno al passato.
L’intero libro è scritto in prima persona. Una strategia narrativa che, in generale, non mi piace, perché la reputo pesante e macchinosa, ma qui viene ben camuffata da un’abile strategia di Grossi. Infatti, il libro è una lunghissima lettera che il padre scrive al figlio ormai cresciuto e che, si intuisce, non vede da ormai troppo tempo. Questo dettaglio ti confonde, perché non sai mai se le pagine e le parole che leggi sono indirizzate realmente a qualcuno o se il protagonista le sta scrivendo a se stesso, come una sorta di diario. Camaleontica, questa prima parte; ti fa credere che il bosco e i suoi misteri siano il fulcro; ti aspetti che accada qualcosa da un momento all’altro, come la tipica comparsa di un serial killer, e invece tutto viene stravolto da metà libro in avanti.
È qui che il lettore inizia a conoscere il vero Orrore, ovvero l’irrefrenabile conflitto interiore dello scrittore fallito, la sua ricerca d’ispirazione che diventa ossessione, tormento, follia. Anche grazie ad Anna, una donna tentatrice che, per come l’ho interpretata io, è personificazione del male, della morte.
Niente killer, niente belve feroci, zombie o lupi mannari: Pietro Grossi descrive alla perfezione l’orrore psicologico con una narrazione schietta, cruda e a tratti volgare, che non risulta però disgustosa.
Un modo nuovo, anzi, diverso di raccontare lo splatter.
Orrore ha superato la prova: un timido ma buon tentativo di affacciarsi sulla scena di un genere da sempre molto discusso e controverso. Una piacevole sorpresa a cui posso dare un voto medio/alto. Altrettanto posso dire dell’autore, un Pietro Grossi senza veli, coraggioso e sfrontato.
Ottimo lavoro.
Pietro Grossi
Pietro Grossi (Firenze, 1978) ha pubblicato con Sellerio la raccolta di racconti Pugni (2006, vincitrice di numerosi premi letterari, tra cui il premio Piero Chiara e il premio Campiello Europa 2010) e i romanzi L’acchito (2007) e Martini (2010). Incanto (Mondadori, 2011) ha vinto il Premio Nazionale Letterario Pisa per la Narrativa 2012. Nel 2015, ancora per Mondadori, è uscita la raccolta L’uomo nell’armadio e altri due racconti che non capisco. Feltrinelli ha pubblicato Il passaggio (2016, vincitore del Premio Procida Isola di Arturo Elsa Morante 2017, sezione mare) e Orrore (2018).