Recensione di Cristina Bruno
Autore: Jenny Diski
Editore: NNE
Traduzione: Francesca Bandel Dragone
Genere: narrativa contemporanea
Pagine: 240
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Alla fine degli anni Novanta, Jenny Diski osserva la propria stanza da letto interamente bianca e ripensa al candore degli ospedali dove era stata ricoverata quando era una ragazza in crisi. Per lei il bianco è un sottrarsi alla vita, ai pensieri, all’incessante frastuono dei ricordi. E poco a poco diventa un desiderio prepotente, che si traduce in un piano preciso: spingersi fino in Antartide, alla ricerca del bianco assoluto, dove perdersi e dimenticare.
Ma mentre il piano si realizza, il passato e il presente si accavallano, rifiutano di essere lasciati indietro. Nella fuga verso l’Antartide la memoria di Jenny torna alla madre di cui non ha notizie da trent’anni, al padre truffatore, alla depressione, alla madre adottiva, Doris Lessing, di cui scriverà nel memoir In gratitudine. E porta con sé anche la curiosità di sua figlia, determinata a rintracciare la nonna materna. Sul bianco tanto desiderato appaiono macchie di colore, arcobaleni imprevisti. E l’esplorazione di sé si riflette nei panorami antartici, dove il bianco si declina nelle infinite sfumature di azzurro di iceberg stupefacenti, e la presenza umana è solo accennata. Con una scrittura forte ed evocativa che si tinge di un umorismo e di una sincerità disarmanti, Pattinando in Antartide è il racconto di un viaggio ai confini di sé e del mondo, alla ricerca del perfetto equilibrio tra la memoria e il dolore, tra l’affermazione della vita e la cieca tentazione del vuoto.
Recensione
Pubblicato nel 1997, la prima edizione italiana è del 1998. In questa nuova versione, riveduta da Cremonesi, NN Editore ha cercato di ridare freschezza e attualità a un testo che meritava attenzione.
Mentre il vecchio titolo italiano era “Nel cuore di un iceberg”, il nuovo è la diretta traduzione dell’originale, “Skating to Antarctica”. Siamo di fronte a un libro di memorie, non a una fiction.
L’autrice ripercorre un viaggio in Antartide, alla ricerca del bianco assoluto e durante le tappe che la avvicinano alla meta, perlustra angoli del passato nel tentativo di sondare le cause della propria fragilità. La sua vita non è stata facile sin dall’infanzia. I genitori naturali non erano in grado di crescerla, troppo presi dai loro egoismi e dalle loro insicurezze. Jenny si è così trovata a più riprese a doverli lasciare per vivere in collegio.
Un padre e una madre in apparenza diversi tra loro eppure tanto simili, egocentrici, infantili, incapaci di assumersi responsabilità. Jenny cercava affetto che non riusciva a trovare e questo suo bisogno insoddisfatto si è alla fine trasformato in un rigetto totale dei genitori.
In una sorta di damnatio memoriae Jenny non vuole più sapere nulla di loro. Sa che il padre e morto ma ignora del tutto la sorte della madre. Sarà la figlia Chloe che, spinta dalla curiosità e dal desiderio di conoscere le proprie origini, inizia una ricerca anagrafica per sapere chi erano i nonni e quale la loro esistenza. Tramite Chloe Jenny apprende così della morte della madre per scoprire che in realtà questo dato non era poi così influente.
Il racconto ruota attorno all’Antartico.
Perché l’autrice desidera con tanta forza raggiungere proprio questo luogo così distante e inospitale?
Il segreto è nascosto in un colore, il colore bianco. Il bianco è per Jenny la tinta della sicurezza, è il ricordo drammatico e allo stesso tempo confortevole della sua permanenza a più riprese in ospedali psichiatrici per problemi di depressione. Lenzuola bianche, pareti bianche… La ricerca del bianco assoluto è quella che domina il libro ed è la causa scatenante del viaggio, nel luogo più bianco che si possa immaginare, il polo Sud.
“Non sono del tutto soddisfatta del livello di bianco nella mia vita.”
In questa frase iniziale è racchiuso forse il senso di tutto il testo. Troviamo l’insoddisfazione di un’intera esistenza, la ricerca di una pace interiore difficile da raggiungere, il bisogno di un qualcosa o qualcuno di rassicurante, che si prenda cura della sua fragilità. E tutta la narrazione racconta in modo forte e appassionante la storia di una bambina senza una vera famiglia e che cerca di costruirsi, in mezzo a mille difficoltà, una vita propria, sfuggendo a una debolezza che sembra avere quasi un’origine genetica.
I ricordi si affastellano e si mescolano alle piccole verità scoperte dalle ricerche della figlia e apprese da vecchie vicine di casa. E mentre giunge alla sua meta polare Jenny fa un bilancio di affetti e tristezze mentre sorride di pinguini e otarie e naviga tra giganteschi iceberg, blu e non bianchi, metafora degli incredibili ostacoli superati e da superare ogni giorno nella vita.
A cura di Cristina Bruno
Jenny Diski
è nata nel 1947 a Londra ed è scomparsa nell’aprile del 2016. Scrittrice e intellettuale inglese, con i suoi romanzi, saggi, racconti e memoir ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti. I suoi articoli sono apparsi sui maggiori quotidiani inglesi ed è stata per venticinque anni editorialista della London Review of Books.
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