Pietra dolce




Valeria Tron


Editore: Salani

Genere: Narrativa

Pagine: 448

Anno edizione: 2024

Sinossi. In Val Germanasca la natura detta le proprie volontà: nella miniera di talco, negli orti, nei boschi, nelle borgate che guardano la cascata. Così accade anche il giorno del crollo: tre boati tanto forti da far tremare la montagna. Due minatori mancano all’appello e nel piazzale si scava tra i detriti. L’ultimo a uscire dal foro nella roccia è un giovane che tutti conoscono. Si chiama Lisse, senza la U, e in quella lettera mancante è già scritta gran parte della sua vita. È ferito, eppure a far sanguinare l’animo di Lisse sono ben altri tagli. Quell’uomo partorito in un prato, accolto e nutrito dalla sua gente, è anche l’invisibile, il senza-storia, esiliato entro i confini della sua Valle. Stravolto da quell’ennesima sciagura, Lisse si rifugia in una baracca a Paraut, dove è nato. Giosuè Frillobèc, l’amico di sempre che zoppica sulle parole, non può stare a guardare. E con lui nemmeno Mina, che ha cresciuto entrambi come una madre; e Lumière, il gigante che fa oracoli; e Tedesc, il vecchio liutaio che parla tre lingue. Insieme escogiteranno un piano per riportare Lisse a casa e restituirgli speranza, immaginarsi ancora possibile. L’arrivo di Alma, partita dall’Argentina con una chitarra in spalla, porterà nelle loro vite il canto delle Ande e un sogno gentile da coltivare. Passano molti anni, ha lasciato la Valle e vive isolato tra le colline, con la sola compagnia di una corva. A spezzare la sua solitudine è l’improvvisa visita di un ragazzo, Jul, venuto dalle montagne a riportargli un oggetto che gli è appartenuto. Insieme cuciranno la storia, gli amori distanti un oceano, le libertà sfilacciate dal tempo, le promesse incompiute. Una miniera di piccole cose, incise nella pietra dolce.

 Recensione di Fiorella Carta

Alcune letture abbisognano di parole cesellate per far capire il loro valore, ciò che lasciano al lettore e io so di non essere capace di traslare la prosa di Valeria Tron in questo scritto che vorrebbe convincervi a leggere una preziosa storia.

Con L’equilibrio delle lucciole aveva già catturato la mia immaginazione, ma Pietra Dolce trascina come una slavina e la genuinità dei luoghi e delle persone rende merito all’obiettivo di Valeria: tenere viva l’attenzione su una comunità che, come tante e senza retorica, rischia l’estinzione.

Lisse, Frillo, Mina, Lumière, sono accerchiati da montagne, cascate e miniere. La natura è padrona e mai soggiogata: nutre, conforta e, ahimè uccide.

Il sangue non fa la comunità, non conta il parente ma l’accudire e le loro storie, intrecciate nel dolore e nella speranza, risplendono di una prosa che trovo davvero unica in questo momento in Italia.

Ci sono generi che ripetono il loro cliché in ogni romanzo, ciclicamente, autori molto simili che raccontano belle storie, ma sembrano un coro unico.

Valeria Tron è riconoscibile, come una canzone, dalle prime note, perché riversa se stessa in ogni pagina.

Se leggessi una frase, fuori contesto, fuori dai suoi romanzi, sono sicura che riuscirei a riconoscerla fra mille.

Il suo timbro è prezioso e spero che la Valle, la sua lingua così delicata e pungente, riescano a prevalere sul mercato editoriale e perdurino nel tempo come meritano

La voce che dà vita a Pietra Dolce è quella dei minatori, di chi nell’oscurità lavora la roccia, nell’incertezza del pericolo e nella certezza di una salute precaria.

È la voce di chi vive lontano dalla civiltà, di Lisse che non potrà mai vederla, di Frillo che ha paura ma sogna,  e di Mina che accoglie nel senso di maternità più pura.

Anche noi stiamo nascosti dal mondo. Minare è combattere la pietra. E fa paura di piovra quando avvinghia e strattona; è un abisso che succhia l’aria e poi la beve nelle fessure di roccia… Ci vuol più coraggio a far cattedrale sotto terra che a navigare sulle volte del mare.”

E in un mondo che rinasce dal crollo come quello di Lisse, la sua famiglia, quella che il bene glielo dona senza essere dovuto, trova per lui la via salvifica dei libri, abbandonati per la miniera e ritrovati per il dolore.

Un romanzo conscio del suo effetto.

Un libro è una mano tesa, tanti sono la salvezza.

Vi chiedo solo di fare la conoscenza di questa comunità, di vivere con essa la paura di scomparire, di morire con gli ultimi rimasti e di assaporare in ogni parola, i loro sentimenti.

Chie torrat a domo no est mai peldidu,

chi torna a casa non è mai perduto, questo dovremmo ricordare, questo dovremmo scrivere.

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Valeria Tron


è figlia della Val Germanasca. Illustratrice, cantautrice, artigiana del legno, ha esordito con il romanzo L’equilibrio delle lucciole (Salani, 2022), candidato al Premio Strega, finalista al Premio Benedetto Croce, al Premio Massarosa e al Premio Le Pagine della terra, e vincitore del Premio Femminile, plurale e del Premio Città di Cave.