Pranzo di famiglia




PRANZO

DI FAMIGLIA

Bryan Washington


Traduttore: Fabio Cremonesi

Editore: NN Editore

Genere: Narrativa

Pagine: 332

Anno edizione: 2024

Sinossi. Cam è straziato dalla perdita di Kai, l’amore della sua vita, ucciso dalla polizia di Los Angeles durante un controllo. Il suo fantasma gli appare di continuo, regalandogli attimi di tenerezza e di profondo smarrimento. Senza più una direzione, Cam torna a Houston. Qui, orfano, è cresciuto insieme a TJ e ai suoi genitori, lavorando nella panetteria di famiglia che TJ continua a portare avanti dopo la morte del padre. Ma il legame tra i due ragazzi, fraterno eppure carnale, appartiene al passato, ed è stato segnato dai rispettivi lutti. Di fronte a un Cam triste e autodistruttivo – che cerca di annullarsi attraverso le droghe, il sesso occasionale e il rifiuto del cibo, che nella relazione precedente era simbolo di cura e condivisione – TJ mette da parte i rancori e decide di accompagnare l’amico nella sua lenta rinascita. E stando vicino a Cam trova la forza di prendere in mano la propria vita, aprendosi all’amore che non ha mai pensato di meritare. Pranzo di famiglia è un’ode agli affetti più puri e ai piaceri della vita, come il cibo e la compagnia delle persone care. Bryan Washington racconta l’amore e il lutto, la ricerca del proprio posto nel mondo quando ogni riferimento sembra perduto, e celebra il potere della famiglia di sangue e di quella elettiva, stelle di una stessa galassia, capaci di portare luce e calore anche nei momenti più bui. Questo libro è per chi sa dimostrare l’amore restando in silenzio, per chi ha guardato e riguardato Parasite senza mai stancarsi, per chi apre il frigorifero e trasforma gli avanzi in un piatto delizioso, e per chi non ha mai dimenticato che non esiste un passo uguale all’altro, perché ogni persona ha un ritmo suo, inimitabile, l’unico giusto per raggiungere la felicità.

 Recensione di Francesca Mogavero

Se Pranzo di famiglia fosse una canzone, forse sarebbe Fast car di Tracy Chapman.

Se fosse un cibo, sarebbe un kolach, un rotolino di pasta soffice dal ripieno di carne, un boccone caldo tenuto da parte da “un fornaio mezzo polacco” che ti ha preso a cuore, un segreto fragrante “da mangiare camminando verso casa”.

Ma sarebbe anche un qualsiasi cibo di conforto, di cui basta un morso per sentirsi subito meglio, a casa, un alimento che non manca mai sulla tavola dell’infanzia, perso e ritrovato in un angolo di mondo impensabile – e quando quello stesso profumo si spande proprio tra le strade nuove, dove non conosci ancora nessuno, la memoria si accende e il cuore si spalanca, capisci che è un segno, che le cose possono andare finalmente per il verso giusto, anche soltanto per un po’.

Infine, se fosse un viaggio, sarebbe un’andata e un ritorno, non necessariamente in quest’ordine.

Musica, profumi, consistenze e destinazioni – necessarie, ambite, sognate – si mescolano tra le pagine assieme a percorsi di formazione e di consapevolezza che si intrecciano, desideri ed emozioni manifestate col silenzio o gesti estremi e disperati. Il tutto poi, cuoce a temperatura variabile, ora altissima, minacciando di bruciare ogni cosa, ora lenta e dolce, paziente… Il risultato è una ricetta che racchiude tutti i sapori, anche a quelli a cui non riusciamo ancora a dare un nome.

Nel secondo romanzo di Bryan Washington ci sono pianeti in rotta di collisione, e fino all’ultimo non sappiamo se sarà l’Apocalisse o un Big Bang da cui sboccerà un nuovo universo, c’è la bella ferocia dei vent’anni, c’è l’esplorazione del corpo – il proprio e quello dell’altrǝ – c’è il rapporto con il cibo – cibo come cura, come atto d’amore, come rifiuto e autosabotaggio – c’è la traduzione declinata in ogni suo significato.

E c’è la family. Quella che ti capita e che in un modo o nell’altro ti si incide nel sangue, e quella che scegli – ed entrambe stringono e liberano, determinano, feriscono, accolgono, talvolta in perfetta sincronia, più spesso in un’alternanza che manda in subbuglio, come sulle montagne russe.

Nella costante incertezza, però, fatta di luci che abbagliano, di sensi iperstimolati, di decisioni difficilissime, di perdite e sudore, una cosa resta sicura e fissa come il primo motore immobile: la solitudine, in fondo, non esiste.

Siamo esseri in continuo movimento, strada facendo perdiamo particelle che altrɜ raccoglieranno, ingloberanno, e a nostra volta accumuliamo vissuti, voci e visi… celebrando un banchetto senza fine, rinnovando pelle ed energie, vestendo i reciproci panni, unendo gli sguardi.

Così chi amiamo resta in noi, anche quando è altrove, dall’altra parte del globo o in forma di fantasma.

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Bryan Washington


è nato nel 1993, e ha già ottenuto importanti riconoscimenti come il Dylan Thomas Prize e l’O. Henry Prize. Dopo l’esordio con la raccolta Lot (Racconti Edizioni 2020), Promesse è il suo primo romanzo, da cui verrà tratta una serie tv prodotta da A24, la stessa casa del film premio Oscar Moonlight.

A cura di Francesca Mogavero

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