Recensione di Kate Ducci
Autore: Stephen King
Traduttore: T. Dobner
Editore: Pickwick
Pagine: 480
Genere: Thriller
Anno di pubblicazione: 2013
Decise però di prelevarli dai castelli abbandonati e lontani dalla vista di tutti per trapiantarli nel New England, in un’abitazione comune, posta su una collinetta dove chiunque potesse osservarla senza sapere di avere sotto gli occhi l’orrore. Quell’orrore che King, unico con il suo stile, sa rendere perfettamente nella sua banalità, ricordandoci che spesso proprio avendolo sotto i nostri occhi in ogni istante finiamo per non notarlo.
King sapeva che sarebbe stata una buona idea (sperimentata anche in seguito, più volte, andando a pescare nell’ordinario per inserirvi elementi straordinari, spaventosi) ma non immaginava quanto.
Per quanto abbia ammesso di essersi ispirato ai famosi vampiri vecchio stampo della letteratura, i suoi personaggi assetati di sangue hanno una marcia in più, riescono a distinguersi acquisendo credibilità, con il loro aspetto da persone comuni, tali e quali a come erano prima della loro trasformazione, ma private di un’umanità che le rende creature terrificanti, troppo vicine per poterci sentire al sicuro.
Il protagonista del romanzo è Ben Mears, uno scrittore che torna ai luoghi della sua infanzia per scrivere un libro su una brutta disavventura che lo aveva segnato, proprio all’interno di Casa Marsten, il tetro e minaccioso edificio che domina il suo vecchio paese.
Adesso, l’oscura dimora ha un nuovo proprietario, un certo Barlow, la cui presenza non è mai stata notata da qualcuno. Tutti in paese ne hanno sentito parlare, ma nessuno lo ha mai incontrato.
Starà a Ben, con l’aiuto di poche persone capaci di credere alle sue intuizioni fantasiose, provare a liberare il paese dalla fine a cui sembra condannato.
Scritto agli albori del percorso stellare di King, questo libro, che lo ha consacrato re dell’horror, non sente il peso del tempo che passa. L’autore lo definisce un lavoro acerbo, ma si sbaglia. Si tratta di un piccolo capolavoro dell’orrore che non è solo orrore, una storia di paura e sentimenti che ti fa odiare i vampiri e al tempo stesso provare empatia per la non scelta a cui sono stati costretti.
La genialità sta proprio in questo: i vampiri di King non vengono a farci visita da castelli lontani, non hanno quell’aspetto spaventoso che ti spinge a stabilire che te ne terresti alla larga, che non cadresti nella loro trappola. Sono tuo marito, tuo figlio, il tuo affidabile vicino di casa, che tornano a chiedere soccorso quando li credevi ormai morti, che ti implorano di farli entrare in casa tua.
E, senza poter evitare un brivido lungo la schiena, mentre leggi il romanzo ammetti che purtroppo non saresti capace di chiudere loro la porta in faccia, perché sono coloro che hai amato e che, nascondendo un’anima invisibile e ormai morta, ti stanno dicendo di amarti ancora.
Una lettura che consiglio a chi non si è mai avvicinato a King e vuole scoprirne il percorso, nonché una lettura che ho fatto di nuovo con moltissimo piacere a distanza di almeno venticinque anni, sorprendendomi di trovarla ancora perfetta, spaventosa e indicativa delle straordinarie capacità di un autore che merita tutto il successo ottenuto.
Stephen King
Stephen Edwin King (Portland, 21 settembre 1947) è uno scrittore e sceneggiatore statunitense, uno dei più celebri autori di letteratura fantastica, in particolare horror, del XX e XXI secolo. Scrittore prolifico, nel corso della sua carriera, iniziata nel 1974 con Carrie, ha pubblicato oltre ottanta opere, anche con lo pseudonimo di Richard Bachman fra romanzi e antologie di racconti, entrate regolarmente nella classifica dei best seller, vendendo complessivamente più di 500 milioni di copie. Buona parte dei suoi racconti ha avuto trasposizioni cinematografiche o televisive, anche per mano di autori importanti quali Stanley Kubrick, John Carpenter, Brian De Palma, J. J. Abrams, David Cronenberg, Rob Reiner, Lawrence Kasdan, Frank Darabont, Taylor Hackford e George A. Romero. Pochi autori letterari, a parte William Shakespeare, Agatha Christie e Arthur Conan Doyle, hanno ottenuto un numero paragonabile di adattamenti. A lungo sottostimato dalla critica letteraria, tanto da essere definito in maniera dispregiativa su Time “maestro della prosa post-alfabetizzata”, a partire dagli anni novanta è iniziata una progressiva rivalutazione nei suoi confronti. Grazie al suo enorme successo popolare e per la straordinaria capacità di raccontare l’infanzia nei propri romanzi è stato paragonato a Charles Dickens, paragone che lui stesso, nella prefazione a ‘Il miglio verde’, pubblicato a puntate nello stile di Dickens, ha sostenuto essere più adeguato per autori come John Irving o Salman Rushdie.