QUEL CHE CI TIENE VIVI
di Mariapia Veladiano
Guanda 2023
narrativa contemporanea, pag.240
Sinossi. Aiutare le famiglie che non funzionano: questo è l’obiettivo del giovane protagonista, un avvocato con un passato doloroso, difficile da dimenticare ma anche da ricordare. E, in qualche modo, quello è lo scopo anche di sua moglie Bianca, la psicoanalista a cui si è rivolto all’inizio della carriera proprio per rimettere insieme i pezzi della sua infanzia. Non sembravano compatibili – lei credente, esile, vegetariana e raffinata, lui materialista e disilluso, sovrappeso, cresciuto solo e in povertà – eppure al posto di un’analisi è nato un amore. Forse perché parlano la stessa lingua, quella che condivide soltanto chi è sopravvissuto a un trauma incancellabile, ma che ha anche il coraggio di resistere e andare avanti. Forse perché entrambi hanno bisogno di provare ad aggiustare il mondo. È questo che spinge l’avvocato a entrare e uscire dai tribunali con furiosa determinazione, per dare una possibilità alle persone che, come era accaduto a lui, «non vengono viste». Una sera d’inverno incontra un bambino solo, infreddolito, che parla con curiosa saggezza. Un bambino che sparisce e sembra non ricomparire più. Un bambino che gli ricorda sé stesso. E quando scopre chi è, la sua missione diventa un’ossessione: dovrà riuscire a salvarlo.
Quel che ci tiene vivi
A cura di Chiara Forlani
Recensione di Chiara Forlani
Una sottile tensione attraversa le pagine di Quel che ci tiene vivi: il protagonista è un avvocato sovrappeso che ama rifiutare le cause e passa da una casa trasandata color verde oliva al lusso e al candore di una dimora dove tutto è bianco, anche il nome della proprietaria. Quale mistero si cela dietro il suo passato non risolto? In che modo la moglie psicanalista potrà far sì che lo affronti e lo superi? La storia andrà verso lo sfacelo o alla fine si aprirà uno squarcio di luce? Sono questi gli interrogativi che accompagnano una storia che a tratti ha i caratteri del flusso di coscienza, in altri quelli del mistery.
“Io odio il silenzio, odio che qualcuno non risponda alle mail, odio chi non viene agli appuntamenti, odio chi mi lascia cadere. Vivo nel terrore di essere lasciato cadere.” Il protagonista, Angeletto, ha un grave trauma alle spalle, l’autrice ci fa vivere la sua storia come se ci trovassimo dentro di lui, come se soffrissimo le sue pene e vivessimo la sua insicurezza. La scrittura in prima persona è volta a questo, a favorire l’immedesimazione, che a mio parere a tratti può risultare un po’ autoreferenziale, soprattutto per un lettore che ami le storie movimentate.
Il romanzo infatti ruota attorno all’inconsueta vita di coppia di Bianca e Angeletto, lei esile, vegetariana e immateriale, credente, amante di tutte le specie botaniche e del parco della sua villa, lui insicuro ed eccessivo, amante della buona tavola, della carne e del vino. Lui che fa i conti in tasca a chiunque incontri si trova a convivere con una donna molto più ricca di lui, che ama alla follia e senza la quale non può più vivere. Questi i pensieri del protagonista: “La morte ci nobilita, ho pensato. La morte era il mio pensiero sempre presente, compagno dei giorni, ombra, ombra che mi precede, ombra dove trovare riparo all’abbaglio dei desideri.”
Lo strano equilibrio su cui si fonda la vita della coppia viene scosso dall’incontro con un ragazzino, delle cui sorti i due si interessano, tanto da mettersi sulle sue tracce, fino a intercettare di nuovo la sua vita e le sue sofferenze. “Alla fine siamo responsabili di tutto, ripete. Lo dice quando qualcuno le chiede perché si sfascia ad aggiustare il mondo. Perché siamo responsabili di tutto, risponde.”
“Bianca risponde ai miei pensieri. Lei intuisce gli abissi. Beati i suoi pazienti, penso.” Il romanzo è molto interiorizzato, scritto in prima persona, ci fa vedere tutto con gli occhi del protagonista. A mio parere il personaggio di Bianca, la moglie, che è di notevole spessore, avrebbe potuto essere approfondito e sviscerato di più, invece resta un po’ accennato, lasciando troppo spazio ai problemi, ai riti e ai ricordi di Angeletto.
“Perchè non volevo sapere niente di lei? Eppure anche lei ha avuto i suoi guai che non voglio conoscere. E sbaglio. Un giorno le chiederò. Forse lei avrebbe desiderato raccontarmi qualcosa. O forse no.” Lo stile di scrittura è secco, fulmineo, essenziale, tipico dei romanzi della Veladiano. Ma in questo caso la reticenza, il non voler raccontare al lettore null’altro che non siano i problemi e il disagio del protagonista rende il libro un po’ troppo monocorde.
“Non è vero che capiamo che cosa succede quando muore una madre. Muore e non sappiamo davvero che non ci sarà più. Muore e basta. Chiude gli occhi e la gente ti allontana perché sei piccolo.” Il trauma vissuto dal protagonista, che non vuole avere figli perché teme che possano vivere il suo stesso dolore, si rimarginerà grazie all’incontro con Salvino, un ragazzo che ha problemi quanto e forse più di lui? Nell’ultima parte del libro si sviluppa questa vicenda, che rimane sospesa, caratteristica della narrazione di tutto il libro, e forse anche della vita reale.
L’intensità della scrittura riscontrata ne “La vita accanto” a mio parere non trova in quest’ultimo romanzo lo stesso felice sviluppo. Consiglio la lettura di “Quel che ci tiene vivi” a chi ama i flussi di coscienza e i viaggi interiorizzati, alla ricerca delle profondità della psiche umana.
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Mariapia Veladiano
Mariapia Veladiano laureata in filosofia e teologia, ha lavorato per più di trent’anni nella scuola, prima come insegnante e poi come preside. Il suo primo romanzo, La vita accanto, ha vinto il Premio Calvino ed è arrivato secondo al Premio Strega nel 2011. Guanda ha pubblicato il suo saggio Parole di scuola e i romanzi Una storia quasi perfetta, Lei su Maria di Nàzaret, Adesso che sei qui (vincitore del Premio Flaiano 2021) e Quel che ci tiene vivi. Collabora con la Repubblica e con la rivista Il Regno.
A cura di Chiara Forlani