Recensione di Chiara Forlani
Autore: Antonio Pilato
Editore: Mario Vallone Editore
Genere: weird
Pagine: 142
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. Se fosse stato il figlio di un benestante impresario, non avrebbe di sicuro esercitato quel tipo di mestiere… Lucas Salamàndria era una persona adulta, del resto, per vivere ancora con i suoi genitori… e allora? Come aveva fatto un uomo che aveva perso le braccia in un incidente industriale ad abitare in una villa come quella?
Recensione
“Antonio Pilato ci conduce nei suoi mondi per mano lentamente, senza fretta, perché il weird è anche questo: la paura in agguato dietro l’angolo, il bambino girato di spalle che piange e tu sei lì esitante perché non puoi vedere il suo volto ma soltanto le sue spalle scosse dai singhiozzi.”
Questo scrive Michele Caricola nella sua introduzione al romanzo. Sono parole che fanno pensare, che ci predispongono a una lettura intensa, alla stregua delle grandi novelle gotiche del passato. I romanzi moderni sono veloci, corrono verso la conclusione come treni impazziti tra mille colpi di scena, ma la tensione è altro, a mio parere. È la sottile paura che si prova quando le parole ci prendono per mano e ci permettono di immaginare senza farci vedere del tutto, lasciandoci con il fiato sospeso, immersi nelle nostre paure.
La vicenda parte da un libro singolare scovato in biblioteca, dalla copertina color blu elettrico e il finale troncato. Il titolo dell’insolito testo è “Kopèo vittima di Phóbos. L’osservazione deturpata dalla paura”. Mentre sfogliavo quelle pagine anziane, più per inerzia che per vero e proprio interesse, il mio occhio incappò in una parola, un termine scientifico che mi incuriosì a tal punto da sembrare quasi un déjà vu: il vocabolo era ‘scoptofobia’.
La parola, ricercata subito dopo con curiosità all’interno di un vocabolario, rivolge il suo oscuro significato al timore di venire osservati: gli agenti che osservano l’individuo affetto da tale fobia possono essere sia esseri umani, sia altre tipologie di esseri. Il protagonista, che vive nella città immaginaria di Alma, è attratto in modo morboso dalla patologia descritta nel piccolo trattato finito tra le sue mani in modo misterioso.
Ben presto Zacarias Carrasco svela la sua natura controversa: coinvolto in un incidente nella fabbrica dove lavora, viene accusato di negligenza e licenziato dall’oggi al domani. La mutilazione che la sua incuria ha provocato in un collega impiegato alla catena di montaggio (al quale vengono amputate entrambe le braccia) non sembra provocare in lui un particolare rimorso.
“Se non si possiede uno specchio, non è detto che non si possieda un volto.” Ogni capitolo del libro è introdotto da una lettera dell’alfabeto greco, il testo è pervaso da un’atmosfera cupa, l’ambientazione è appena accennata, molto è lasciato all’immaginazione del lettore. Si ha l’impressione che qualcosa stia per succedere dopo ogni pagina letta: trovo che questa indeterminatezza arcana sia il vero pregio del testo.
L’ambivalenza dell’essere umano, la sua doppia faccia, questa è, a mio parere, la tematica centrale del libro. Zacarias viene licenziato e in lui si scatena la belva, la sua ragione di vita diventa l’osservazione maniacale e la persecuzione del suo accusatore. Questa ossessione non gli dà tregua e lo rende un essere inquieto, assediato dalle domande, soprattutto quando scopre che la vittima dell’infortunio vive tra gli agi mentre lui è alla fame.
Per gestire una narrazione del genere è necessaria una scrittura raffinata, evocativa. Quella di Antonio Pilato lo è, peccato che la copia interna inviata dalla casa editrice presenti imprecisioni linguistiche, lacune e inversioni di parole che ne rendono difficile la lettura.
Il finale è inaspettato, capovolge la coscienza di chi legge e lo fa riflettere. Varrebbe la pena tornare a rileggere ogni riga del libro, ripartendo dall’inizio, per meglio comprendere il meccanismo complesso che è alla base del libro e rispecchia in modo estremizzato la controversa natura umana.
A cura di Chiara Forlani
Antonio Pilato
(Ravenna, 11 marzo 1990) è uno psicopedagogista e uno scrittore. Fin da bambino si appassiona alla letteratura dell’orrore leggendo, a casa e a scuola, i romanzi brevi della serie Piccoli brividi di R.L. Stine. Terminati gli studi liceali, si iscrive all’Università di Bologna laureandosi in Scienze del Comportamento e delle Relazioni Sociali nel 2013 e in Psicologia delle Organizzazioni e dei Servizi nel 2015. Nel frattempo, inizia a conoscere la prosa di S. King leggendo diversi romanzi e alcune raccolte di racconti. Dal 2016 la sua visione letteraria si allarga ad altri autori, primi fra tutti H. P. Lovecraft e T. Ligotti, i quali influenzeranno non poco i suoi pensieri e il suo immaginario, portandolo a laurearsi una terza volta nel 2018 in Pedagogia e a scrivere la sua tesi di laurea proprio sul tema dell’infanzia insita nei contesti della letteratura dell’orrore. Dal 2018 inizia a scrivere, preso da una forte ispirazione innata e arcana, una serie di racconti di genere weird. Nel 2020 pubblica la sua prima raccolta di racconti, con la casa editrice Mario Vallone Editore, dal titolo Incubi grotteschi di esiliati sognatori. Nel 2021 per lo stesso editore esce Scienza ritegno.
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