Recensione di Sara Zanferrari
Autore: Paolo Malaguti
Editore: Einaudi
Genere: narrativa
Pagine: 189
Pubblicazione: 9 giugno 2020
Sinossi. Sulla corrente dei fiumi nulla cambia mai davvero. Al timone degli affusolati burchi dal fondo piatto, da sempre i barcari trasportano merci lungo la rete di acque che si snoda da Cremona a Trieste, da Ferrara a Treviso. Quando Ganbeto sale come mozzo sulla Teresina del nonno Caronte, l’estate si fa epica e avventurosa. Sono i ruggenti anni ’60, nelle case entrano il bagno e la televisione in bianco e nero, Carosello e il maestro Manzi. I trasporti viaggiano sempre piú via terra, e i pochi burchi che ancora resistono, per ostinazione oltre che per profitto, preferiscono la sicurezza del motore ai ritmi lenti delle correnti e delle maree. Quello del barcaro è un mestiere antico, ma l’acqua non dà certezze, e molti uomini sono costretti a impiegarsi come operai nelle grandi fabbriche. A bordo della Teresina, Ganbeto si sente invincibile. Gli attracchi, le osterie, le burrasche, il mare e la laguna, le campane di piazza San Marco, i coloriti modi di dire di Caronte e i suoi cappelli estrosi, le ragazze che s’incontrano lungo le rotte. Presto, però, non potrà piú far finta di niente, lui che ha un piede nel vecchio e uno nel nuovo dovrà imparare la lezione piú dolorosa di tutte: per crescere bisogna sempre lasciare indietro qualcosa. «Poche cose restavano chiare, nella sua mente: che Pellestrina è un’isola magnifica. Che il mare ti entra dentro piú dei fiumi. Che, soprattutto, non avrebbe mai fatto altro nella vita: il barcaro era l’arte per la quale sentiva di essere nato». È il 1966, l’anno della grande alluvione. Ganbeto conquista i canali sul burchio del nonno Caronte, imparando a vivere a colpi di remo.
Recensione. In questo suo nono romanzo, Malaguti racconta l’amore per il territorio e per le radici. Racconta un passato vicinissimo a noi, eppure irrimediabilmente andato: il mondo dei “barcari”, la civiltà del commercio fluviale, delle merci portate via fiume sui burci dal fondo piatto, fino alla fine degli anni ’60.
Racconta una lingua, ancora una volta, il veneto (come nei due precedenti “sillabari”, viaggi sentimentali tra parole venete) e il linguaggio delle barche e dei barcari (tanto che per nostra fortuna provvede a fornirci di un “glossario minimo dei barcari di fiume”).
E’ una sua peculiarità questa della cura della lingua e del gergo di un particolare luogo, professione, tempo, basti pensare al gergo di trincea di “Prima dell’alba”, o ai curiosi incontri che lo stessoautore fa con gli “autoctoni” in “Lungo la Pedemontana”.
Malaguti racconta sempre di un luogo e della sua storia, e delle persone che lo hanno abitato, ma qui si percepisce un affetto e, forse, un divertimento particolari, per una storia così vicina al suo paese d’origine.
Un’estate epica e avventurosa per il giovane Ganbeto, che “era stato promosso in terza per grazia ricevuta” e viene imbarcato col nonno Caronte sulla “Teresina” (nome femminile, come tutte le imbarcazioni che si rispettino), perché maturi, imparando il mestiere:
“Il burcio fa parte della famiglia da prima che lui venisse al mondo, come del resto l’acqua, che da sempre corre nel canale di Battaglia. Ma fino a quel momento non avevano davvero fatto parte dei suoi giorni. Funziona così in paese: c’è chi va operaio alla Fabrica, chi sta nei campi, chi parte sui burci. Fermo restando che tra questi lavori nessuno fa fare vita da gran signore, di certo i barcari mantengono un che di foresto, quando di misterioso. Un mondo così prossimo eppure così strano, fatto di approdi e squeri, pontili e chiuse…”. (pag. 18)
Un’estate in cui il ragazzo diventa grande: un romanzo di formazione dunque, costruito sapientemente sui racconti raccolti dall’ultimo barcaro di Battaglia Terme (PD), Riccardo Cappellozza (purtroppo scomparso poco prima della pubblicazione del libro) che sembra fare da tramite con quei nonni che Malaguti richiama nella dedica iniziale
“Ai miei nonni – per i racconti che non ho ascoltato”.
Una storia che si dipana lungo il fiume, che tocca innumerevoli città, suggerisce suggestioni di incontri (e perché no?, anche con il sesso femminile), insegna la vita, la fatica, l’orgoglio, il pericolo, il rispetto (del pericolo), la bellezza dell’acqua, delle città, dei territori.
Rispetto per l’acqua, soprattutto, perché
“se l’acqua ride, il burcio piange”, spiega il padre al giovane Ganbeto, quando non sa che fare all’ordine del nonno di correre a prua e stare attento se l’acqua ride. “Quando senti che l’acqua ride, che gorgoglia, vuol dire che lì c’è una pietra, o il fondo basso, e bisogna starci alla larga” (pag. 26).
La saggezza del vecchio barcaro, che conosce bene il fiume e le sue insidie, lentamente viene trasferita, esperienza dopo esperienza, al nipote, un giorno dopo l’altro, nel corso di quei tre mesi dell’estate del ’66, anno dell’alluvione, mentre balenano gli ultimi riflessi di un mondo brillante come il riflesso della luce sull’acqua, mossa dal passaggio del burcio sul fiume. La fine di un’epoca, il passaggio di un Paese da povero e contadino a potenza industriale, dove il benessere però si porta via con sé anche la poesia che ne faceva parte.
Tuttavia l’autore non vuole e non comunica la malinconia per ciò che è perso, quanto l’amore per ciò che è stato. La vita e il progresso vanno avanti (sebbene il rischio sia di avviarsi verso quel “progresso scorsoio” descritto da Zanzotto una decina d’anni fa), ma non è il tempo della tristezza, quanto quello della bellezza, dell’affetto del suono dolce del dialetto veneto, della magnificenza dei palazzi e della laguna di Venezia, dell’orgoglio e della forza di lavori ora scomparsi ma che fanno per sempre parte della nostra storia. Un romanzo lirico che è quasi poesia.
A cura di Sara Zanferrari
Paolo Malaguti
Paolo Malaguti è nato a Monselice nel 1978, ha trascorso l’infanzia e la giovinezza a Padova, dove ha frequentato il liceo e si è laureato in Lettere moderne con una tesi di Filologia italiana su Antonio Fogazzaro. Dal 2004 insegna nei licei, prima della provincia di Treviso, poi della provincia di Vicenza. Attualmente è docente al ‘G. B. Brocchi’ di Bassano del Grappa. Ha scritto diversi libri: “Sul Grappa dopo la vittoria” (Santi Quaranta, 2009), “Sillabario veneto” (Santi Quaranta, 2011), “I mercanti di stampe proibite” (Santi Quaranta, 2013), nel 2015 è uscito “La reliquia di Costantinopoli” (Neri Pozza), selezionato nella dozzina finalista al Premio Strega 2016, “Nuovosillabario veneto” (BEAT, 2016), “Prima dell’alba” (Neri Pozza, 2017), “Lungo la Pedemontana”(Marsilio, 2018), “L’ultimo carnevale” (Solferino 2019).
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