Sette opere di misericordia




Recensione di Laura Salvadori


Autore: Piera Ventre

Editore: NeriPozza

Genere: narrativa

Pagine: 416

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Napoli, giugno 1981. La casa è nel cimitero della città. Una città che è a stento in piedi, piena di puntelli, intelaiata di tubi Innocenti aggrappati al tufo, di palazzi vacillanti e inabitati dove l’oscurità e l’umido la fanno da padroni. Cristoforo Imparato fa il custode del cimitero. Il vetro al posto dell’occhio che una scheggia di granata si è portato via, non è stato sempre un camposantiere. Impiegato in una tipografia, era riuscito ad avere persino un paio di stanzucce a Materdei, un quartiere al centro della città. Ma poi, fallita la tipografia, l’esistenza sua, e di Luisa, Rita e Nicola, la moglie e i figli, si è arrevutata, come dice lui. Cosí, Cristoforo ha scavato un fosso nel dispiacere tumulandoci qualsiasi sconforto subíto e inflitto. A casa Imparato trovano un giorno asilo Rosaria, una ragazza amica di Rita che, rimasta incinta, non sa se ammantare di menzogna il suo sbaglio, e Nino, il giovane dal nome corto, il figlio del compare di nozze di Cristoforo e Luisa, ospite a Napoli prima di trasferirsi in Germania. Nino fa amicizia con Nicola, il bambino di casa, gli chiede le cose sulla luna, vuole guardare col suo telescopio, poi un giorno scompare, lasciando un cardillo e una caiòla per donna Luisa, «per le sue cortesie, e per il disturbo». Che misericordia e castigo siano cosí intrecciati da confondersi è la cruda verità che travolge casa Imparato in quell’estate del 1981, l’estate in cui Alfredino Rampi cade nel pozzo a Vermicino e la salvezza del bambino è invano attesa «come la nascita di un Cristo Redentore». Splendida conferma del talento di Piera Ventre, Sette opere di misericordia è uno dei romanzi piú importanti mai apparsi su un periodo cruciale della nostra storia recente, quello in cui una città – la Napoli post-terremoto – e il paese intero si misurarono con la perdita dell’innocenza.

Recensione

“Sette opere di misericordia” si apre con la voce di Nicola, un bambino di undici anni. Con il tema che il piccolo scriverà per il suo esame di quinta elementare, a metà giugno del 1981.

Nicola, che è solito scrivere i suoi pensieri su un quadernuccio. Perché è solo e tormentato dai bulli. Sfoghi teneri e appassionati, che spesso si traducono in interrogativi sulla vita, sull’amore, sull’amicizia. Nicola è saggio ed intelligente ma ancora piccolo. Ci sono cose che non riesce a spiegarsi e delle quali parla con Laika, un pupazzo consunto, che perde gommapiuma. Laika è la canella delle stelle, il cane che i Russi mandarono in orbita negli anni sessanta del secolo scorso, quando la corsa alla conquista dello spazio era all’apice. Laika, per Nicola è un’amica fedele. A lei racconta tutto perché in qualche modo Laika è come lui stesso, sola, incompresa, sacrificabile in nome di qualcosa di grande.

Nicola è il figlio di Cristoforo e di Luisa, il fratello di Rita. E’ appassionato di stelle, ha un occhio pazzerello e un bisogno sconosciuto e disperato di amore. Un amore che la madre Luisa non riesce a dargli perché incapace di baciare, stropicciare e coccolare i propri figli, per una sorta di pudore che le impedisce di dimostrare con i fatti l’affetto che nutre per loro. Luisa, che da bambina ha subìto la stessa indifferenza da parte della propria madre, preoccupata solamente che la figlia non rimanesse zitella. Luisa, che alla soglia dei cinquant’anni si sente delusa. Dalla sua esistenza, confinata in una casa proprio sopra al cimitero. Dall’amore, che è sfiorito quasi senza che lei se ne rendesse conto. Dalla maternità, che l’ha vista inadeguata a quel difficile ruolo, e capace solo di curare i figli come farebbe una cagna, senza una carezza. Delusa anche dal proprio marito, che non è stato in grado di darle la vita che meritava. Delusa da se stessa, per essersi concessa di dimenticare tutto tra le braccia di Nino, poco più che un bambino.

Cristoforo sa di aver deluso sua moglie, grato, manco a dirlo, al suo occhio di vetro, che gli ha permesso di avere un lavoro. Cristoforo è un uomo mite. Anche con lui la vita è stata avara, ma non lo ha inaridito. Specialmente con Nicola, Cristoforo si mostra attento e premuroso, proprio perché si rende conto di dover supplire alle carenze affettive di Luisa. Cristoforo, che non ha esitato ad accogliere in casa sua Rosaria, l’amica di sua figlia che si è lasciata inguaiare. Rosaria, una ragazzina appena, ma già grande, abituata ad usare il suo fascino acerbo e osceno per manipolare gli uomini, al cui richiamo subdolo e incantatore anche Cristoforo sembra soccombere, suo malgrado.

A loro si aggiunge Lorenzo, giovane professore, venuto a Napoli dalla Toscana, in fuga dalla falsità e dall’ipocrisia della sua famiglia; da un luogo dove gli mancava tutto, persino qualcosa da desiderare. E che finisce in balìa di Rosaria, giovane tigre dai denti aguzzi, egoista e primitiva. Vera e senza pudori, mentre l’amore lieve e innocente di Rita lo sfiorerà senza saperlo toccare. Rita si rifugerà nel cibo, per costruire una corazza sul suo cuore deluso. La goffaggine che insegue non potrà tuttavia tenere indenne il suo cuore dalle delusioni del primo amore.

L’ultimo tassello di questo romanzo incantatore è Napoli. Mai come in questo romanzo è spietata. Una città che divide, che amareggia chi la calpesta, che colpisce in viso che la vive senza consapevolezze. Napoli che è dura da vivere, avara, beffarda. Una città intrisa nel pregiudizio, martoriata dai terremoti, sfacciata, primitiva.

Napoli non saprà proteggere i suoi abitanti dalla sciagura, come una madre disattenta e sterile che si dimentica di abbracciare un figlio. E in “Sette opere di misericordia” ognuno avrà il suo personale dolore da leccare, un dolore come un parassita, che non si stacca dalla pelle. Un dolore che però consola, perché alla fine è come una casa che ti accoglie e che ti fa sentire uguale a tutti gli altri.  Un dolore unilaterale, solitario, che non trova consolazione. Eppure basterebbe un niente per condividerlo con qualcun altro.

E mentre Cristoforo, Luisa, Rita, Nicola, Rosaria, Lorenzo sono chiusi nei loro drammi, assistono in diretta TV alla tragedia del piccolo Alfredo Rampi, caduto in un pozzo artesiano, in fondo in fondo, nel fango che gli chiude gli occhi, fatto prigioniero dal freddo ventre della terra, dal quale non si esce più. Né con l’aiuto dei tanti volontari che si offriranno per calarsi nel pozzo, né con l’aiuto di Dio, che non ascolterà le preghiere dell’Italia intera.

Salvare Alfredino sarà come salvare anche se stessi e tutta Napoli e l’Italia intera. Salvarsi da tutti i mali, dalla fine dell’amore, dalla solitudine, dalla vecchiaia, dalle delusioni di ogni specie, dall’essere inguaiata a sedici anni, dai calci in faccia dei bulli e dalle loro risate sguaiate.

Sappiamo tutti che il lieto fine non ci sarà in questa storia. Ma il lettore non rimarrà con l’amaro in bocca, perché dalla tragedia del bambino nel pozzo i nostri personaggi sapranno trarre un indizio per coltivare un pizzico di felicità, per avvicinarsi, per tornare a sorridere.

Piera Ventre incanta il lettore con la sua musicalità, il suo narrare fluido, i suoi racconti di vita tessuti con l’ardore e la passione di chi ama raccontare storie. Una storia fatta di tante storie, intime e dolorose. Storie in cui ognuno di noi potrà riconoscersi e ricercare, a suo arbitrio, un epilogo di dannazione o di speranza. Storie semplici, di vita vissuta, raccontate con grande talento e un amore indistruttibile per la vita in tutte le sue forme.

L’ambientazione napoletana è meravigliosa e beneficia di mille e più sfumature dialettali che vi faranno amare questo dialetto così istintivo e autentico.  Come vi faranno amare tutti i personaggi, che vorrete stringere a voi, per sollevarli dal dolore e dalla delusione.

Quel dolore, quella delusione che è anche di tutti noi, quella sulla quale spesso anche noi inciampiamo e per la quale attendiamo una mano che ci sollevi e ci rimetta sul cammino.

Piera Ventre


Piera Ventre è nata a Napoli nel 1967. Laureata in Logopedia presso l’Università degli studi di Pisa, è specializzata come Assistente alla comunicazione. Socia ordinaria e Consigliera dell’Associazione di promozione sociale Comunico, collabora con le scuole di Livorno, città in cui vive dal 1987. Ha pubblicato testi brevi in raccolte antologiche e siti letterari. Nel 2011 la raccolta di racconti Alisei (Edizioni Erasmo) ha avuto una segnalazione della giuria al Premio Renato Fucini.

 

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