Soldato d’inverno




Recensione di Francesca Mogavero


Autore: Daniel Mason

Editore: Neri Pozza

Traduzione: Ada Arduini

Pagine: 320

Genere: Narrativa

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Ungheria settentrionale, 1915. Per tre anni il ventiduenne Lucius Krzelewski ha consacrato con severità monastica la sua vita allo studio della medicina. Ma allo scoppio della Prima guerra mondiale, dinnanzi all’offerta di far parte di una squadra di dottori in un ospedale di guarnigione, non esita ad arruolarsi. Viene spedito in un villaggio annidato in una valle dalle pendici morbide, con due viuzze di case che scendono giù da una chiesa fatta di tronchi malamente sbozzati. La chiesa è diventata l’ospedale di campo, un avamposto gelido e devastato dal tifo, presieduto da suor Margarete, una giovane suora infermiera che, dopo che i medici si sono dati alla fuga, è la sola ad accogliere i camion carichi di feriti che si riversano a ritmo incessante nella valle colma di neve. Una sera di febbraio compare un contadino avvolto in un gigantesco mantello di pelle di pecora. Trascina una carriola in cui giace il corpo raggomitolato di un soldato con gli occhi sbarrati, in evidente stato di shock. Lucius e Margarete accolgono il soldato, lo spogliano e lo lavano e restano stupefatti dinnanzi ai numerosi fogli di carta celati nella fodera del suo pastrano: sono disegni di uomini, soldati, treni, montagne e animali fantastici, tutti eseguiti dalla stessa abile mano. Chi è quell’uomo? Da dove viene e cosa gli è successo? E, soprattutto, quale prezzo sarà disposto a pagare, Lucius, per rispondere a queste domande? Dalle dorate sale da ballo della Vienna imperiale alle foreste ghiacciate del fronte orientale; dalle improvvisate sale operatorie ai campi di battaglia battuti dalla cavalleria cosacca, Soldato d’inverno è un magistrale affresco dell’Europa in guerra e, al contempo, uno struggente romanzo d’amore, colpa e redenzione.

Recensione

Che cosa fa di te un soldato? L’uniforme, l’amor di patria, l’obbedienza? La capacità di usare un’arma come se fosse l’estensione del tuo braccio, l’abilità da stratega, il coraggio e le gambe forti?

Oppure è qualcosa di più, di più profondo e invisibile, che rende anche “soldato” una parola troppo piccola per contenerne il significato?

Lucius, giovane di ottimi natali e belle speranze, con la sua carnagione da islandese e la balbuzie intermittente, si schiera fin dalle prime pagine, e il suo è un “esercito” sovranazionale, i cui commilitoni – pur di età, esperienza e specializzazione differenti – combattono sotto un unico vessillo: “non fare del male”.

La medicina è un generale inflessibile, richiede esclusiva concentrazione e non concede riposo, e Lucius è una recluta volenterosa, sempre teso a nuove scoperte e nuovi obiettivi, spostando la trincea della ricerca sempre un poco più in là, ma quanto è diverso un gabinetto scientifico, dove si discetta di sirene e raggi X, da un ospedale da campo!

Così lo studente imberbe si ritrova promosso a “Pan dottore” a Lemnowice, un villaggio sì dell’impero, ma distante miglia e miglia dagli sfarzi, dagli ori e le disquisizioni viennesi, una manciata di case e una chiesa appena sbozzata in cui il Pidocchio è l’unico sovrano e le urla dei feriti sovrastano il vento e la pioggia.

Lucius, che ha visto un cadavere solo da lontano, sgomitando e allungando il collo in aula, si fa macellaio di arti infetti e assiderati, accordatore di tendini e muscoli a brandelli, muratore di ossa infrante; tra dubbi e brividi iniziali, prosegue la sua marcia nella guerra tra la cura e la morte, ma è la mente, ancora una volta, ad attrarlo, confonderlo e lasciarlo fuori dalla porta: ossessionato da sempre dal “sogno di vedere il pensiero di un’altra persona”, ora è testimone muto di un’epidemia senza pustole né febbre, che rivela la propria presenza soltanto negli incubi dei soldati, nei loro occhi sbarrati, le membra che sussultano o, al contrario, restano contratte e immobili senza apparente ragione, i gesti inconsulti, inconsueti e inspiegabili, come tante Lady Macbeth ossessionate da macchie che nessuno può scorgere né tantomeno detergere e cancellare.

Granatkontusion. Granatexplosionslähmung. Kriegszitterung. Kriegsneurose. Nervenshock”: tanti nomi per definire un male sconosciuto che sfugge alla vista e alla comprensione, come un virus prima dei microscopi, e pertanto quasi impossibile da debellare. Ma è proprio a quel “quasi” che Lucius si aggrappa con tutte le sue forze, l’inquietudine della giovinezza e dell’inesperienza e il peso del giuramento di Ippocrate. Fino al punto di non ritorno, fino a perdere se stesso e consacrarsi al senso di colpa.

Il soldato di febbraio, con la sua bellezza nascosta dai conflitti e i suoi disegni di draghi e persone senza volto, sembra migliorare, pur conservando i propri segreti, ma basterà un terribile imprevisto a riportarlo nell’oblio… trascinando con sé Lucius, la caparbia suor Margarete e il loro mondo.

Di quel milite si perdono le tracce – sarà morto? Sarà furioso, attraversato dalla corrente elettrica, perduto negli abissi senza ritorno della follia? – ma il suo fantasma visita notte dopo notte il giovane medico, ora meno biondo e più bianco, come una coltre di neve, guida i suoi passi, si sovrappone al volto di ogni paziente, è nelle pillole, sui vetrini, nelle mani che tremano impugnando un bisturi. Monumento incrollabile a un presunto errore, montagna che separa dall’amore e dal futuro, fanghiglia che rallenta il passo. Anche a guerra finita.

Lucius, il Pan che ha perso tutto, perfino il titolo di “dottore”, però prosegue la propria cerca come un antico cavaliere: dov’è la sua infermiera?

Lo starà aspettando?

E ci sarà un modo per espiare e ridare pace allo spirito del soldato d’inverno e al proprio cuore? Rocambolesche fughe a cavallo, strade tortuose, treni, stazioni abbandonate, incontri inaspettati: nel suo lungo viaggio il nostro protagonista combatte senza sosta fuori e dentro di sé, attraversando un ex impero frammentato, paesi ed esistenze in ginocchio… fino alla meta, forse non quella sperata, ma l’unica possibile.

E adesso rispondimi: cosa fa di te un soldato?

Un distintivo, una medaglia addirittura, oppure la decisione di tuffarti nell’amplesso della vita – che ti stringe con braccia diverse da quelle che avevi immaginato, ma è un abbraccio sincero? E cos’è un soldato? Soltanto chi parte all’assalto sul campo di battaglia o chi ricuce le ferite di quel medesimo scontro, chi, nonostante tutto, crede nella nostalgia e nel romanticismo, chi sceglie il destino, chi scorge l’inverno dietro un’estate apparente e procura una coperta calda? Forse soldati lo siamo un po’ tutti e ciascuno porta in sé un blocco di ghiaccio che paralizza, ma che aspetta solo di liquefarsi davanti al raggio del sole giusto per poi evaporare.

E Daniel Mason, con la sua penna luminosa, scioglie e commuove, dimostrando che le storie intense e potenti sanno farci vivere in una perenne bella stagione.

 

A cura di Francesca Mogavero

 

Daniel Mason


Daniel Mason è nato a Palo Alto nel 1976. Laureato in Biologia alla Harvard University e in Medicina alla University of California, ha esordito come scrittore nel 2002 con L’accordatore di piano, un romanzo tradotto in 28 paesi. È autore anche di Un paese lontano (Mondadori 2007).

 

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