ROMAIN GARY
Traduttore: Riccardo Frediga
Editore: Neri Pozza
Genere: Narrativa
Pagine: 208
Anno edizione: 2024
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Sinossi. Su un’isoletta persa nell’oceano vivono in solitudine il dottor Partolle e sua moglie Hélène. L’implacabile sole tropicale ha ucciso l’uomo che era in lui e l’amore che era in lei. Poi un giorno, nell’aria elettrica che sa di tempesta, approda sull’isola uno sconosciuto con gli occhi selvaggi e un destino funesto. Uno snack bar di Los Angeles, col suo popolo della notte, accoglie un ex sicario disilluso, aspirante scrittore e diplomatico che, deciso a non invecchiare, ha ingaggiato un killer professionista che non sa di doverlo uccidere. La moglie di un ingegnere francese, incaricato di strappare alla foresta indocinese terra per la ferrovia, giunge nella boscaglia con tanti bauli, un cane pechinese e una curiosità morbosa per i nativi. Seminerà agitazione e zizzania tra i soldati e precipiterà insieme a loro nella tragedia. E poi, un boy del Ciad che non sa la lingua canta a memoria dal repertorio francese. Un nuotatore di fondo ruba oggetti d’arte dalle isole nella Grecia dei colonnelli. In una base aerea inglese, i piloti di una squadriglia si stringono attorno a una stufa anemica per raccontarsi le missioni africane da cui non tutti sono tornati. Questi sfavillanti racconti, inediti per il lettore italiano, abbracciano quasi per intero l’arco terreno di Romain Gary. Con la sua scrittura inconfondibile, insieme dolce e selvaggia, l’autore sfiora tutte le ossessioni di una vita: l’inferno della malinconia, il doppio, la fuga, la menzogna, la disperazione dell’amore, la tenacia del dolore. E dietro l’angolo, la morte, cercata ma con un volto inaspettato. «Sono storie che brillano di uno splendore intatto, come quelle stelle estinte la cui luce continua a raggiungerci. Perché a volte pensiamo che i bravi scrittori non muoiano mai». dalla Postfazione di Éric Neuhoff «Sono sempre stato altro da me stesso». Romain Gary
Recensione di Paola Iannelli
Lo stile secco, a tratti lirico, infrange nella mente del lettore come una tempesta. Solleva le paure e le angosce che animano i nostri pensieri più cupi, i personaggi che l’autore sceglie come protagonisti di questi racconti, raccoglie le storture psicologiche, che solo gli esseri umani sanno avere.
Il romanzo del pluripremiato scrittore Romain Gary, disegna un universo sotto svariate sfumature, le cromie delineano paesaggi e ambientazioni estreme, che con selvaggia crudezza pone in evidenza sentimenti profondi e laceranti come: la nostalgia, le manie ossessive, la corsa verso una meta incerta, la violenza carnale, la vita sospesa di un killer. Seguendo le linee guida di questo racconto corale ci specchiamo in un mondo fisicamente lontano da noi, eppure così intimamente reale.
Spingersi oltre, immaginare l’inverosimile, agire secondo dettami lontani da noi, è il vero segreto di questo scrittore, che con maestria percorre i viali dell’innominabile, grattando le pareti di un globo che contiene le nostre peggiori azioni.
Nei gironi dell’Inferno si agitano le vite dei protagonisti, uomini e donne che hanno perso equilibrio e forza, sfuggendo al richiamo dell’anima, colmando il vuoto con ricordi e omissioni che puntellano l’agire bizzarro di ognuno di loro.
Il male sorge come bene assoluto e sbaraglia ogni tentativo di redenzione, poiché l’unico scopo è nella prevaricazione, o meglio nella solida certezza che l’affanno ordinario, a cui ricorrono gli esseri umani, stringe un cordone infinito che soffoca il respiro fino a raggiungere l’asfissia emotiva.
Romani Gary non saprà superare la soglia di questa dolorosa consapevolezza, decidendo di recidere quel cordone in maniera volontaria, dopo che il suo grande amore lo aveva preceduto.
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Romain Gary
(Pseudonimo di Romain Kacev) nacque nel 1914. Lituano di nascita, nel 1928 si trasferì a Parigi. A trent’anni, Gary è un eroe di guerra (gli viene conferita la Legion d’honneur) e scrive il suo primo romanzo, Formiche a Stalingrado (1945), ispirato alla resistenza polacca contro i tedeschi, e che Sartre giudica il miglior testo sulla resistenza; comincia a lavorare come diplomatico per la Francia. Nel 1956 vince il Gouncourt con Le radici del cielo, ambientato in Africa, sulla lotta generosa di pochi volonterosi contro la decimazione degli elefanti, cui seguono, tra gli altri: La promessa dell’alba (1959), dedicato alla memoria della madre; Cane bianco (1970), di contenuto antirazzista; La vita davanti a sé (con lo pseudonimo di Émile Ajar, 1975, Premio Goncourt); Gli aquiloni (1980).
Fu il marito della scrittrice Lesley Blanch e dell’attrice americana Jean Seberg, dalla quale divorziò. Poco più di un anno dopo il suicidio di questa (settembre 1979, per ingestione di barbiturici), si diede la morte nella sua casa a Parigi. In Italia i suoi romanzi sono pubblicati da Neri Pozza.
A cura di Paola Iannelli