Recensione di Sara Zanferrari
Autore: Gianni Solla
Editore: Einaudi
Genere: narrativa
Pagine: 206
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. All’istituto Santa Sofia, Jacopo è il solo maschio della classe, e a otto anni il suo rapporto con le donne è già complicato. A partire da quello con la madre, che gli fa imparare a memoria versi di Majakovskij, spegne i mozziconi di sigaretta nei piatti ed è divorata dalla voglia di vivere. Per le suore della scuola è chiaro che quella ragazza con la maglietta troppo corta è all’origine dei comportamenti di Jacopo: taciturno, fin troppo interessato alle gambe delle sue compagne e soprattutto fissato con la scrittura. I suoi temi, che hanno sempre lei come protagonista, fanno il giro della scuola. Sua madre e suo padre non vivono insieme ma non hanno mai smesso di litigare furiosamente, lei in italiano e lui in napoletano, lui macellaio e lei segretaria della Brahms edizioni musicali. Una notte, Jacopo e la segretaria – cosí lui chiama sua madre – si trasferiscono abusivamente in una palazzina popolare al Rione delle mosche: due buste, una scatola, e lo zaino di scuola come unico bagaglio. L’ascensore non funziona e il bagno è senza porta, ma c’è un solo letto in cui dormire: se Jacopo dovesse scegliere un momento perfetto della sua vita, indicherebbe quello. Nel rione c’è anche la macelleria di suo padre, e il pomeriggio Jacopo si chiude nella cella frigo a riempire di parole i fogli per incartare la carne. Quella di Jacopo è un’educazione sentimentale fallimentare, e a leggerla scappa spesso da ridere. Un incontro disastroso dopo l’altro, fino alla catastrofe definitiva: l’incontro con Veronica, maestra di meraviglia e di fuga. Un romanzo amaro, ironico, abrasivo, che rivela una nuova voce di inusuale freschezza, in cui il sorriso e l’emozione convivono a ogni pagina. Gianni Solla si fa spazio tra gli scrittori capaci di affrontare il dolore a viso scoperto, con grande fiducia nella letteratura
Recensione
Jacopo scrive. Scrive fiumi di parole sui fogli per incartare la carne nella cella frigorifera della macelleria di suo padre. Scrive temi adulti che fanno il giro della scuola. Scrive poesie e liste di nomi. Scrive di sua madre, scrive le cose che dice sua madre.
Madre senza nome, chiamata “segretaria”, definita dunque dal suo lavoro, quello che non ha nemmeno più ma che amava tanto, madre bizzarra, ribelle, capricciosa, bellissima, sensuale, ingombrante, bambina.
Lui figlio, bambino adulto prima e adulto bambino dopo, attratto e respinto allo stesso tempo dauna radice ambigua, che accoglie e respinge, che lo fa sentire tutto e niente.
Un rapporto totalizzante che si rifletterà anche nelle sue relazioni amorose, in una sorta di aridità o difficoltà affettiva che sembra non offrire pace: Jacopo, impiegato dei servizi sociali del Comune di Napoli, partecipa ai corsi di formazione pomeridiana solo per rimorchiare donne divorziate da scaricare quasi subito.
Jacopo cresciuto in un ambiente femminile: mamma, nonna, suore, compagne di classe (è l’unico maschio per lungo tempo). Unico uomo il padre, che non vive più con loro, ma è in eterna discussione con la segretaria, discussioni dove lui impreca in dialetto e lei risponde in italiano, due lingue così diverse in senso anche metaforico, che delimitano le loro differenze e incomprensioni.
Un padre che, tuttavia, sa essere presente, se non con le parole o i gesti affettuosi, ma che porta da mangiare, dà a Jacopo i soldi “per il cassetto”, conserverà per anni i quaderni che il figlio lascia nella cella frigorifera, e si prenderà cura anche della donna, con discrezione, con gentilezza, quando verrà ricoverata in clinica, Villa Arby, dopo essere stata trovata a vagare in strada vestita da sposa.
“Andai a Villa Arby. Mia madre continuava a comportarsi come aveva fatto per l’intera vita,alternando fasi positive a fasi negative, settimane di gioia a settimane d’inferno, giorni nei quali era serena e ragionevole, ad altri nei quali provava rabbia verso il mondo, in particolare verso mio padre e sua madre, colpevoli di averle fatto lasciare il lavoro da segretaria alla Brahms edizioni musicali. È difficile dire dove sia esattamente sua madre in questo momento”, mi disse il medico”.
La vita di Jacopo trascorre come in un tempo sospeso, in salti continui fra presente e passato, fra iperiodi di quando era bambino, sottoposto alle intemperanze della madre, e quelli del disimpegno sentimentale e l’apparente fuga dal reale e dalla vita (persino dal cibo, dal sonno, oltre che dalle relazioni) della vita adulta, un tempo eternamente congelato, determinato unicamente da questo suo rapporto esclusivo e complicato con la madre.
Madre che in realtà aveva cominciato le sue “stranezze” ben prima di essere ricoverata, fra assenze di coscienza e tremori che evocano già l’Alzheimer da cui verrà colpita, ma che inizialmente sembrano solo stravaganze, forse addirittura consapevoli. Fino all’inevitabile epilogo.
Un romanzo di una potenza per così dire “antropologica”, che scava negli abissi più profondi dell’essere figli e dell’essere madri, entità unica per 9 mesi che ha subìto il distacco forzato col parto, ma che, soprattutto nel caso di figli di madri single, è un continuo tentativo reciproco di tornare alla condizione fusionale primigenia. Un’energia potente, tuttavia distruttrice delle possibilità identitarie filiali, che solo nell’emancipazione trovano la possibile crescita e realizzazione.
Sarà alla fine un’altra donna, Veronica, anche lei anima sospesa in bolle di “non decisione” e “non azione”, che volente o nolente darà la svolta. Donna così diversa dalla “segretaria” e forse proprio per questo non foriera di sventure, in grado di offrire a Jacopo il riscatto.
Su tutto resta lei, sempre, la madre, la segretaria, la distruttrice. Figura ammaliante, quasi di sirenadal richiamo irresistibile, irresistibilmente intemperante, impossibile da non amare.
“In fondo mi è sempre piaciuta di lei questa forza distruttrice. Ero convinto che la sua bellezza provenisse proprio da quell’energia fatta per generare stelle la cui vita era di pochi istanti. Bagliori nel buio dell’universo. Era il contrario di mio padre che invece cercava di salvare qualunque cosa. I loro litigi scaturivano dalla contrapposizione delle forze che li abitavano. La distruttrice contro l’accumulatore. Era anche la ragione per cui era sempre mio padre a venire da noi, costretto a rincorrerci per tenere assieme quello straccio di famiglia che non riusciva proprio a lasciare andare. Invidiavo lei, ma ero come lui. Questo faceva di me un debole, un fifone. Uno che non avrebbe mai avuto il suo splendore”.
Un romanzo crudo, un po’ decadente ma spesso ironico, estremamente poetico.
A cura di Sara Zanferrari
Gianni Solla
Autore napoletano, classe 1974. Ha pubblicato Il fiuto dello squalo (Marsilio, 2012), Airbag (Ad est dell’equatore, 2008), le raccolte di racconti, Tropico di San Giovanni a Teduccio (Senza Patria, 2011) e Seppellitemi con l’accappatoio (RGB, 2006). Tra il 2005 e il 2010 ha partecipato a numerose antologie tra cui Watersex, Sex Blog, SexUniform (Mondadori), Trema la terra, E morirono felici e contenti (Neo Edizioni).
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