Recensione di Mara Cioffi
Autore: Hanya Yanagihara
Traduzione: Francesco Pacifico
Editore: Feltrinelli
Genere: Narrativa
Pagine: 768
Anno di pubblicazione: 2022
Sinossi. In una versione alternativa dell’America del 1893, New York fa parte degli Stati Liberi, dove le persone possono vivere e amare chi vogliono (o almeno così sembra). Il fragile e giovane rampollo di una famiglia illustre rifiuta il fidanzamento con un degno corteggiatore, attratto da un affascinante insegnante di musica senza mezzi. In una Manhattan del 1993 assediata dall’epidemia di aids, un giovane hawaiano vive con il partner molto più anziano e ricco, nascondendo la sua infanzia travagliata e il destino del padre. E nel 2093, in un mondo lacerato da pestilenze e governato da un regime totalitario, la nipote di un potente scienziato cerca di affrontare la vita senza di lui e di risolvere il mistero delle sparizioni di suo marito. Queste tre parti sono unite in una sinfonia avvincente, con note e temi ricorrenti che si approfondiscono e si arricchiscono a vicenda: una residenza a Washington Square Park nel Greenwich Village; malattie e cure dal terribile costo; ricchezza e squallore; il debole e il forte; la razza; la definizione di famiglia e di nazionalità; la pericolosa giustizia dei potenti e dei rivoluzionari; il desiderio di trovare il proprio posto in un paradiso terrestre e la graduale consapevolezza che non può esistere. Ciò che unisce non solo i personaggi, ma anche queste Americhe, è il loro venire a patti con quello che ci rende umani: la paura, l’amore, la vergogna, il bisogno, la solitudine. Verso il paradiso è un meraviglioso esempio di tecnica letteraria, ma soprattutto è un’opera geniale che affronta le nostre emozioni. Hanya Yanagihara scrive uno straordinario romanzo sul desiderio di proteggere coloro che amiamo – partner, amanti, figli, amici, famiglia e persino i nostri concittadini – e sul dolore che ne deriva quando non possiamo farlo.
Recensione
Quando leggo un romanzo non ho l’abitudine di sottolineare o trascrivere da qualche parte i passaggi/frasi che mi sono piaciute di più, e questo perché molto spesso, trascorso un certo periodo di distacco, quel libro lo rileggo (se mi è piaciuto moltissimo); con questo nuovo romanzo della Yanagihara è praticamente impossibile evitare di appuntarsi i passaggi più significativi, così come è impossibile pensare di poterli poi rileggere completamente slegati dal contesto cui appartengono, perché non parliamo certo di frasi da Baci Perugina.
Verso il paradiso è, senza ombra di dubbio, un’opera ambiziosa e superlativa sotto diversi punti di vista. Come si legge dalla trama, l’opera è suddivisa in tre parti, ognuna delle quali è ambientata in epoche diverse, in un mondo che sembra molto simile al nostro, ma non lo è.
Alla fine della prima parte mi sono ritrovata a pensare di star leggendo una sorta di Dorian Gray rimaneggiato, attualizzato, se vogliamo dire così, un po’ per l’ambientazione Ottocentesca, un po’ per il personaggio, David, che viene catapultato in un amore e in un’esperienza amorosa completamente nuova per lui, che lo porta a sfidare anche le convinzioni e l’autorità del nonno, che cerca di combinargli un matrimonio vantaggioso. Indubbiamente, questa prima parte è quella più “semplice”, in cui l’amore è portatore di libertà e indipendenza.
Il secondo capitolo, invece, è ambientato in un mondo molto più simile al nostro, in cui si affronta il tema della Malattia (una Malattia che non ha nome, ma che è facilmente intuibile dal lettore), che entra nella vita dei protagonisti, Charles e David, tramite un amico di Charles, tale Peter, che purtroppo ne è affetto e che va pian piano abbandonandoci nel corso della narrazione. Yanagihara affronta qui un tema di cui spesso si fatica a parlare, perché mette paura e perciò, si tende a evitarlo: la morte e la preparazione a essa, che ci mette di fronte all’evidenza che di fronte a essa abbiamo tutti reazioni simili: paura, egoismo, voglia di proteggere gli altri e di proteggersi, la voglia di voler riavvolgere il tempo e l’impossibilità di farlo. Le emozioni a cui ci ha abituato l’autrice emergono con forza, anche se per poche pagine e vengono subito spente, riportandoci all’equilibrio originario, con il racconto epistolare del rapporto tra David e suo padre, malato e rinchiuso in una struttura.
Il capitolo finale ci conduce in una New York del futuro, in un mondo devastato da pandemie, endemie e scelte politiche sbagliate, in cui si muovono un nuovo Charles e un nuovo David (figlio di Charles) e una bambina, Charlie, figlia di David. In questo mondo la libertà è un’illusione, tutto è scandito da tempi e regole, tutto è organizzato, spento, asettico, senza emozioni.
Charles è uno scienziato che studia i virus per conto dello Stato e cerca di preservare la nipote Charlie dal dolore, amandola incondizionatamente, anche perché Charlie porta i segni della malattia di cui è stata vittima da bambina. La struttura di questa terza parte, molto particolare grazie all’incedere di narrazioni in epoche diverse, con personaggi diversi e in forme diverse, vede scorrere temi quali la malattia, la reazione al sistema, la ribellione, la sopravvivenza, la morte, la libertà, la famiglia, l’amore che non sempre è come ce lo aspettiamo e la vita.
Parliamo per un istante della struttura del romanzo.
Lo stile della Yanagihara è molto fluido, scorrevole e corposo; ogni personaggio ha una voce propria e un carattere propri, facilmente identificabili. Le scelte strutturali sono un altro esempio dell’incredibile talento di questa autrice: la prima parte, ad esempio, è scritta in terza persona e scorre seguendo il ritmo della vicenda; nella seconda parte la struttura si sdoppia: terza persona per narrare le vicende e la malattia di Peter, prima persona per raccontare la storia personale di David; nella terza parte, la struttura diventa ancora più densa: prima e terza persona si intrecciano e passato e presente si susseguono con cambi di tono e voce molto netti, per accompagnarci al finale.
Inoltre, scrivere di una pandemia, mentre stiamo vivendo una pandemia credo abbia richiesto una bella dose di coraggio e il successo non era certo assicurato. L’autrice l’ha fatto con originalità e consapevolezza, ma soprattutto con plausibilità, portando lentamente la società al collasso scientifico, politico e sociale.
Potrei parlare di tanti personaggi che mi sono rimasti nel cuore, che mi hanno stupito e commosso, così come potrei parlare dei luoghi che, quasi inspiegabilmente, sono diventati anche un po’ casa mia: l’isola di David, la New York di Charles, la colonia di Edward; ogni reincarnazione di questi personaggi mi ha lasciato emozioni davvero difficili da spiegare.
Un romanzo che non si fa dimenticare.
Hanya Yanagihara
Hanya Yanagihara: Hanya Yanagihara, scrittrice statunitense di origini hawaiane, ha pubblicato il suo primo romanzo, The People in the Trees, nel 2013. Ha scritto di viaggi per Traveler e collabora con il «New York Times Style Magazine». Una vita come tante, il suo secondo romanzo uscito nel marzo 2015, è stato un successo mondiale, vincitore del Kirkus Prize, finalista al National Book Award e al Booker Prize, tra i migliori libri dell’anno per il «New York Times», «The Guardian», «The Wall Street Journal», «Huffington Post», «The Times». In Italia è stato pubblicato da Sellerio nel 2017. Nel 2020 viene pubblicato da Feltrinelli Il popolo degli alberi e nel 2022 Verso il paradiso
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