Vite ribelli,




BELLISSIMI ESPERIMENTI

Saidiya Hartman


Traduttore: Maria Iaccarino

Editore: Minimum Fax

Genere: Biografia

Pagine: 476

Anno edizione: 2024

Sinossi. Cosa significa desiderare una vita bella quando la sopravvivenza stessa non può essere data per scontata? Come si fa a immaginare la libertà quando si è costrette a sottostare alle regole dell’esclusione? Due o tre generazioni dopo la fine della schiavitù, le giovani donne nere scoprivano la città e le sue promesse e rifiutavano i ruoli angusti che la società aveva loro assegnato. Prima degli scrittori, prima dei predicatori e degli studiosi di questioni razziali, le ragazze nere si interrogavano sul senso profondo della libertà e scoprivano che era possibile portare avanti una vera e propria rivoluzione agendo sull’unica dimensione di cui potevano avere il controllo, quella intima. Per descrivere il mondo attraverso i loro occhi, Saidiya Hartman parte dagli archivi – fascicoli della polizia, articoli, album di famiglia, resoconti dei sociologi – da cui trae l’ossatura delle vicende che racconta. Vite ribelli, bellissimi esperimenti racconta storie di amore liberissimo, di madri «single» ma tutt’altro che sole, di lavori umilianti rifiutati e di affetti nati dentro le stanze di un carcere femminile. Riportare alla luce ciò che è stato cancellato o rimosso, dare la parola al silenzio: questo è il lavoro straordinario che Hartman svolge con rigore e partecipazione, incrociando le storie di queste donne disobbedienti a quelle di personaggi noti come Billie Holiday, Paul Laurence Dunbar e W.E.B. Du Bois, ma lasciando che sia sempre «il coro» ad occupare il centro della scena.

 Recensione di Ilaria Bagnati

Saidiya Hartman ha raccolto numerose storie di donne nere che hanno vissuto a cavallo tra il XIX e XX secolo principalmente nei ghetti di Philadelphia e New York. Queste donne, due o tre generazioni dopo la fine della schiavitù, continuano ad essere emarginate, prese di mira dai bianchi, da polizia e politica.

Le donne nere continuano ad essere considerate la feccia della società e l’unico lavoro possibile per loro è il lavoro domestico. Secondo il sociologo Du Bois il servizio domestico preservava «le ultime vestigia della schiavitù e del regime medievale».

La «degradazione personale sul lavoro» era tale che «qualsiasi uomo bianco preferirebbe tagliare la gola alla figlia piuttosto che lasciarla crescere con un tale destino». Al mondo «non esisteva fonte di prostituzione più grande di questo grado di servitù».

Molte donne preferivano prostituirsi piuttosto che lavorare come domestiche, adesso lavoravano sulla schiena e sulle ginocchia, ma almeno non era un lavoro massacrante, e pagava di più.

L’unico modo che avevano per ribellarsi era quello di utilizzare il proprio corpo come meglio credevano, amavano appassionatamente, amavano altre donne e si donavano quando e come preferivano. La loro rivolta era silenziosa ma faceva comunque rumore. 

La Hartmann ha fatto un lavoro immenso di ricerca tra articoli di giornale, fascicoli della polizia, referti di medici e psicologi, album di famiglia, resoconti vari. L’autrice ci racconta le storie di tante donne che sono state dimenticate, donando così loro nuova luce e importanza. Queste donne sono state ribelli e il loro modo di vivere, di ribellarsi è stato un bellissimo esperimento.

Vite ribelli, bellissimi esperimenti è un libro necessario, costituisce un contributo meraviglioso alla storiografia contemporanea. Non a caso il New York Times lo ha inserito tra i migliori libri del Ventunesimo secolo.

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Saidiya Hartman


scrittrice e accademica, vive a New York, dove insegna alla Columbia University. Studiosa di storia culturale, fotografia e filosofia etica, nella sua carriera si è concentrata sulla cultura afroamericana e sulle intersezioni tra diritto e letteratura. Oltre a Vite ribelli, bellissimi esperimenti ha pubblicato Perdi la madre (Tamu 2021) e Scenes of Subjection: Terror, Slavery, and Self-Making in Nineteenth-Century America. Tra i molti riconoscimenti, ha ricevuto una borsa di studio Fulbright, una Guggenheim Fellowship nel 2018, una MacArthur Fellowship nel 2019. Nel 2022 è entrata a far parte dell’American Academy of Arts and Sciences.

A cura di Ilaria Bagnati

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