Intervista a Marco Di Tillo




A tu per tu con l’autore


Ho trovato i personaggi di Marco Canepa e Gianni Galletti estremamente interessanti. Entrambi hanno una profondità interiore che tentano di nascondere con ruvidezza e battutine ma, se si va a leggere fra le loro parole e i loro gesti, ci si accorge subito che il loro passato non li ha mai completamente abbandonati. Hai voglia di parlarci un po’ di loro, raccontandoci come sono nati e chi, fra i due, ti assomiglia di più caratterialmente.

Ogni scrittore mette un po’ di sé nei suoi personaggi. Naturalmente questo è vero anche per me. A volte le cose si fanno anche un po’ inconsciamente, senza un disegno preciso. Ma succede. E così forse in Canepa c’è un po’ del mio carattere, mi piace spesso scherzare e cercare di non prendere la vita proprio dritto per dritto ma un po’ di taglio, trasversalmente. E poi, forse nel poliziotto genovese, c’è anche un po’ di malinconia simile di qualcosa del passato o, forse, di persone. Soprattutto nei primi tre libri della serie. Gianni Galletti, invece, ha la mia stessa età e, da dirigente in pensione, oggi scrive gialli. Certo che mi assomiglia un po’. Anche se dai suoi libri si sta per realizzare una serie su Netflix e dai miei ancora no. Ma finché c’è vita è speranza, no?

In questo romanzo, si va a scandagliare temi scomodi e soprattutto, i dietro le quinte che si cerca di tenere sempre nascosti perché è meglio non far sapere. A questo riguardo ad un certo punto si legge: “Ad un tratto ti accorgi che dietro a quei sorrisi, a quella finta felicità, c’è tutt’altro.”. Quanta fatica costa, secondo te, e quanto ci roviniamo la vita, ogni giorno, nel tentare di mostrare ciò che in realtà non è alle altre persone? E poi, perché lo facciamo a tuo avviso, per codardia e voglia di mostrarci superiori? Che poi diciamolo, ad un certo punto, la maschera potrebbe anche sgretolarsi. Che ne pensi?

Non tutte le persone sono uguali, naturalmente. È sempre una questione di carattere. Molti, è vero, cercano sempre di presentarsi al mondo con sorrisi e gentilezza, cercando di ispirare fiducia e tranquillità, anche quando non sono davvero del tutto sereni e felici. Lo fanno per offrire di sé una buona immagine, non riescono a farne a meno. Preferiscono bluffare e cercare di convincere gli altri della loro buona disposizione d’animo. Altri invece se ne fregano e sono sempre esattamente come sono. Non imbrogliano e, spesso, offrono un aspetto burbero e antipatico, ma non si fanno assolutamente problemi. Faccio due esempi su tutti: Vittorio Sgarbi e Nanni Moretti. Non so se ho reso l’idea.

“Riuscirà tuo marito a venirne capo?…

… io spero proprio di sì…

… lei pensa che saremo tutti più soddisfatti quando, infine, troveranno il colpevole?…

… io rivoglio la mia amica…Che me ne faccio di un assassino condannato a vent’anni?” Questo breve dialogo tocca un tema importante, poiché prova a trovare il modo di portare sollievo davanti ad un evento per il quale non è possibile tornare indietro. Che vi sia giustizia alternativa o che la persona paghi per le sue colpe in modo lecito, davanti a una morte, per chi rimane, il conforto tarderà ad arrivare, rendendosi conto che la morte è un atto definitivo. Cosa ne pensi?

Io penso che la natura dell’uomo si divida quasi sempre in due parti ben precise. La prima è la parte razionale che offre risposte molto chiare. In questo caso: “Va bene, hanno arrestato il colpevole, ma la persona che hanno ammazzato, non torna più indietro.” La seconda è la parte irrazionale, più aggressiva: “Non sarò mai contento finchè non arresteranno e puniranno quell’assassino bastardo.”

“I libri sono pieni di rapporti d’amore e di amicizia che sembrano perfetti e che, invece, non lo sono affatto. La verità è che noi esseri umani non ci diciamo mai tutta la verità e non lo facciamo sia nel nostro rapporto di coppia sia con gli amici.

Magari non diciamo la verità neanche a noi stessi, no?” Qual è il rapporto dello scrittore Di Tillo con la verità e altrettanto, come vede la verità Marco, la persona?

Direi che nel romanzo c’è soprattutto il dubbio atroce che qualcuno che amiamo non sia esattamente quello che pensavi. Credo che sia qualcosa che abbiamo provato tutti. Quante volte le persone che amiamo ci sono improvvisamente apparse in un altro modo e abbiamo avuto appunto dubbi che non fossero esattamente come noi le avevamo “battezzate”? C’è gente che ho conosciuto e che ha vissuto insieme ad un amore per decenni ed improvvisamente ha scoperto che quella persona aveva vissuto una vita completamente diversa, parallela. Insomma, quanti di noi sono stati protagonisti di un Truman show e non se ne sono mai accorti?

Uno dei tuoi personaggi, ad un certo punto afferma: “Tutto possiamo capire noi uomini, ma assolutamente mai la mentalità di una donna.”. Inutile negare che grande spazio se lo prendono nel tuo romanzo pure loro, le signore di questa storia, a partire dalla defunta, per poi passare attraverso la moglie di Galletti sempre in prima linea, per arrivare alla moglie di Canepa e perché no, con qualche fuori onda anche la suocera di quest’ultimo, infestante e urticante come una pianta d’ortica. È vero, secondo te, che a fianco ad un uomo in gamba c’è sempre una donna più in gamba di lui?

Sono fermamente convinto che, nella mia vita, non ho mai capito fino in fondo una donna e che io le donne non le capirò mai. Penso che la differenza tra i due generi non sia solamente fisico ma che ci siano proprio due linee di pensiero completamente diverse, di gangli nervosi che arrivano al cervello con dinamiche differenti. È per questo che le donne mi affascinano tanto e che lo hanno sempre fatto, perché sono diverse e le diversità, appunto, affascinano ed incuriosiscono. Come quando entriamo dentro una Chinatown o in un Mercato Orientale, mondi diversi dal mercatino rionale sotto casa. Comunque, secondo me, non è vero che dietro ad un uomo in gamba c’è sempre una donna in gamba. È vero invece che ci si accompagna insieme, in gamba tutti e due. Oppure no.

Nel tuo libro, si legge che Galletti non è tipo da prepararsi prima tutta la documentazione, la scaletta e il materiale per scrivere un libro, preferendo invece che sia la storia a guidarlo durante tutto il percorso creativo. Tu invece, Marco Di Tillo, sei un autore scrupoloso che riunisce e ricerca tutto prima o usi lo stesso sistema di Galletti?

Io sono esattamente come Galletti. All’inizio del libro so solo che avviene un omicidio, chi ha ucciso e perché. Per l’esattezza parto da un’immagine, in questo caso una donna trovata morta dentro ad una vecchia barchetta sulla spiaggia. Ma il modo in cui poi le cose accadono nei dettagli e nelle dinamiche me lo raccontano dopo i personaggi, con i loro pensieri, con i loro dialoghi. Non ho affatto una scaletta precisa e tengo moltissimo ai dialoghi. All’inizio della mia carriera come autore Rai, ho scritto molto per la radio, originali radiofonici, insieme a Serena Dandini. I dialoghi sono parte essenziale per me e a volte non riesco a leggere molti colleghi scrittori, perché hanno dialoghi improbabili. Però niente scalette precise. Ho collaborato in passato con uno scrittore americano, Augustine Campana, e abbiamo scritto insieme, a quattro mani, due thriller pubblicati negli Usa in inglese, “The Other Eisenhower” e “The Dolffuss Directive”. Lui è un militare in pensione, molto preciso e perfettino. Ci incontravamo su Skype un paio di volte alla settimana e lui voleva sapere da me tutto  quello che avveniva nel romanzo fino alla fine. Io gli rispondevo che non lo sapevo e che dipendeva molto dai dialoghi che avrei scritto il giorno dopo. Lui impazziva, non riusciva a crederci. Poi alla fine credo che sia venuto fuori un bellissimo lavoro. I libri si trovano in vendita online e sono andati molto bene.

Il tema nascosto, almeno fino ad un certo punto del romanzo, fa male, è inutile girarci intorno e negarlo. Io non voglio entrare troppo nell’argomento per non rovinare la lettura di chi ancora deve approcciarsi alla tua storia, ma ti chiedo, come e perché hai scelto di affrontarlo?

Purtroppo, come dici tu, se parliamo di questo, scopriamo un po’ troppo le carte. Posso dire, tanto per mettere un po’ di curiosità, che il tema di cui non si può parlare ha molto a che vedere con le tematiche delle storie della mia altra serie poliziesca, quella con protagonista l’ispettore romano Marcello Sangermano, edita da Arkadia. Sono usciti tre romanzi: “Destini di sangue”, “Dodici giugno” e “Il palazzo del freddo”. Non aggiungo altro.

Quando si parla di libri Frilli, il luogo ha sempre un suo ruolo all’interno della storia. Qui ci troviamo a Recco, località di mare che attraverso le descrizioni di Galletti assume la forma di un quadro magnificamente descritto. Come mai hai scelto questa location?

Recco è la cittadina in cui Marco Canepa ha sempre vissuto, insieme ai suoi genitori. Suo padre Ermanno era una stella della Pro Recco pallanuoto. Quando, nei primi tre libri, Marco lavorava alla squadra omicidi della Questura centrale di Genova, ogni sera tornava a casa e, magari, andava a giocare a ping pong, nella squadra del Recco Spin che si allenava nella palestra sotto la chiesa dei Santi Giovanni Battista e Bono. All’inizio di quest’ultima storia, invece, Marco Canepa dirige la stazione di polizia di Recco e quindi lavora a due passi da casa sua, dove vivono la moglie Simona ed il figlio Lorenzo.

Io sono in arretrato dei tuoi primi tre romanzi e prometto che con calma li recupererò, ma bolle già in pentola un seguito a quest’ultimo? Soprattutto, in merito a Canepa e al suo continuo ritornare al passato e a suo padre, ci sarà un prosieguo più esplicito a riguardo?

Ci sto lavorando, ma non so ancora quando, come e perché. Ci vuole tempo. In passato ero uno scrittore più veloce, lo ammetto. Ma adesso impiego un po’ di più a scrivere, anche perché cerco sempre di offrire prodotti migliori, come un bravo artigiano e di non correre tanto per correre. Bisogna trovare storie ed argomenti adeguati e non è facile, con tutti quei libri gialli che escono ogni giorno, essere originali. Una volta, nel nostro paese, eravamo tutti direttori tecnici della nazionale italiana di calcio. Oggi, anche perché la nazionale non va bene da tempo, sembra invece che siamo tutti diventati scrittori di gialli. Tutti ne hanno uno nel cassetto, non è così?

Quando Marco Di Tillo smette gli abiti dello scrittore, si trasforma in un lettore vorace? Anche lui ha uno spazio nella sua libreria per gli autori nordici?

Leggo moltissimi gialli, è vero, e soprattutto autori scandinavi. Il mio preferito è Henning Mankell che, purtroppo, oggi non è più tra noi. E poi Arnaldur Indrioason, islandese, oppure Hakan Nesser. Ma ho letto e continuo a leggere un po’ di tutto. Come avrai capito, prediligo il genere del poliziotto tutto pensieri, dialoghi e intuizioni geniali, piuttosto che corse, cazzotti e sparatorie all’americana. In fondo continuo ad essere orfano del mio amato Maigret in bianco e nero, interpretato dal grande Gino Cervi. Ma di orfani come me, ce ne sono tanti simili qui in Italia, no? Basta essere nati negli anni ’50 e aver avuto in casa una sola rete televisiva, un televisore rivestito di legno scuro con un’antennina traballante poggiata sopra.

Un grazie da parte mia e da tutta la redazione di Thrillernord.

Loredana Cescutti!

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