Editore: Garzanti
Pagine: 288
Genere: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2017
La Milano degli Anni ’10 non è più “da bere”: non sa più di Spritz, di zafferano e panettone mandorlato, di grisaglia rampante, intrecciata alla seta, ai lussi e agli eccessi faticosamente (e consapevolmente) guadagnati dopo ore di ufficio e rischi ben calcolati.
La Milano degli Anni ’10 è un Naviglio in secca, un aperitivo al volo, un vetro sottile, un “co-working” in cui tante bolle siedono gomito a gomito accanto a un tavolo di design senza mai entrare davvero in contatto o quantomeno in rotta di creativa collisione, mescolando risorse, tessuti, vissuti. Soprattutto, sembra che l’unica cosa che resti da bere, a Milano – città-campione di un’Italia “in crisi” – sia un cappuccino con poca schiuma, un calice amaro con cui buttare giù pastiglie di Azerax una dopo l’altra, per azzerare, appunto, ansie e percezioni, un esercizio sintetico e pericoloso dell’anima, che “solleva la preoccupazione dal petto, la paranoia di non riuscire”.
È qui che si muovono Anna e Teo, che non hanno più sogni o forse ne hanno troppi, ma sono sprovvisti di mappa. E le ragioni sono molteplici eppure indefinite: la ciclicità del tempo, della storia, dell’economia; la perdita di punti di rifermento e le promesse non mantenute; la voglia e l’ambizione di “fare meglio” della generazione precedente… Ma come andare contro un moto periodico, come raggiungere le torri d’avorio accademiche, come superare chi ha già fatto e avuto tutto?
Anna si è sempre sentita fuori posto, bloccata dalla paura della felicità che le ha impedito di immergersi nelle cose, di toccare la vita con tutte le dita, un timore che le ha regalato una mancanza e un senso di colpa, che l’ha fatta rifugiare tra braccia estranee, fredde e allo stesso tempo bisognose di conferme (purché non lo si dica ad alta voce); una fobia che tuttavia può diventare motore con il giusto carburante.
Può essere Teo questo combustibile?
Matteo Arnaboldi, trent’anni superati da poco insieme a esperienze importanti, scontri e segreti di famiglia, consapevole del proprio potenziale, “chiaro e giusto” all’apparenza, ma “abituato a non risparmiarsi, a disgregarsi a furia di darsi” e per questo devastato. Raffaella Silvestri scrive un romanzo generazionale, che mette in luce – perdonate il gioco di parole – ombre e rabbia repressa, scopre angoli nascosti, tappeti che celano polvere e rimorsi, frustrazioni inevitabili e autoalimentate.
Attenzione, però, non siamo di certo di fronte a un manifesto del pessimismo: se le certezze sono fragili come specchi antichi, si può andare incontro al futuro anche con un bagaglio leggero o le tasche vuote e riempirli in seguito di frutti appena nati; ci si può lasciare attraversare da un’elettricità silenziosa, pervasiva, rigenerante, impossibile da ignorare; si possono mettere insieme paure differenti e trasformarle in qualcosa di nuovo e di attivo con un’azione assoluta, che non tenga conto di un passato troppo forte, troppo pop e troppo yuppie per essere replicato, né di un futuro illeggibile, a meno che non si abbia familiarità con i tarocchi; si può smettere di temporeggiare, di essere Wendy e Peter e iniziare a volare a bassa quota… Non perché abbiamo deciso di accontentarci, ma perché la città, vista da vicino e sotto la luce giusta, è più bella. Anche negli Anni ’10.
L’AUTRICE: Raffaella Silvestri è nata a Milano nel 1984. Ha vissuto a Helsinki, Londra, Milano. Ha scritto La distanza da Helsinki (Bompiani, 2014). La fragilità delle certezze è il suo secondo romanzo.