Recensione di Francesca Petroni
Autore: Elie Wiesel ( a cura di Sibilla Destefani )
Editore: La Giuntina
Genere: Saggistica
Pagine: 76
Data di pubblicazione: 24 gennaio 2019
Sinossi. Nell’ottobre del 1999, nell’aula magna dell’Università di Friburgo, Elie Wiesel pronuncia un discorso incentrato sul rapporto tra passato e futuro dal quale emerge l’interrogativo: come fare i conti con un passato gravido di orrori come quello dell’Europa del Novecento? Che fare dei cumuli di cadaveri, dei bambini assassinati, della complicità silenziosa di chi sapeva ed è rimasto a guardare? Questo discorso di Wiesel, rappresenta un appello a resistere alla tentazione della violenza e alla banalizzazione della memoria. E sullo sfondo Wiesel ci pone una domanda sempre attuale: se Auschwitz non è riuscito a eliminare l’ingiustizia, cosa potrà riuscirci? Postfazione di Daniel Vogelman.
Recensione
Gennaio 2019 “L’uomo cammina sulla luna senza sapere cosa vi stia cercando; andiamo alla conquista dello spazio e dimentichiamo la terra. Prolunghiamo la vita e isoliamo i vecchi. Celebriamo i diritti umani mentre il razzismo non cessa di diffondersi.””[…] gli assassini uccidevano, i bambini morivano e il mondo taceva.”
Mentre leggevo questo saggio, ho pianto. Mi si è spezzato il cuore.
Quando l’ho scelto, forse sapevo che sarebbe successo, ma questo non ha impedito che accadesse. Il discorso di Wiesel avrebbe potuto tenersi ieri, o oggi, o magari domani. Niente delle sue parole ha il sapore del passato, nonostante di questo si parli.
Per Nietzsche(1) il passato era una catena e l’uomo invidia l’animale che, invece, non avverte su di sé il fardello pesante della storia. Il passato paralizza la scelta e l’uomo che ricorda è destinato a una perenne sofferenza.
Attenzione, però: Nietzsche parla del passato storico, vanaglorioso ed enciclopedico che non può essere una risorsa per il futuro. A dispetto dell’uso sconsiderato e colpevole che si è fatto del suo nome, aveva predetto che il passato imitato, privo di vita della cultura tedesca, avrebbe portato a un futuro disastroso per l’Europa.
Al contrario, scrive anche, quando la storia e la memoria esprimono qualcosa di significativo nei confronti del presente e del futuro, incentivando l’azione piuttosto che ostacolandola, solo allora la storia rappresenta per l’uomo un’immensa sorgente a cui attingere e a cui appellarsi. Solo così la cultura cessa di essere un terreno arido e privo di frutti.
Questo, però, non è stato fatto. Il passato non è stato una risorsa, ma la radice di tutto male che stava per accadere.
Allora torniamo a Wiesel e alla forza della sua accusa nei confronti di chi ha banalizzato (o peggio ancora, negato) la memoria della Shoah. C’è chi ricorda dai documenti: date e numeri. Non si ascoltano le voci, non si sente il dolore dell’uomo. Questo tipo di memoria è inutile.
E allora la sua domanda risuona ancora più dolosamente:
“Non abbiamo dunque imparato nulla, compreso nulla? Se Auschwitz non ha potuto eliminare il fanatismo, cosa potrà riuscirci? Cosa bisogna fare perché, sulla soglia del ventunesimo secolo, l’uomo ammetta finalmente questa verità implacabile: quando un popolo è minacciato nel suo destino, sono tutti gli uomini a essere minacciati?”
E’ necessario che la storia non si ripeta e l’unico modo è ricordare. Fa male, è vero. Fa male non avere spiegazioni al punto di essere tentati di sminuire, persino negare. Ma la verità è che tutti sapevano e nessuno ha fatto niente.
Eppure, questa non è un’accusa. Tipico della memoria ebraica non è ricordare per accusare, ma per insegnare:
“dobbiamo impegnarci affinché la nostra memoria sia fonte di conforto e di umanità. Per servire anche l’umanità degli altri. Dobbiamo insegnare in un più gran numero di scuole, ispirare ai nostri giovani un amore più grande per il nostro popolo e per tutti i popoli.”
Anche il male può farlo e forse è questo l’unico modo per sopportare il dolore che fa ancora, che farà sempre.
“Ma d’altro canto, senza la facoltà di trasformare il passato in ricordo, che cosa farebbe l’uomo? L’uomo cesserebbe di pregare, di sognare, di lasciarsi stupire dall’amore e attirare dall’amicizia. “
Ed è proprio l’uomo a essere il ponte fra passato e futuro. Come afferma Elie Wiesel, a nessuno si deve consentire di mettere gli uni contro gli altri perché questo significa sminuirli e indebolirli.
Quanta attualità nelle sue parole. Oggi come mai è necessario che il futuro porti con sé il passato, ma non come una catena, bensì come un insegnamento doloroso e consapevole.
Un futuro che non immobilizzi, ma che sia figlio di scelte, di azione contro chi attenta all’umanità svuotandone di significato la memoria.
“In altre parole, è il passato, e ciò che scegliamo di farne, che determina e costruisce il futuro. Chiunque cancelli il passato uccide il futuro.”
Perché non riaccada mai più.
Da leggere assolutamente, meraviglioso.
(1) (il riferimento a Nietzsche è in “Sull’utilità e il danno della storia per la vita”, scritto e pubblicato da Friedrich Nietzsche nel 1874 come seconda delle sue quattro “Considerazioni Inattuali“.
In “Ecce Homo” Nietzsche scrive: «Le Considerazioni Inattuali sono scritti sostanzialmente polemici, il cui assalto fu diretto contro la cultura tedesca che già allora consideravo con un disprezzo senza limiti. Senza senso, senza sostanza, senza scopo: una semplice opinione pubblica.»)
A cura di
Elie Wiesel
Elie Wiesel, scrittore e giornalista statunitense di origini ebraico-ungheresi, nato a Sighetu nel 1928 e morto a New York nel 2016. Sopravvissuto ad Auschwitz e Buchenwald, dove perde i genitori e la sorella minore, nell’aprile 1945 viene assegnato a un orfanotrofio francese. Dopo gli studi di filosofia alla Sorbona si dedica al giornalismo. La prima prova letteraria è un lungo racconto della sua esperienza nei lager, scritto in yiddish e pubblicato in Argentina nel 1955; consigliato da Mauriac (con cui instaura una profonda amicizia) ne ha affronterà poi la riscrittura in francese, dando vita a uno dei capisaldi della letteratura dell’Olocausto, La notte (1958): in una prosa scarna e frammentata, il romanzo descrive il sovvertimento di ogni valore umano, fisico e spirituale, la «notte» appunto, della razionalità e della fede nell’anima individuale e dell’intero genere umano.
Cittadino statunitense dal 1963, insegna all’università di Boston e ottiene molti riconoscimenti di prestigio, tra cui il Nobel per la pace (1986), per il messaggio di umanità e speranza trasmesso dalle sue opere.
Sibilla C. Destefani
Sibilla C. Destefani è nata a Lugano nel 1987. Dopo la laurea in Lettere, ottenuta a Ginevra nel 2011, si trasferisce a Zurigo, dove nel 2016 ha conseguito un dottorato di ricerca in Letteratura italiana e dove tutt’ora risiede.