Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Francesco Guccini
Editore: Giunti
Pagine: 288
Genere: Autobiografia
Anno di pubblicazione: 2020
Sinossi. Che aspetto avrà avuto un mio probabile (o improbabile) antenato, quel Guccino da Montagu’ che, secondo un documento del Cinquecento, è chiamato come testimone in un processo riguardante dei possedimenti fondiari? “Non so che viso avesse…”, è il caso di dirlo»: come sempre, per raccontare di sé Francesco Guccini parte dalle radici. La famiglia di mugnai che per secoli fatica e lotta in una valle tra gli Appennini, il padre che per primo fa un mestiere diverso, e poi lui, il giovane Francesco, che presto impara a giocare con le parole – come cronista alla «Gazzetta dell’Emilia», come insegnante di lingua italiana, poi come autore di testi in versi e in prosa – e con la musica. E poi le osterie, le grandi amicizie, i viaggi tra la via Emilia e il West, la passione civile e quella amorosa, la chitarra, la scrittura, i compagni di strada ormai partiti «per più verdi pascoli»: in questo libro corre veloce il racconto di una vita che ha accompagnato le nostre con il timbro della sua voce inconfondibile. E se – come suggerisce Guccini stesso in apertura – scrivere una autobiografia è forse impossibile, queste pagine ci consegnano comunque il senso di una vita intera animata dalla fiducia nel “canto” (nelle sue molteplici accezioni) come strumento di conoscenza e di resistenza.
Recensione
“Non so che viso avesse…”
Ignote sono le fattezze del ferroviere de La locomotiva, slanciato in una corsa, che non ripassa dal via e non arriva al traguardo, contro l’ingiustizia, verso un vagone di “potenti”.
E senza volto, perché si perde lontano del tempo, è quell’antenato “munaro” che già nel Cinquecento macinava cereali e castagne a “Monteacuto delle Alpi, un bellissimo paese arroccato su un cocuzzolo di monte.
Alcuni ricordi di Francesco e certi personaggi del “contastorie” Guccini hanno tratti somatici abbozzati, confusi dalla memoria e dal folklore, ma la loro impronta, la carica e il carisma sono netti e riconoscibili a mille miglia, in una mescolanza di arte e vita, di osteria e metrica. Così anche il giovane che voleva fare lo scrittore è indissolubile dal cantautore di generazioni di ribelli, rivoluzionari, sognatori, eterni ragazzi.
Il cantore di Amerigo ha appena compiuto 80 anni, e la sua vita, densa di letture, sodalizi artistici, viaggi e narrazioni, è degna di un romanzo, ma se autore e protagonista coincidono, sarebbe più corretto parlare di autobiografia… Tuttavia, come cimentarsi in una simile impresa?
Non bastano i “nacqui” e i “crebbi” dickensiani, perché ogni fatto richiederebbe approfondimenti e digressioni, a partire dal rapporto con i felini: è sufficiente nominare gli “undici gatti che si sono degnati di farmi compagnia, accondiscendendo a vivere per molti anni accanto a me, ognuno con il proprio carattere, ognuno con la propria storia gatta”, quando ogni piccola tigre meriterebbe (anzi, pretenderebbe!) un’opera a sé, o magari sette?
E come sintetizzare un incontro, una parentela, un’amicizia che attraversa un intero percorso, cambia e ti cambia?
Francesco se lo domanda, ma poi l’energia vitale, l’urgenza (e l’incanto) del racconto prendono il sopravvento, e allora via con le estati al mulino, le giornate al fiume, le prime carezze tra le frasche, la goliardia, le chitarre – da amare, rispettare, chiamare muse, compagne e regine, sono donne! – i concerti, il vino.
Ogni capitolo ha una voce e un ritmo, è già canzone, e chi legge può unirsi al coro, prendere parte alle contestazioni giovanili e ai mitici ’60-’70, anche se è nato decenni dopo o prima. Potere della parola azzeccata e della nota al punto giusto del pentagramma: stracciano le carte d’identità, abbattono muri, oltrepassano il Rubicone con legioni di immagini e passioni.
Guccini cuce storie e tradizioni e tiene il ritmo come un rapsodo, poi da tessitore e demiurgo si fa spettatore (ma sempre protagonista) e passa il testimone ad Alberto Bertoni, che con perizia filologica ne ripercorre biografia, carriera e discografia, dimostrando ancora una volta il nutriente bagaglio letterario, storico, fumettistico dietro a ogni strofa, ogni singolo verso, ogni crocevia.
Francesco forse sorride per la chirurgica disamina – che lascia comunque il mistero e il gusto del processo creativo – forse beve un sorso, rimpiange le osterie (ora sostituite, orrore, dalle più pettinate hosterie) e guarda alla sua Pàvana, sente il rumore delle pale del mulino che si allineano al lavorio delle meningi mai ferme e mai stanche, accarezza le corde di una delle due Martin o della Eko e inizia una nuova pagina: la strada è ancora lunga e per una nuova storia, una pagina, un canto è sempre tempo.
A cura di Francesca Mogavero
Francesco Guccini
Francesco Guccini è nato a Modena nel 1940. Cantautore poeta e scrittore, è un mito per generazioni di italiani. Cronista per due anni alla «Gazzetta dell’Emilia» di Modena e cantante chitarrista in orchestre da balera, è stato sporadicamente anche attore, autore di colonne sonore e di fumetti. Per vent’anni, fino alla metà degli anni Ottanta, ha insegnato lingua italiana al Dickinson College di Bologna, scuola off- campus dell’Università della Pennsylvania. Ha esordito nella narrativa nel 1989 con Cròniche Epafániche per pubblicare poi Vacca d’un cane (1993), che insieme a Cittanòva blues (2003) costituisce un trittico di romanzi autobiografici del quale Tralummescuro (Giunti 2019) è l’ideale compimento. Da solo e in coppia con Loriano Macchiavelli ha pubblicato molti altri racconti e romanzi, che hanno avuto uno straordinario successo di pubblico
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