Recensione di Loredana Gasparri
Autore: Stefano Bonazzi
Editore: Fernandel
Genere: Thriller e suspense
Pagine: 252
Data di pubblicazione: 24/01/2019
Sinossi. L’afa d’agosto è insopportabile, soprattutto quando hai dieci anni e sei costretto a startene chiuso in casa con il nonno, una belva in gabbia la cui violenza trova sfogo su di te. E se non puoi frequentare gli altri bambini, anche tu diventi un animale solitario, destinato a crescere somigliando ogni giorno di più al tuo aguzzino. Così finisci per accogliere il seme del male. Lo covi per anni, lo senti germogliare, finché non spunta il desiderio di vendetta. Ma se la persona che ti ha allevato, trattandoti come una bestia, ora è morta, devi scegliere qualcun altro su cui sfogare la tua rabbia…”A bocca chiusa”, romanzo d’esordio di Stefano Bonazzi, racconta la genesi di un assassino. Un viaggio allucinato tra i deliri del protagonista che, partendo da un’infanzia di violenze e privazioni, attraversa una cruda diseducazione sentimentale e sfocia in un finale tragico e spiazzante.
Recensione
Leggere questo libro è equivalso a veder crescere, prosperare e riprodursi un autentico demonio. Almeno per me. Il nome di costui, è gentile: nonno. E anche la definizione che ne dà la voce narrante, il nipote di sei anni (quando apriamo il libro), è ancora gentile, per quanto altrettanto orrenda: orco. Non è una parola che lascia molto spazio ai fraintendimenti: sappiamo tutti cos’è un orco, e non solo dalle fiabe. Qualcuno lo abbiamo anche incontrato di persona.
Qui, però, non è sufficiente. Non è sufficiente a descrivere l’abisso di cattiveria squallida e unilaterale in cui l’uomo adulto con quel nome tenero è piombato, fin dai primi anni della sua storia personale, senza uscirne mai. Al contrario, nutrendosi di odio e rabbia inarrestabili e senza fine, pur passando attraverso un matrimonio, la cura di due figli, e poi il nipote. Niente di tutto questo lo ha cambiato, rasserenato, o rallegrato.
Al contrario. Lo ha rinchiuso ancora di più nel rosso e nel nero della rabbia gonfia di odio, per sé, per il mondo, per le persone, che ai suoi occhi sono solo parassiti, ladri, attentatori. Non sono affidabili, non sono degne di fiducia: spiano, sparlano, attendono il momento giusto per costruire trappole in cui farlo cadere, deridere, annientare e derubarlo di tutto, compreso i suoi soldi. Nessuno è degno di rispetto, fiducia, attenzione. Né i suoi figli (la madre del bambino protagonista), né sua moglie (la nonna, la prima delle sue spaventate vittime), né tanto meno i vicini di casa. Non parliamo di amici: non ne ha, non ne vuole.
Quest’uomo orribile, senza alcun pregio apparente, ha almeno una buona qualità: la schiettezza. È un orco, è un demonio, e non fa niente per nasconderlo. Sono sua moglie e sua figlia che nascondono a se stesse l’orrenda portata di questa natura incattivita senza ritorno. Al punto da affidargli la cura di un bambino inerme e spaventato, che vede e percepisce benissimo l’abisso nero in cui vive suo nonno. Per difendersi come può, mette in atto tutte le strategie a portata di un fanciullo, pur sapendo che il demonio che lo tormenta è sempre un passo avanti a lui. Il terrore, la stanchezza della continua esposizione alle crudeltà fisiche e psicologiche del demonio, sembrano sbiadire un po’ di fronte alla possibilità di stringere amicizia con Luca, il bel coetaneo splendente che sembra averlo preso in simpatia, che lo cerca e vuole la sua compagnia.
Un momento di gentilezza in questa vita giovane già così angariata dal male? Ora il protagonista ha dieci anni, quasi undici, e la sua vitalità, tenuta così tanto a bada per non attirarsi le punizioni crudeli del nonno, non vede l’ora di esplodere e di fare, dire, pensare, creare cose normali! Quelle che fanno tutti!
L’esplosione che avverrà di lì a poco non sarà un’esplosione di vita. Sarà il trionfo del male, della rabbia insensata, dell’odio cieco che vuole solo mietere vittime per sfogarsi. Sarà duro rimettere insieme i frantumi, e il bambino sopravvissuto diventato uomo lo farà poco a poco… per trasformarsi a sua volta in una variante di aguzzino, com’era stato suo nonno. E chi soffrirà, stavolta?
La vicenda narrata ha tinte e colori forti, violente e impietose. Spesso annega nello squallore delle vite che hanno perso la speranza e il desiderio di migliorare e di tenersi al di sopra della disperazione. Le poche luci che brillano, come l’amicizia, l’affetto, l’amore, sono fioche e costellate di rimorsi e rimpianti. Lo stile è un capolavoro di equilibrio. Oggettivo senza essere freddo, animato senza essere melodrammatico, spietato senza scadere nello splatter, anche emotivo.
L’ho trovato anche terapeutico, nella sua capacità di scuotere e di descrivere così bene le tinte e le mosse dell’abuso, e i suoi effetti a cascata sulle persone, persino sugli ambienti.
Non è un libro facile da metter via e dimenticare, una volta finito: è un percorso, un viaggio, e come tale è in grado di gettare semi di trasformazione e di promuovere cambiamenti.
A cura di Loredana Gaspari
Stefano Bonazzi
Stefano Bonazzi nasce a Ferrara nel 1983. Di professione webmaster e grafico pubblicitario, realizza composizioni e fotografie ispirate al mondo dell’arte surrealista. Le sue opere sono state esposte, oltre che in Italia, a Londra, Miami, Seul, Monaco. Il suo primo romanzo, A bocca chiusa, è stato pubblicato nel 2014 da Newton Compton.