Intervista a Victor del Árbol




A tu per tu con l’autore


 

Qual è stata la scintilla iniziale o l’evento che ha ispirato “Nessuno su questa terra”? C’è stata una particolare immagine, conversazione o esperienza personale che ha dato vita al personaggio di Julián e/o alla trama del libro?

Tutti i romanzi nascono da una necessità, interna o esterna, dello scrittore. Nel mio caso, mi interessano sempre i soggetti profondamente umani più che le vicende in sé. Quindi, Nessuno su questa Terra nasce da una domanda che mi pongo in modo ricorrente: cos’è un eroe per la società occidentale del XXI secolo? Stiamo dando maggiore importanza al successo e l’apparenza a discapito dei valori profondi di etica, senso della solidarietà e del vero coraggio? Julian Leal incarna tutte queste domande e alcune risposte.

Il ritorno di Julián, al suo villaggio natale in Galizia, è un momento cruciale della storia. Cosa simboleggia per lei il ritorno alle origini in questo romanzo e in generale nella vita di una persona?

Di solito, si usa l’immagine tipica del viaggio per descrivere la vita e questo avviene dai tempi di Omero. Tuttavia, dal mio punto di vista, viaggiare non significa spostarsi da un punto ad un altro: si può considerare un viaggio solo quello che ti trasforma, durante il cammino. Per Julián, tornare al passato significa riconoscere che, in un momento della sua esistenza, ha dimenticato il perché del suo viaggio esistenziale. La malattia, le situazioni estreme, ci fanno mettere in discussione il nostro ruolo in questa rappresentazione teatrale che è la nostra esistenza. E, a volte, abbiamo bisogno di tornare alle radici per ricordare chi siamo.

Il romanzo esplora profondamente i temi della colpa, del rimorso e del perdono. Potrebbe condividere il suo processo di scrittura e di riflessione riguardo a questi temi complessi e come ha scelto di intrecciarli nella trama e nel destino dei personaggi?

Parto sempre dalla premessa che un personaggio è credibile quanto più assomiglia a una persona reale. Per questo, devo dotarlo di quelle cose che ci rendono umani, il gioco tra il pensiero e l’azione, tra l’intenzione e la conseguenza. Tutti gli esseri umani portano con sé un conflitto interiore, una contraddizione vitale che i personaggi devono possedere per potersi trasformare in specchi per i lettori. Non è tanto interessante la vicenda, quanto invece la profondità di quello che ci definisce. A partire da quelle premesse, costruisco personaggi che porto al limite affinché possano esprimere la propria natura autentica.

La Galizia gioca un ruolo significativo nel romanzo, quasi come se fosse un personaggio a sé. Che importanza ha l’ambientazione per lei nella costruzione di un romanzo e come ha lavorato per catturare l’essenza unica della Galizia in “Nessuno su questa terra”?

Un paesaggio, un luogo non è una semplice decorazione. È un personaggio del romanzo, costruisce un’atmosfera e definisce i personaggi che lo popolano. Il paesaggio diventa così uno stato d’animo, un’altra maniera d’intendere il personaggio. La Galizia è una terra che, per me, evoca sempre malinconia, durezza e, al tempo stesso, una bellezza incorruttibile, primordiale. È come Julián, il personaggio principale. Sono le sue radici, il posto da cui viene. Per comprendere lui, bisogna capire la sua terra.

Il libro naviga nelle acque della moralità ambigua, soprattutto attraverso le azioni di Julián. Qual è il suo punto di vista sull’esplorazione della moralità nei suoi personaggi e come mantiene il lettore coinvolto senza giudicare troppo severamente le azioni dei personaggi?

Non mi piacciono i romanzi didattici o moralizzatori, e nemmeno i romanzi che ci indicano o ci educano a valori e principi etici. Ogni lettore ha il diritto di giudicare in base alla propria identità e lo scrittore non ha in diritto di immischiarsi nel dialogo tra la storia e il lettore. Ciascuno trae le proprie conclusioni. Però creo che, in quanto arte, la letteratura aspira all’empatia, al sentimento di fratellanza al di là delle lingue e delle frontiere. Questa è sempre stata la mia vocazione: l’universalità, ricordare ancora e ancora che, qualunque sia il nostro luogo di provenienza, siamo una grande famiglia che condivide le stesse emozioni, i dubbi, le paure e le aspirazioni. E una di queste massime aspirazioni è la giustizia (un sentimento di equanimità che va ben oltre i codici legali o etici imperanti in ogni epoca o società). Presentare un uomo intrappolato nelle sue emozioni, significa presentare tutti gli uomini di qualunque luogo.

“Nessuno su questa terra” mantiene i lettori sul filo del rasoio con una serie di eventi inaspettati e svolte della trama. Quali strategie ha utilizzato per mantenere alta la tensione e guidare il ritmo del racconto?

Credo che una buona storia si basi sull’equilibrio tra intensità, profondità e ritmo. Raccontare una storia con onestà significa chiedere al lettore di fidarsi del fatto che ogni pagina valga la pena perché è un viaggio con una destinazione. Per questo, cerco di mantenere tutti gli elementi di questo delicato universo che è un romanzo: personaggi potenti, ritmo teso, scrittura pulita ed elementi che suscitino la curiosità e il coinvolgimento personale del lettore. Non è una formula che ho inventato io, Aristotele già la descrisse nella sua poetica: intrattenere e aiutare a crescere. Questo è quello che fanno gli scrittori.

Un tema ricorrente nel romanzo è la ricerca di giustizia in un mondo apparentemente ingiusto. Potrebbe parlare di come ha bilanciato questo tema con la necessità di mantenere una narrazione avvincente e multistrato?

Ho presentato le molte forme di eroismo che possono venirsi a creare in una stessa situazione (dall’eroe che agisce guidato dai principi, a quello che lo fa semplicemente per istinto o per proteggere le persone che ama o, addirittura, per egoismo) a fronte delle moltissime forme di crudeltà che possono presentarsi allo stesso tempo (corruzione, narcisismo, dipendenze, violenza estrema) e come va a finire questa lotta impari, in cui gli eroi sono le formichine di fronte a mostruosi giganti, per mostrare una delle maggiori qualità che, secondo me, definiscono l’essere umano: l’amore infinito per la libertà e la capacità di sacrificarsi per quello in cui crede. 

“Nessuno su questa terra” si inserisce nel genere del thriller ma lo supera anche in molti modi. Come vede il suo lavoro in relazione al genere del thriller e quali confini ha voluto esplorare o superare con questo romanzo?

I generi letterari sono un punto di partenza, hanno delle qualità intrinseche molto utili per riflettere sulle infermità sociali del XXI secolo (la banalità, il distacco, il nichilismo) ma non mi lascio intrappolare dalle loro convenzioni. Utilizzo tutti gli elementi che mi servono, di ogni genere (storico, psicologico, narrativo) per metterli al servizio della storia. Sono uno scrittore meticcio con l’aspirazione di creare un genere tutto suo, una voce narrativa: quella di Victor del Árbol.

Facendo riferimento ai molti interrogativi sollevati nel romanzo, quali sono alcune delle interpretazioni o reazioni dei lettori che l’hanno colpita di più o che l’hanno sorpresa durante le interazioni post-pubblicazione? 

Quello che mi piace di più è verificare come, ogni mio romanzo, generi intensi dibattiti sulla nostra natura, sul nostro comportamento, vedere come le persone discutono sulla politica, la giustizia, il bene e il male… Questo vuol dire che il romanzo trascende la finzione per entrare nella vita reale dei lettori. Ispirare gli altri a trovare un cammino comune: questo è quello che mi emoziona di più.

La ringrazio a nome mio e della redazione di thrillernord, per la bella intervista che ci ha rilasciato.

Giusy Ranzini

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