Donnafugata




Recensione di Sara Zanferrari


Autore: Costanza DiQuattro

Editore: Baldini+Castoldi

Genere: narrativa

Pagine: 208

Pubblicazione: 10 settembre 2020

Sinossi. Donnafugata è un luogo, a due passi da Ragusa, tra carrubi secolari, muri a secco e campagna scoscesa. Donnafugata è un tempo, l’Ottocento, tra dominazione borbonica, moti di fierezza popolare e alba della dignità operaia. Donnafugata è un casato, tra i più antichi di Ibla, che di quella terra e quei giorni incarna gioie, patimenti e futuro. Alla sua testa c’è lui, il barone Corrado Arezzo De Spucches, di cui il libro è quasi un diario privato: da quando, ginocchia sbucciate e balia Annetta appresso, scappava bambino da don Gaudenzio e quella camurria del suo rosario; agli anni in cui, ragazzo, compie gli studi a Palermo e lì fa sua la voglia di rivoluzione; a quelli in cui, marito, padre e poi nonno, vive e invecchia «circondato dalle fimmini», amandole tutte teneramente e sopravvivendogli con il cuore spaccato. In una carezza lunga quasi un secolo, questo è il ritratto intimo di un illuminato uomo pubblico, ma pure la storia frugale e aggraziata di una famiglia unica e insieme qualunque.

Recensione

Costanza DiQuattro, al suo secondo romanzo, traccia nuovamente un mirabile affresco della sua terra, la Sicilia, e di una famiglia, stavolta non la sua, ma del casato ragusano dei Donnafugata.

Il protagonista è il barone Corrado Arezzo, a cui è affidato il compito di raccontare, in forma quasi di diario privato, la storia di sé, della stirpe da cui, e che da lui, discende, dell’Ottocento della dominazione borbonica sull’isola, dei moti di rivoluzione. È la storia di un amore, e di molti amori, delle donne che hanno popolato la vita del barone: la madre, la moglie, l’unica figlia, le due nipoti.

E di odio, e di fierezza, e dei pensieri che affollano di luci e ombre, anima e mente del nostro aristocratico protagonista, che incontriamo bambino e accompagniamo fino alla fine della sua ricca, ma anche dolorosa esistenza, inchiodato in un ruolo, un destino per lui già segnato alla nascita dal censo, ad occuparsi della sua terra e della sua gente, assoggettata alla dominazione dei Borboni.

“Corrado fece un respiro sofferto. Aveva gli occhi lucidi e stanchi, velati dal disincanto, dalla fallimentare accettazione delle cose. “Dal Quarantotto al Sessantacinque ho sognato. Si fa presto a dirsi sognatori quando nel cuore batte una gioventù spietata. È poi la vita vera che ti sveglia, che ti mette di fronte con cinica crudeltà alla verità delle cose. Il mio sogno adesso lo sto pagando sulla mia pelle e tanti altri, come me, se lo trovano inciso come un marchio a fuoco. Ci siamo innamorati della donna sbagliata, nulla di più. È un destino ingiusto quello di questa terra, condannati a sopravvivere per far vivere chi ci comanda. Pago la mia rivoluzione con la filanda e con il rimorso che avrò per sempre di avere tolto la dignità del lavoro a tanti siciliani come me” pag. 157

Corrado Arezzo, barone, uomo, figlio, marito, padre, infine nonno. Una figura fiera, a tratti tenera, molto intima, di un uomo che non si fa piegare dalla durezza della vita, restando fedelmente sul sentiero già tracciato per lui, ma a cui saprà dare la propria, personale, ed estremamente dignitosa, impronta.

Meravigliose le descrizioni del suo amore per la madre, tenere e commoventi quelle dell’amore per la moglie Concetta:

“Lei lo abbracciò forte come si abbraccia non solo chi si ama ma chi con quell’abbraccio ti salva la vita e appoggiò la sua testa al petto di Corrado” pag. 107

E così il suo rapporto con la figlia amatissima persa prematuramente.

Ma nella famiglia, come dire, “allargata” del barone ci sono anche altre figure quasi altrettanto importanti, primo fra tutti Micheluzzo, il ragazzino povero che, egli stesso ragazzino, ha sfamato un giorno per strada e che resta al suo fianco a servizio fino al suo ultimo respiro, nel rispetto dei ruoli ma con un amore reciproco che va ben al di là di tutto.

E poi i due amici don Paolo e Titta, con cui disserta di nobili temi, in primis della loro Sicilia, di onore, di coraggio, di doveri e, a volte, di pensieri intimi personali.

E le persone di servizio, donne e uomini, tratteggiati brevemente, eppure resi immediatamente vividi nell’immaginario del lettore.

Si sente l’amore dell’autrice per la sua terra. Si assapora il suo linguaggio, contaminato dal dialetto, che tuttavia non necessita di traduzioni, semplice, musicale, poetico, così come lo sono i personaggi del romanzo. Ci si perde in questo 800 di nobiltà e buoni, forse perduti, valori. Si pesca nei ricordi del libro scolastico di storia, si sorride ai rosari di padre Gaudenzio e alle invocazioni dei Santi della moglie Concetta nei momenti decisivi della storia familiare.

E ci si commuove, inevitabilmente, seguendo le vicissitudini del barone Corrado, “padre, esempio da seguire, spalla su cui piangere, scoglio sul quale sedersi per osservare le tempeste della vita”, l’uomo di “sorrisi severi, l’ironia amara, la tristezza tenue che nascondeva il suo viso” pag. 207.

Grazie, Costanza, non solo per questa bella storia, ma soprattutto per questo coraggioso, fiero protagonista.

A cura di Sara Zanferrari

 poesiedisaraz.wordpress

 

Costanza DiQuattro


(Ragusa, 1986), laureata in Lettere moderne all’Università di Catania, dal 2008 si occupa attivamente del Teatro Donnafugata, teatro di famiglia restituito alla fruizione del pubblico dopo sei anni di restauri, e nel 2010 ne assume la Direzione artistica con la sorella Vicky, dando inizio a importanti collaborazioni artistiche con prestigiosi teatri nazionali e compagnie teatrali di fama. Parallelamente alle stagioni di prosa, di musica classica e di teatro per bambini, coadiuvata da uno staff tutto al femminile, si apre alla organizzazione di festival e mostre. Ha collaborato con «Il Foglio» e poi con alcune testate online siciliane. Il suo campo di scrittura spazia dalla critica sociale al costume, dal mondo della cultura a quello più strettamente legato al teatro. Nel 2019 ha pubblicato “La mia casa di Montalbano. La storia da romanzo della villa di Puntasecca, da Bufalino a Camilleri” sempre con Baldini+Castoldi. Nel novembre 2019 ha debuttato al Teatro Carcano di Milano col suo primo lavoro teatrale, “Barbablu” interpretato da Mario Incudine per la regia di Moni Ovadia.

 

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