Il miglio verde




Recensione di Fiorella Carta


Autore: Stephen King

Traduttore: Tullio Dobner

Genere: Horror

Pagine: 556

Editore: Pickwick

Anno: 2013

Sinossi. Nel penitenziario di Cold Mountain, lungo lo stretto corridoio di celle noto come “Il Miglio Verde”, i detenuti come lo psicopatico “Billy the Kid” Wharton o il demoniaco Eduard Delacroix aspettano di morire sulla sedia elettrica, sorvegliati a vista dalle guardie. Ma nessuno riesce a decifrare l’enigmatico sguardo di John Coffey, un nero gigantesco condannato a morte per aver violentato e ucciso due bambine. Chi è Coffey? Un mostro dalle sembianze umane o un essere diverso da tutti gli altri? Il capolavoro da cui è tratto il film omomino con Tom Hanks.

Recensione

Esistono dei mondi a sé, fatti di carta e di immaginazione, ma non per questo non sono reali. Per citare qualcuno di importante

Certo che sta succedendo dentro la tua testa, Harry. Ma perché diavolo dovrebbe voler dire che non è vero?”

Questo romanzo di King è uno di quei mondi, dove puoi girare, viaggiare e trovare variegati argomenti, disparate emozioni.  John Coffey è ormai nell’immaginario di tantissimi lettori, il miglio verde è un luogo sacro per noi kinghiani.

L’ultimo tratto di corridoio che separa un condannato a morte dal suo destino racchiude una storia che, al solo ricordarla, emoziona, strugge, ti lascia abbracciato alle tue ginocchia a singhiozzare e chiederti perché.

Tutto converge in quel gigante buono che attrae a sé il resto dei protagonisti e li mette sotto la sua luce per raccontarli, per farteli amare.
Il vortice che circonda il lettore alterna bene e male, buoni e cattivi, pensieri e dilemmi su chi può o deve arrogarsi il diritto di decidere e sentenziare per la vita degli altri, anche a seconda della pelle che indossa.

E come Brutal, Dean, Paul, nonostante tu sappia che chi sta dietro le sbarre ha ucciso nel peggiore dei modi, empatizzi con loro, (non con tutti) e ti chiedi dove sta di casa il perdono, quando per alcune cose non saremmo mai in grado di perdonare,.

Eppure la morte è una punizione più grande del nostro stesso potere di giudizio, riporta a riflessioni ancestrali, a soppesare un ego che diventa smisurato quando l’indice che punta è più grande della stessa mano che lo tende.

Ci sono forze più grandi di noi singoli in gioco, meccanismi ignoti che manovrano il destino comune, anche quando quello del singolo è dirottato e gestito soggettivamente.

La morte, l’amore, la giustizia, insidacabilmente sono al di sopra di quel potere che noi umani pensiamo di avere su un pianeta che senza di noi ha dimostrato di stare meglio e forse, quel miglio così lungo e infinito di cui parla il vecchio Paul è più in salita per chi sopporta il nostro menefreghismo, il nostro razzismo, i nostri pregiudizi.

King ti porta dove non vuoi andare, quei cassetti della mente scomodi, dove nascondi pensieri irrisolti, potenti, che svelano di te malvagità o benevolenza, coscienza o indifferenza.

Tutti noi dobbiamo morire,  non ci sono eccezioni, ma qualche volta, Dio mio, il miglio verde sembra così lungo”.

A cura di Fiorella Carta

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Stephen King


Stephen Edwin King (Portland, 21 settembre 1947) è uno scrittore e sceneggiatore statunitense, uno dei più celebri autori di letteratura fantastica, in particolare horror, del XX e XXI secolo. Scrittore prolifico, nel corso della sua carriera, iniziata nel 1974 con Carrie, ha pubblicato oltre ottanta opere, anche con lo pseudonimo di Richard Bachman fra romanzi e antologie di racconti, entrate regolarmente nella classifica dei best seller, vendendo complessivamente più di 500 milioni di copie. Buona parte dei suoi racconti ha avuto trasposizioni cinematografiche o televisive, anche per mano di autori importanti quali Stanley Kubrick, John Carpenter, Brian De Palma, J. J. Abrams, David Cronenberg, Rob Reiner, Lawrence Kasdan, Frank Darabont, Taylor Hackford e George A. Romero. Pochi autori letterari, a parte William Shakespeare, Agatha Christie e Arthur Conan Doyle, hanno ottenuto un numero paragonabile di adattamenti. A lungo sottostimato dalla critica letteraria, tanto da essere definito in maniera dispregiativa su Time “maestro della prosa post-alfabetizzata”, a partire dagli anni novanta è iniziata una progressiva rivalutazione nei suoi confronti. Grazie al suo enorme successo popolare e per la straordinaria capacità di raccontare l’infanzia nei propri romanzi è stato paragonato a Charles Dickens, paragone che lui stesso, nella prefazione a ‘Il miglio verde’, pubblicato a puntate nello stile di Dickens, ha sostenuto essere più adeguato per autori come John Irving o Salman Rushdie.

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