Intervista a Luigi A. Galluzzo




A tu per tu con l’autore


 

Prima di tutto complimenti per il romanzo perché l’ho trovato moderno, a tratti dissacrante, tanto nello stile, che nel linguaggio e nei contenuti. Non mi stupisco perché la Sicilia è sempre stata la terra natia di scrittori innovatori: penso a Pirandello, a Verga, Vittorini o Quasimodo.

In questo senso chiedo:

A suo parere può un’isola, ricca in tradizioni, storia e bellezza del territorio, influenzare lo spirito di un suo abitante al punto da tracciarne le scelte di una vita o quelle professionali? Più in particolare qual è il suo rapporto con la terra di Sicilia, tanto nell’intimo quanto negli scritti?

Grazie dei complimenti, veramente. Ho sempre avuto un rapporto controverso con la Sicilia, voglia di fuggirne, come Ntoni dei Malavoglia da un lato. Dall’altro quell’inclinazione alla malinconia, al senso della morte, tutta siciliana, così forte da non poter essere evitata, che ritorna sempre anche sotto forma di nostalgia. I personaggi di questo romanzo, a partire dalla protagonista Elena, vivono proprio dentro questa ambiguità. Ecco sicuramente la Sicilia influenza lo spirito e quando non lo fa palesemente, lo fa nell’intimità, ancora più profondamente, se vogliamo.

Prendendo in considerazione “I giusti e i peccatori”, che nel genere del romanzo giallo, in Sicilia, annovera importanti predecessori quali Sciascia, Camilleri o la Gazzola, come sente questa importante eredità?

Devo dire che ho subito il loro spettro, tanti predecessori di così assoluto spessore costituiscono per chiunque si cimenti nella narrativa di genere una sorta di monito che sembra dirti di continuo: attento, qualunque cosa scriverai, loro l’hanno già scritta meglio. Insomma un macigno da portare sulle spalle. Anche divertente però se vogliamo, in quanto ad un certo punto tu capisci che non hai nulla da perdere, i grandi scrittori ci sono già, il tuo ruolo è secondario, quindi scrivi pure come vuoi.

Da cosa è nata l’idea de “I giusti e i peccatori”? La professione di giornalista le ha offerto spunti per la stesura?

Sono stato sempre affascinato dalle figure femminili, dalla loro profondità, dalla marcia in più che le donne hanno, spesso. Ma anche dall’ambiguità dei fatti, dalla difficoltà di distinguere spesso le vittime dai carnefici, ho cercato di indagare la zona oscura dell’animo umano partendo dalla capacità che hanno le donne più degli uomini di essere sottili nell’agire e nell’analizzare. Il giornalismo è il sottofondo di tutto questo, mi ha offerto spunti di riflessione, certo.

La fine del romanzo lascia l’amaro in bocca per la morte di Anna Carla (non voglio spoilerare oltre). Ma è proprio vero che i peccatori non possano anche essere giusti allo stesso tempo?

In verità l’interrogativo di fondo del romanzo è proprio questo, chi è giusto e chi è peccatore? Solo che io ho cercato di non indicare risposte, di lasciare al lettore la scelta. Del resto Elena Martire è un’investigatrice che non pretende mai di avere certezze, parte dal dubbio per indagare, un dubbio metodologico direi. È una donna che più che giudicare, vuole sempre capire, costi quel che costi. Anna Carla è un personaggio drammatico, profondamente segnata dalla vita, di un’umanità dolente direi e se devo essere sincero la sua morte è la cosa che mi è dispiaciuta di più.

Prevede ulteriori romanzi gialli che sanciscano l’affermazione del Commissario Elena Martire?

Sì, sto scrivendo il secondo, con la Martire che si troverà invischiata in questo limbo di ambiguità ancora una volta di più, anche dal punto di vista personale. La mia idea è di evolvere insieme a lei, dal punto di vista narrativo, ovviamente, ma anche oserei dire della conoscenza personale. Anzi, le dico che dopo il secondo ce ne sarà pure un terzo, è una minaccia eh!

A cura di Gabriele Loddo 

 

 

 

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