REAL STORIES




Sinossi. Tra il 1976 e il 1977 una serie di terribili omicidi sconvolge la città di Detroit. Un serial killer, che un giornalista ha ribattezzato Babysitter, ha ucciso almeno sei ragazzini nella contea di Oakland, un quartiere residenziale di Detroit. Le vittime sono state rapite mentre erano da sole e i loro corpi senza vita vengono fatti ritrovare a distanza di giorni, in luoghi pubblici, accuratamente lavati e ricomposti. La polizia non ha che deboli indizi e la paura si diffonde sempre più nei ricchi sobborghi bianchi della città. Hannah Jarrett è una bella donna di trentanove anni. È sposata con Wes, un ricco uomo d’affari sempre molto impegnato, fa la casalinga e ha due splendidi figli, Conor e Katya. Una classica e felice famiglia della buona borghesia di Far Hills, a nord di Detroit. Hannah, però, ha un segreto: a una raccolta fondi ha conosciuto Y.K., un uomo affascinante ed enigmatico. Anche se non ne conosce il nome, il suo carisma oscuro la attrae in maniera irresistibile fino a farla sprofondare in una relazione fatta di sesso e sopraffazione, che la getta in uno stato tra l’euforia, la paura e la depressione. Mikey, infine, è un ragazzo con un passato difficile e un presente fatto di lavoretti tra il legale e l’illegale, al servizio di un uomo misterioso che conosce molti segreti. Un giorno, mentre esegue un lavoro per il suo capo, si trova costretto, suo malgrado, ad affrontare una situazione più grande di lui e a riparare un torto. Le conseguenze delle sue azioni avranno effetti imprevisti per Hannah, Y.K. e anche per Babysitter. Joyce Carol Oates costruisce, attorno a un fatto di cronaca nera realmente accaduto, un romanzo ricco di suspense, con una trama avvincente, impeccabile nel ritmo e nella scrittura, denunciando, ancora una volta, la corruzione, il razzismo e il sessismo insiti nella cultura americana e confermandosi una scrittrice fondamentale, spietata e meravigliosa.

 BABYSITTER

di Joyce Carol Oates

La nave di Teseo 2023

Chiara Spaziani ( Traduttore )

thriller, pag.544

 Speciale di Kate Ducci

Tra il 1976 e il 1977, i sobborghi della contea di Oakland, furono sconvolti dalla presenza di colui che, inizialmente, venne chiamato ‘l’assassino di Oakland County Child’ e, solo successivamente, Babysitter, come a voler ironizzare in modo macabro sul suo rituale di prendersi cura del cadavere delle vittime. Nonostante gli investigatori non si siano risparmiati, spendendo tempo ed energie per catturarlo, l’assassino non verrà mai scoperto e la sua identità rimane ancora sconosciuta. 

Le domande sul suo conto furono e sono tuttora parecchie: si trattava di un reduce di guerra? Di una persona che odiava i bianchi o i ricchi? Una persona che lavorava a contatto con i bambini? Oppure un pedofilo che si è tolto la vita dopo l’ultimo dei suo orrendi crimini?

Tutte  queste domande non hanno ancora trovato risposta e le giovani vittime di questo sconosciuto assassino non hanno ottenuto la giustizia che meritavano.

REAL STORIES

Il 15 febbraio 1976, all’American Legion Hall di Ferndale un gruppo di ragazzini stava facendo una partita a biliardo e tra loro c’era Mark Stebbins, di dodici anni, che a mezzogiorno decise di abbandonare la comitiva, dicendo al fratello di voler tornare a casa. Alle 11 di sera, la madre chiamò il 911 perché il bambino non era mai tornato. La polizia le assicurò che non doveva preoccuparsi, in quanto a Ferndale non veniva rapito qualcuno da un decennio, il ragazzo sarebbe tornato a casa, non correva alcun rischio.

Quattro giorni dopo, il mattino del 19 febbraio 1976, un impiegato di Detroit, Mark Boetigheimer, notò qualcosa di colorato in mezzo a un cumulo di neve, nei pressi di un edificio. Incuriosito e convinto di trovarsi al cospetto di un manichino, si avvicinò e si accorse che quello abbandonato sulla neve era un bambino, perfettamente vestito, pulito, con le mani intrecciate sul petto e che sembrava addormentato.

Purtroppo, il bambino era Mark Stebbins e l’autopsia rilevelò che fosse stato soffocato dopo aver subito terribili violenze per quattro giorni. La morte risaliva a poche ore prima del macabro ritrovamento e sul corpo c’erano segni di una corda che gli era stata legata ai polsi. Il bambino era stato lavato con attenzione, così come i vestiti, come se qualcuno si fosse preso cura di lui prima di togliergli la vita e abbandonarlo a Oak Park.

Mercoledi, 22 dicembre 1976, Jill Robinson, anch’essa dodicenne, si allontanò da casa dopo aver litigato con sua madre per futili motivi.

Il giorno successivo, la sua bicicletta venne scoperta dietro a un negozio situato in Main Street a Royal Oak, nel Michigan, ma di lei nessuna traccia.

Inizialmente, il rapimento non venne collegato al caso del piccolo Mark Stebbins, in quanto un predatore sessuale raramente prende di mira persone di sesso diverso e Jill venne semplicemente considerata una persona scomparsa.

Il 26 dicembre il suo corpo venne scoperto da un automobilista in una piazzola di sosta sull’interstatale 75, all’altezza della cittadina di Troy, a 12 chilometri dalla casa della bambina. A collegare immediatamente i due casi furono le circostanze: anche Jill, come Mark, era stata lavata e vestita, ma nel suo caso tali attenzioni si rivelarono inutili: Jill era stata uccisa con un colpo di fucile in pieno volto, qualcosa deve essere andato storto e aver costretto il killer ad agire d’impulso, senza rispettare il rituale.

Un testimone riferì che un blu Pontiac LeMans era stato parcheggiato proprio nei pressi della vittima alle 4:30 di quella mattina, ma per ragioni incomprensibili la polizia non seguì questa pista.

L’autopsia rivelò che Jill era stata soffocata, ma quando il killer ne aveva abbandonato il corpo, si era reso conto che la piccola fosse ancora viva e si era visto costretto  spararle sul posto.

Kristine Mihelich aveva solo dieci anni e scomparve il 2 gennaio 1977. Le ultime persone ad averla vista viva riferirono che alle 15.00 si trovava in un negozio 7-Eleven situato in Twelve Mile Road a Berkley per acquistare un rivista. Da quel momento, non ha più fatto ritorno a casa.

La bambina non dette sue notizie per 19 giorni, durante i quali venne anche attivata una raccolta fondi per aiutare nelle ricerche. Purtroppo, tutto ciò fu inutile e, il 21 gennaio, Kristine venne trovata abbandonata nella neve di Bruce Lane nel Franklin Village, nel Michigan. Il killer aveva usato lo stesso rituale e la piccola era stata uccisa meno di 24 ore prima del suo ritrovamento.

Timothy King si trovava a casa da solo la sera della sua scomparsa: sia i fratelli che i genitori erano fuori per impegni.

Alle le 19:30, decise di uscire in compagnia del suo skateboard per recarsi in un negozio di Maple Road, da cui due testimoni dichiararono di averlo visto uscire e dirigersi verso il parcheggio, in cui un uomo dai capelli lunghi lo avvicinò, facendolo salire su di un auto da corsa con una striscia bianca sul fianco.

Il corpo di Timothy venne ritrovato sei giorni dopo su una strada laterale, nella città di Livonia. Anche nel suo caso, il corpo lavato con cura rivelò che il bambino era stato vittima di violenze ed era stato ucciso poche ore prima del suo ritrovamento.

Durante un appello fatto tramite un quotidiano, i genitori avevano dichiarato che il Kentucky Fried Chicken fosse il cibo preferito di Timothy e, a riprova che il killer seguisse la sua storia sui giornali, l’autopsia rivelò che proprio quello fu il suo ultimo pasto.

I sospettati e le piste battute furono molte e vi furono anche arresti e interrogatori, ma questo spietato killer è rimasto a oggi senza identità. Nel febbraio del 2019, il canale Investigation Discovery trasmise un documentario in cui venne rivelato che Arch Edward Sloan, già sospettato e con precedenti condanne per reati sessuali su minori, non aveva superato il test del poligrafo nel 2010 e nel 2012. Nella sua auto, erano stati trovati dei capelli corrispondenti a quelli trovati su due delle vittime. Capelli che però non appartenevano a lui. Arch Edward Sloan non hamai  risposto alle domande degli investigatori, che hanno messo a disposizione un numero di telefono a cui fornire in forma anonima qualsiasi informazione possa essere utile. Ad oggi, nessuno ha telefonato. 

In questo scenario orrendo, ai margini di una storia che probabilmente non avrà mai giustizia e risposte, si inserisce in punta di piedi la Oates, ma dando vita a un romanzo dalla narrativa potente, quasi crudele nel suo linguaggio sincero e scomodo.

Chi si aspetta un thriller in piena regola verrà sorpreso da un storia che racchiude tutto, che mette a nudo la società americana degli anni settanta spogliandola della sua ipocrisia borghese, svelando che non solo un omicida seriale può prendere di mira coloro che si sentono intoccabili, ricchi, che riterrebbero un affronto essere avvicinati da uno squallido individuo destinato a muoversi nei bassifondi, ma che quell’individuo può addirittura appartenere a quel mondo ricco e pulito e che i soldi possono regalare apparenze immacolate, ma i sentimenti abietti sporcano tutti.

La Oates prova ad avanzare la fantasiosa ipotesi che anche il killer faccia parte del mondo dorato in cui si muovono i suoi viziati protagonisti. Non è dato sapere se ci creda davvero o se l’ipotesi sia solo un modo per mostrarci la vera natura umana, ma il risultato è incisivo. 

Ci troviamo a osservare ogni cosa dal punto di vista di Hannah, ricca e annoiata, superficiale e triste, viziata, chiusa in un mondo di benessere che perde ogni sicurezza, quando si lascia avvicinare da un uomo senza scrupoli, quando si accorge che anche i suoi bambini potrebbero correre seri rischi.

Il suo matrimonio nasconde infelicità, silenzi e segreti, i suoi desideri cambiano di ora in ora, passando dal desiderare ardentemente qualcosa (un amante, una nuova vita) al volere l’attimo dopo la cosa opposta (suo marito, la confortante e noiosa sicurezza). Perché Hannah è inattendibile, confonde il lettore così come confonde se stessa, con la sua logica bigotta ma a tratti scandalosa. Hannah confonde al punto in cui non abbiamo la certezza di leggere fatti o fantasie, speranze o paure. La sua sciocca superficialità, fatta di vestiti ricercati e pensieri mai profondi, spingono a detestarla, a scuoterla affinché si renda conto del raggiro di cui è un’evidente stupida vittima, ma questa sensazione dura poco. Perché anche Hannah è il risultato del mondo in cui è stata cresciuta, dell’educazione che le è stata impartita, del bisogno di riuscire a farsi guardare e a guardarsi sotto i vestiti costosi che le forniscono solo una comoda corazza.

Non è una storia a lieto fine, così come non lo è spesso la vita; passiamo da odiare Hannah per la sua ottusa ingenuità al comprenderla per essere da sempre alla ricerca di essere amata, di essere vista davvero, per quanto totalmente priva dei mezzi e della consapevolezza per reclamare quell’amore, per dar voce al suo malessere. Hannah esiste solo in funzione di ciò che rappresenta agli occhi altrui e, senza il loro apprezzamento, non è niente.

Babysitter si muove sullo sfondo di questa società perbenista, artefatta, razzista e annoiata e i suoi orrendi crimini servono solo per evidenziare quanto poco spesso ci importi degli altri, delle loro disgrazie, delle loro povere sfortune. Vogliamo solo la certezza di essere noi al sicuro, che la cosa riguardi altri, così come riguardino altri la povertà, i bassifondi, gli escamotage per reggersi in piedi in un mondo ostile, senza una facciata da proteggere.

Ma Hannah con quel mondo farà i conti e ne uscirà distrutta, anche lei senza risposte, anche lei senza giustizia. Perché alcune ingiustizie sono concepite per ferire solo gli emarginati, ma le umane debolezze condannano tutti.

Adoro questa autrice, per il suo linguaggio schietto e una capacità chirurgica di scavare dentro la natura umana che è in dotazione a pochi scrittori. Non leggetela, se non siete disposti a farvi spezzare il cuore, facendo i conti ogni tanto con la verità.

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Joyce Carol Oates


Tra le figure più rilevanti della narrativa americana contemporanea – è stata indicata, tra l’altro, come una dei favoriti per l’assegnazione al Premio Nobel della Letteratura -, è anche una delle più prolifiche. 
Nata nello stato di New York nel 1938, è da anni residente a Princeton, presso la cui università ha insegnato scrittura creativa dal 1977 al 2014. Fa parte della prestigiosa American Academy of Arts and Letters. Nella sua opera narrativa esplora le residue potenzialità del realismo sociale e del genere «neogotico». Dal Giardino delle delizie (A garden of earthly delights, 1966), nel quale mappa di un eden sfigurato dalla violenza, a Quelli (1969), che proietta vite ed esperienze femminili sul fondale apocalittico della Detroit dei conflitti razziali, a Bellefleur (1980), saga di una famiglia potente e maledetta, la Oates ha delineato i temi di una produzione vasta ed eclettica, che sperimenta generi e stili e mette impietosamente in luce, tra l’altro, l’ipocrisia e la violenza della vita borghese, l’oppressione delle famiglie, la grettezza delle piccole comunità, l’oppressione e la mercificazione delle donne.
Tra le sue opere, i romanzi Marya (Marya: a life, 1986), Acqua nera (Black water, 1992), Zombie(1995), Una famiglia americana (We were the Mulwaneys, 1996), racconti (Storie americane, Where are you going, where have you been? Selected stories, 1993, dal quale è stato tratto il film, La prima volta, nel 1985, ) e saggi (Sulla boxe, On boxing, 1987). Con lo pseudonimo di Rosamond Smith si è dedicata alla suspense pubblicando Nemesi (“Nemesis”, 1990) e Occhi di serpente(“Snake eyes”, 1992). Non ha tralasciato nemmeno gli eventi biografici: La figlia dello straniero, suo romanzo del 2007, prende spunto dalle vicende del nonno, mentre dopo la morte del marito ha scritto il memoir Storia di una vedova (Bompiani 2013). Nei romanzi più recenti ha soprattutto indagato l’evoluzione delle dinamiche familiari che portano a inattese esplosioni di violenza (La ballata di John Reddy Heart, “Broke heart blues”, 1999; Blonde, 2000, su Marilyn Monroe; Un giorno ti porterò laggiù, “I’ll take you there”, 2002; La madre che mi manca, “Missing mom”, 2005; La figlia dello straniero, “The gravedigger’s daughter”, 2007). Per gli adolescenti ha scritto Bruttona & la lingua lunga (Big mouth and ugly girl, 2002) e Occhi di tempesta (Freaky green eyes, 2003), spietati e taglienti.
In Italia i suoi libri sono pubblicati da Bompiani, Mondadori e il Saggiatore, alcuni dei quali sono: Sorella, mio unico amore (Mondadori 2009), Una brava ragazza (Bompiani, 2010), Uccellino del paradiso (Mondadori, 2011), Doppio nodo (Bompiani, 2011), La ragazza tatuata (Mondadori, 2012), Storia di una vedova (Bompiani, 2012), Acqua nera (Il Saggiatore, 2012), Mudwoman (Mondadori, 2013), Scomparsa (2016) e la quadrilogia dell’Epopea americana. Pubblicata da Il Saggiatore nel 2017 si compone di: Il giardino delle delizieI ricchiLoroIl paese delle meraviglie; in essa la scrittrice ripercorre la storia recente degli USA e opera una definitiva trasfigurazione del sogno americano in un’incubo senza fine. 
Nel 2021 escono per il Saggiatore Nuovo cielo, nuova terra e per La Nave di Teso La notte, il sonno, la morte e le stelle. Ha vinto, tra gli altri, il National Book Award, il Pen Faulkner Award e il Prix Femina Étranger.