La civetta e il lupo




Sinossi. Un gelido mattino nevoso, in un piccolo paese sulle aspre montagne friulane, scompare Sofia, una giovane donna dall’esistenza pressoché invisibile. A dipanare la matassa di certezze, sospetti e incongruenze è chiamato il brigadiere Antonio Carrieri, accompagnato, più che aiutato, dall’appuntato Gennaro Murola. I due carabinieri, spaesati e infreddoliti, brancolando nel ciarpame delle indagini, riescono a comprendere questa piccola comunità ferita e cercano con determinazione la verità, che ad un certo punto arriva, quasi per caso, come piace a lei, superando e stravolgendo ogni aspettativa. 

 LA CIVETTA E IL LUPO

di Martina D’Adamo

Independently published 2022

Mistery, pag.151


LA CIVETTA E IL LUPO

A cura di Chiara Forlani


 Recensione di Chiara Forlani

Il vero protagonista del romanzo è la montagna. Le parti che la descrivono sono liriche ed evocative, particolarmente ispirate. La natura respira insieme ai personaggi, ne condivide le sorti, ne ostacola le mosse. Chi legge percepisce questa passione e si immedesima nella storia. 

“Ricorda il profumo della legna appena tagliata, la sua stanza piena di cose che le appartenevano, i salti di un grosso cane bianco, un prato pieno di fiori gialli, lo scrosciare di una cascata.”

La vicenda, che riguarda la scomparsa misteriosa di una giovane, si svolge tutta nel piccolo paese di Pradosio in Friuli. Penso che si tratti di una località immaginaria, ammetto di averla cercata online spinta dalla curiosità, ma di non averla trovata. Qui arriva un brigadiere originario di Ostuni per le indagini, e il contrasto non può essere più stridente, tra le bianche spiagge pugliesi cui il militare è legato e la zona montuosa impervia nella quale è costretto a operare, dove piove quasi sempre.

Un luogo così isolato e chiuso non può avere solo lati positivi, non può spingere unicamente verso il sublime e l’amore per la natura. Tutto il romanzo è incentrato sulle reticenze e sul senso di inquietudine che si respira ovunque, tra le gole, le rive del fiume e i boschi, così come nel piccolo paese. “Il modo in cui ogni cosa bella si perde, affonda in acque vorticose, come le persone che a Pradosio avevano scelto quella via per farla finita”.

Qui trascorrono la loro esistenza sempre uguale vari personaggi, tra giovani e vecchi. Ciascuno di loro sembra avere qualcosa da nascondere e un’insoddisfazione sottesa. Ciascuno di loro vorrebbe andarsene, magari lontano, verso la città e il sogno di quello che non è stato e mai sarà.

I Tre Re che li osservano e scuotono la testa, perché sono fra i pochissimi in paese in grado di andare oltre e ricordare che c’era un altro prima, un passato ancora più lontano dei commerci e delle frontiere, fatto di povertà e scomodità assolute, di freddo che entrava nelle case, in cui l’unica stanza riscaldata era la cucina, di polenta servita tre volte al giorno con poco altro vicino e di fatica, tanta, richiesta per fare qualsiasi cosa.” Tre Re è il soprannome di tre anziani che stazionano immancabilmente fuori dal bar del paese, sanno molte cose ma non hanno alcuna intenzione di rivelarle

Il finale, oscuro e intrigante, è degno dei migliori giallisti, anche se definire meramente un giallo quest’opera è riduttivo. La trama misteriosa è lo strumento per veicolare importanti contenuti sociali, per far conoscere l’insoddisfazione e i desideri di tante persone costrette a condurre una vita che non hanno scelto. Il diverso è proprio chi sceglie, chi assapora e gode la vita di montagna, pur nella sua durezza e asperità.

“Sofia amava quelle caserme malandate e amava Pradosio, il suo essere semplice, scarno, rannicchiato, circondato dalla foresta, una grande madre che lo cingeva e lo difendeva, la madre che lei non aveva avuto: vigorosa, forte, piena di vita. E amava le pietre, perché in fondo sono la base di tutto: formano le montagne, fanno scorrere i fiumi, sostengono la foresta, il paese, la gente, ogni cosa.”

Mi piace chiudere questa recensione con le parole dell’autrice, davvero molto curate.

INTERVISTA

Nel romanzo “La civetta e il lupo” la scrittura è particolarmente accurata, a tratti la definirei evocativa. Ha frequentato qualche scuola specifica o è solo la passione che la spinge a curare tanto questo aspetto?

Senz’altro la passione. Penso che la parola custodisca in sé buona parte dell’incanto narrativo, specie in una lingua come quella italiana, ricca di sfumature e chiaroscuri, per questo cerco di utilizzarla sempre con estrema cura. E’ il potere evocativo, descrittivo e direi proprio emotivo della parola che alimenta il tessuto de La civetta e il lupo.

La vita di montagna, le omertà e le stranezze di un luogo isolato come Pradosio risaltano in modo particolare. Cosa la lega a questa realtà, si tratta di esperienze personali?

Amo molto la montagna. Ma la amo di un amore “sincero”, come si ama una persona della quale si accetta tutto, anche i lati più spigolosi e difficili.  L’ambiente montano è per sua natura ostile e la sua durezza incide profondamente sulla vita e sul carattere di chi lo abita, ma ha anche una bellezza nascosta nei minimi particolari della vita del bosco o che irrompe improvvisa nella spettacolarità delle vette. La montagna è fatica, spesso estrema, ma è anche soddisfazione. Le valli sono chiuse, ma offrono spazio alla riflessione. Ogni aspetto va considerato e ne fa l’ambiente difficile e selvaggio che ancora è. In questo romanzo ho dato voce al mio vissuto sulle montagne della mia regione, il Friuli Venezia Giulia, che frequento da oltre vent’anni.

Questo è il suo romanzo d’esordio. Per quale motivo ha scelto il mistery come genere narrativo? 

A mio parere le atmosfere nebbiose e fredde di montagna e i boschi fitti e misteriosi offrivano un ottimo palcoscenico a un genere come questo e la chiusura caratteriale dei suoi abitanti creava naturalmente la giusta suspence. Nel mio romanzo c’è un mistero, quello di Sofia, la ragazza che scompare, ma ce ne sono molti altri, che pesano sulle vite degli abitanti di questa piccola comunità di confine. Volevo dare voce a loro, alle esistenze in sordina e ai margini della società “solita”, ma che pure sono emotivamente ricche, profonde e, appunto, piene di mistero.

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Martina D’Adamo


da oltre vent’anni frequenta e ama la montagna friulana, a cui è legata anche per ragioni familiari. Laureata in Lingue e letterature straniere, ha frequentato un master in comunicazione presso l’Università di Udine. Per diversi anni ha lavorato nell’organizzazione di eventi presso associazioni culturali e sportive, gestendone in particolare l’ufficio stampa, e ha collaborato con riviste regionali e del Triveneto come articolista. Autrice anche di numerosi racconti, di recente ha pubblicato il compendio ironico e disincantato Pillole di buon umore per neo mamme. La civetta e il lupo è il suo primo romanzo.

A cura di Chiara Forlani
https://www.chiaraforlani.it