Uvaspina




 UVASPINA

di Monica Acito

Bompiani 2023

narrativa, pag.412

Sinossi. Uvaspina, il femminiello, sensibile e fragile. Minuccia, la sorella, feroce fino alla crudeltà. Un legame che rischia di diventare una prigione. Antonio, il pescatore che ama leggere. Amore, gelosia, rinascita, disperazione in un romanzo d’esordio tutto luci e ombre. L’amore fraterno, l’amore-passione, la fatica di trovare il proprio posto nel mondo. Sullo sfondo una Napoli mutevole. Un debutto vivido e trascinante. È nato con una voglia sotto l’occhio sinistro, come un pallido frutto incastonato nella pelle: Uvaspina si è abituato presto a essere chiamato con quel nome che lo identifica con la sua macchia. A quasi tutto, del resto, è capace di abituarsi: a suo padre, il notaio Pasquale Riccio, che si vergogna di lui; alla Spaiata, sua madre, che dopo aver incastrato Pasquale Riccio con le sue arti di malafemmina e chiagnazzara non si dà pace di aver perduto il proprio fascino e finge di morire ogni volta che lui esce di casa. Ma soprattutto Uvaspina è abituato a sua sorella Minuccia, abitata fin da bambina da un’energia che tiene in scacco il fratello con le sue esplosioni imprevedibili, le ripicche, la ferocia di chi sa colpire nel punto di massima fragilità, come quando gli dice: “Avevano ragione i compagni tuoi, sei veramente un femminiello.” Eppure, solo Uvaspina conosce l’innesco che rende la sorella uno strummolo, una trottola capace di ferire con la sua punta di metallo vorticante. E solo Minuccia intuisce i sogni di Uvaspina, quando lo strummolo la tiene sveglia e può scrutare i suoi finissimi lineamenti nel sonno. Intorno a loro, Napoli: la città dalle viscere ribollenti, dai quartieri protesi verso il cielo, dai tentacoli immersi in quel mare che la fronteggia e la penetra. È proprio sul confine tra la città e il mare, tra la storia e il mito, che Uvaspina incontra Antonio, il pescatore dagli occhi di colori diversi, che legge libri e non ha paura del sangue, che sa navigare fino a Procida e rimettere al mondo un criaturo che dubita di se stesso. La purezza del loro incontro, però, non potrà nascondersi a lungo nelle grotte di Palazzo Donn’Anna: la città li attira a sé, lo strummolo gira e il suo laccio unirà per sempre i loro destini. Una passione assediata dallo scherno e dallo scuorno. L’ambiguità dell’amore fraterno, la necessità dell’ombra perché ci sia luce. Infine una scrittura, quella della giovane Monica Acito, che sa inserirsi con originalità in una grande tradizione letteraria e, mescolando la forza tellurica del vernacolo alla freschezza di un racconto sulla giovinezza, invoca la fame di felicità che abita ciascuno di noi.

 Recensione di Paola Iannelli

Come “randagi” i personaggi di questo romanzo partenopeo, brancolano nel magma purpureo che riempie i percorsi delle loro vite, uniti nella disperata ricerca del vero amore. Stretti, abbracciati nei vicoli di una Napoli che sa di mare e di braci accese, dove ognuno di loro cerca una via di fuga, dall’assurdo girone infernale in cui navigano.

La madre dei due fratelli, Uvaspina e Minuccia, la Spaiata è una donna feroce, perennemente in lotta con la dualità del suo essere: madre – matrigna. In un saliscendi di emozioni la donna tenta di recuperare la parte migliore di sé, l’incuria per i sentimenti buoni però la faranno sprofondare in uno stato di disfacimento fisico e morale, tale da non desiderare altro che la morte.

Le relazioni amorose sono il punto d’incontro in un parallelepipedo morale, che ne contempla ogni forma, partendo da quella omosessuale tra Uvaspina e Antonio (futuro marito di Minuccia), per giungere all’intesa sanguigna tra i fratelli, fino alle relazioni extraconiugali del padre Pasquale Riccio.

Il mare che bagna la città, non elimina le impronte di sangue, tracciate dalla rabbia e dall’odio, alimentando con il perpetuo moto delle onde, l’energia sinistra unico motore esistente, la valvola che sfoga i gas di quelle relazioni impure.

Minuccia è una ragazza problematica, tanto quanto suo fratello, la smania di vivere si accende secondo i ritmi regolati da uno “strummolo”, in altre parole di una trottola, che gira sempre su se stessa, poggiando la base del corpo su una punta d’acciaio acuminata. Sarà proprio l’estremità di questo strumento a lacerare il corpo e la mente di Minuccia, di lei non rimarrà che l’ombra della follia, la sola a farle da scudo per elaborare scomode verità.

L’arte della finzione, la magica attrazione della teatralità esemplifica le azioni dei personaggi, che a turno recitano, con assoluta consapevolezza, la morte dei loro spiriti, infangati da metri cubi di sporcizia, venuta giù dall’alto di un vulcano silenzioso, unico testimone muto.

L’infelice assioma costruito per loro vive tra i vicoli della mia città, sepolcro per i vivi, e per tutti quelli che cercano di resuscitare in altra veste, sapendo che Napoli fagocita le vite, le sbriciola con la potenza fisica, che solo le divinità possono avere. 

La cifra narrante dell’autrice rispecchia, per stile e contenuto, la fluida ambiguità della tragicommedia partenopea, dove recitano personaggi del calibro di Pulcinella insieme ai profili “eduardiani”, scomponendo quel meraviglioso mosaico, reso unico dalle bellezze naturali, incastonato nella costruzione di palazzi monumentali, come Palazzo Donn’Anna. 

Napoli come animale mitologico, una vipera in cerca di sangue da infettare, una maledetta sirena che voluttuosa agita la lunga coda, spazzando via speranze e sogni, una giostra dove i cavallucci sono sostituiti da scheletri di cartapesta, fragili, inutili, inconsistenti.

La morte appare e scompare, in un gioco di specchi, dove un labirinto imita le vie di fuga, costruendo sul dolore il suo domani. Nel continuo alternarsi dei ritmi quotidiani, Uvaspina è l’unico elemento di contrasto, consapevole e sul persiste in un giro di vite macerate dal rancore, e dalla scarsa sensibilità morale. Lui è ciò che appare, un animo femminile in un corpo maschile, ricoperto da una pelle candida, quasi trasparente, refrattaria ai raggi del sole, una pelle che sa di fuoco e carne.

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Monica Acito


Monica Acito (1993) è cresciuta in Cilento, tra le gole del Calore e i templi di Paestum. Ha iniziato a scrivere da bambina e fin dall’adolescenza ha collaborato con testate cartacee e online. Dopo la maturità classica si è trasferita nel centro storico di Napoli, tra Forcella e Mezzocannone, e si è specializzata in Filologia moderna presso l’Università Federico II. Nel 2019 è approdata a Torino, dove ha frequentato la Scuola Holden. Nel 2021 ha vinto, tra gli altri, il Premio Calvino per la narrativa breve e i suoi racconti sono stati pubblicati su numerose riviste letterarie. È docente di discipline umanistiche presso la scuola secondaria di primo e secondo grado.

A cura di Paola Iannelli

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