Intervista a Alessia Tripaldi




A tu per tu con l’autore


 

Quando guardavo la lista delle nuove uscite, sono rimasta da subito incuriosita dal protagonista della storia e dal suo cognome. In che momento hai deciso di voler scrivere un thriller e, soprattutto, quando hai deciso che il tuo libro avrebbe ospitato un personaggio con un parente così famoso come Cesare Lombroso? Perché proprio lui?

Il thriller e l’horror sono sempre stati i “miei” generi, la cornice narrativa che mi affascina di più, probabilmente perché permettono di indagare un tema che mi sta particolarmente a cuore: il rapporto degli esseri umani con il proprio lato ombra, con i fantasmi e i mostri chi ci abitano. Cesare Lombroso è stato un indagatore del lato ombra, il primo ad aver cercato di entrare in empatia con i criminali, per capire i loro “perché”. Come molti, lo conoscevo soprattutto per la famigerata teoria dell’atavismo, ma incontrandolo per caso in un saggio sulla criminologia ho scoperto una figura molto più complessa, il precursore della criminologia e del profiling. È proprio la sua ambiguità ad avermi affascinata, ed è da questa ambiguità che sono partita per la creazione del mio protagonista, Marco Lombroso.

Marco è un personaggio difficile, che da quando ha scoperto il suo lato più buio, cerca in ogni modo di sopprimerlo, ma nel farlo finisce inevitabilmente anche per castrare una parte di lui, rinunciando così a ogni forma di soddisfazione personale. Quando ti si è palesato per la prima volta il personaggio di Marco Lombroso in tutta la sua complessità e quanto è stato difficile dargli veridicità nel suo modo di essere?

Quando ho conosciuto Michele Rossi, il responsabile della narrativa italiana per Rizzoli, e Benedetta Bolis, che sarebbe poi diventata la mia editor, avevo tra le mani una storia su Cesare Lombroso. Loro mi hanno sfidata, chiedendomi di sganciarmi dall’approccio “saggistico” e di immaginare chi sarebbe Cesare Lombroso oggi. Dopo un primo momento di nebbia (e di panico), il personaggio di Marco è nato in maniera spontanea, improvvisa. Come dicevo, sono partita dagli elementi di Cesare Lombroso che mi affascinavano, trasformandoli in una figura più mia, più contemporanea. Marco ha la stessa passione di Cesare – o, per meglio dire, la stessa ossessione – per le menti criminali, ma, se Cesare Lombroso ha vissuto nell’epoca del positivismo, Marco vive nell’era dell’incertezza. L’entusiasmo quasi infantile di Cesare in Marco è diventato tormento, fatica. Ovviamente questo processo l’ho ricostruito a posteriori, sul momento ho soltanto immaginato un uomo dai capelli ricci e la carnagione scura, seduto su un divano con le gambe incrociate e la testa tra le mani.

Il lato buio di Marco è incontrollabile, perché quando lui ha la possibilità di incrociarlo, ogni altra cosa perde di valore, esiste solo quello e lui non sa come riemergerne, anche perché a sentire lui, di norma non sa neppure se sia sua vera intenzione farlo. Possiamo definirli i pro e i contro di un’eredità del genere. Insomma, è un personaggio che comunque affascina, anche perché lui è consapevole di come si presenta e non fa nulla per nasconderlo. Quanto è difficile, secondo te, vivere sempre sul filo, senza mai avere la certezza che tutto potrà andare per il meglio? Ti sei mai ritrovata in una situazione del genere?

Il lato ombra di cui parlavo prima non riguarda soltanto i criminali o gli psicopatici, ma ognuno di noi. Anch’io convivo con un lato ombra, come tutti. La mancanza di una certezza confortante e definitiva è indubbiamente faticosa, ma è anche un incentivo per non smettere di cercare, di farsi domande. A Marco ho dato un lato ombra particolarmente difficile, gli ho dato una passione nella quale si sente completamente realizzato che al tempo stesso gli impedisce di sentire qualsiasi altra emozione. Se non trova un equilibrio rischia di esserne risucchiato. Lo so, non sono stata benevola con lui, ma è un personaggio molto divertente da scrivere, che mi ha stimolata tanto.

Lucia al contrario è la perfettina, quella sempre organizzata, insomma la prima della classe. Quella che conosce Marco dall’università, che ha cercato da sempre di capirlo, ma che di fronte alla sua zona d’ombra, oltre a tentare di riportarlo alla luce quando lo vede annaspare nel buio, di più non può fare. In qualche modo però, i due si sono sempre compensati. Lui si lascia andare e affronta il torbido, lei organizza e mette in ordine i fatti. E insieme funzionano. C’è qualcosina di te in Lucia Pacinotti? Anche a te piace mantenere un certo ordine nel tuo modo di lavorare e organizzare le cose o nel momento della foga creativa, tendi ad essere più confusionaria e ti lasci trascinare dalle emozioni in modo incontrollato come Marco?

Lucia rappresenta il contatto con la realtà, e per questo Marco la cerca e l’allontana, a fasi alterne. È lei la vera investigatrice, chi sa leggere gli indizi e ricostruire una scena del crimine. Marco procede in maniera meno strutturata, per tentativi, ma a differenza di Lucia sa entrare in contatto con le menti deviate. Per questo funzionano nell’indagine, e potrebbero forse funzionare anche nella vita, se imparassero a superare le proprie resistenze. Entrambi hanno qualcosa di me: come Lucia cerco di solito di avere il controllo, di non farmi cogliere impreparata, di dimostrarmi all’altezza; come Marco, però, quando qualcosa solletica le corde della passione mi lascio risucchiare senza paletti o paracadute.

La natura in questo libro, oltre al buio e al male pregnante la fa da padrona. Le descrizioni meticolose amplificano la naturale sensazione di oppressione dell’ambiente, frutto comunque di una storia che non lascia speranze e che non racconta di gioia e spensieratezza e, che già dalla trama comunque arriva forte e viscerale. Qual è il tuo rapporto con la natura? Perché hai scelto proprio il bosco come palco naturale di questo romanzo?

I boschi e le montagne sono luoghi che mi fanno sentire senza controllo, dov’è la natura a dominare. Sono luoghi intricati, dove ho sempre la sensazione di essere osservata. Il bosco rappresenta il rapporto tra luce e ombra nella mente umana, un “luogo” che non potremo mai veramente controllare, che nasconde insidie e crepacci. Inoltrarsi tra i meandri della mente umana è un po’ come inoltrarsi tra gli alberi, rischiando di perdere la direzione.

Tema del libro sono le sparizioni, appunto si parla “degli scomparsi” … quelli che se hanno fortuna, sopravviveranno anche se chissà come, o se dovesse invece andare male, spariranno per sempre, lasciando i loro cari nel dubbio e l’incertezza, fino ad essere questi ultimi consumati dal tarlo del non sapere, condannandoli ad una vita cupa e infelice. Quanto è stato difficile documentarsi su questo argomento? Nel farlo, ti sei basata solo su dati statistici e libri, o hai anche incontrato vittime reali?

Per documentarmi ho cercato soprattutto le voci degli “scomparsi”, le testimonianze di chi ha vissuto un’esperienza di prigionia: documentari, interviste, memoriali. Le suggestioni venute da queste voci sono diventate la storia del Bambino, un racconto che puntella la trama principale. Ho cercato di immaginare il suo punto di vista, di restituirlo nella complessità e la confusione dei pensieri, immedesimandomi nel suo mondo fino a sentire le sue stesse paure. In particolar modo mi interessava il tema dell’identità: a questi bambini è stato portato via tutto, a partire dal nome, che spesso gli veniva cambiato. A distanza di anni dal rapimento, un ragazzino, presentandosi alla stazione di polizia, ha esordito dicendo: “So che mi chiamo Steven.” Questa frase mi ha commossa: dopo tutto quel tempo ha cominciato a riappropriarsi della sua vita, della sua identità, a partire dal nome che gli avevano dato genitori che a malapena ricordava.

Come prima cosa, aprendo il tuo romanzo ho letto la dedica al Dottore, Valentino Rossi, personaggio indubbiamente di valore e talento che seguo anche io dagli inizi della sua carriera. Proprio alla luce delle tue parole ti chiedo, cosa significa per te non prendersi troppo sul serio nel tentativo di fare bene le cose? Quali rischi saresti disposta a correre pur di poter continuare a fare tutto ciò a cui tieni?

A differenza della percezione comune su di lui, Valentino non è mai stato un pilota perfetto, non è mai stato una macchina che guidava una macchina. Ha sempre rischiato, e accettato di sbagliare e riprovare. Ha lasciato la moto più performante sul mercato per passare a una squadra che non vinceva un mondiale da secoli. Anche adesso, invece di ritirarsi mentre era sulla cresta dell’onda continua a correre, confrontandosi con ventenni talentuosi. Per me è sempre stato un’ispirazione, perché come lui credo sia vitale continuare a muoversi, rischiando di sbagliare. Per continuare a scrivere, pur avendo un lavoro che amo e che occupa tanto tempo, ho sacrificato ferie, weekend ed energie, accettando sia la fatica sia i fallimenti. Mi sono ispirata alla “tecnica” di Valentino, e cioè cercare di non mettersi al centro del mondo, ridere degli sbagli e dei difetti, altrimenti gli errori diventano frustrazioni insormontabili.

Sulla copertina, dopo il titolo c’è scritto “La prima indagine di Marco Lombroso”. Questo vuol dire che avremo ancora l’occasione di scivolare nel buio e nella mente così complicata di questo ragazzo? Lo rivedremo e se sì, a breve e assieme a Lucia? Hai anche altri progetti in programma?

In questo momento sono concentrata sul presente di Marco e Lucia e non mi sto facendo troppe domande sul nostro futuro. Sia io che loro abbiamo altre storie da raccontare e possiamo ancora crescere, ma se lo faremo attraverso un altro romanzo non so dirlo.

Prima di concludere, siamo giunti alla domanda di rito. Quanto tempo dedichi alla lettura nelle tue giornate? C’è qualche autore in particolare che rientra fra i tuoi preferiti e dato che siamo su Thrillernord, segui per caso il genere nordico?

Con poca originalità ti rispondo che leggo soprattutto di sera e nei weekend. Ciò che varia (in base a criteri che non sono ancora riuscita a capire) è il ritmo di lettura: ci sono periodi in cui divoro i romanzi e altri in cui i libri sembrano non finire mai. Gli autori preferiti sono tanti: Stephen King, Shirley Jackson, Joe Lansdale, Leonardo Sciascia… sono i primi che mi vengono in mente. Andando sul genere nordico, oltre all’immancabile Nesbø, ho una grande passione per Lindqvist: ho letto – e amato – tutto ciò che ha scritto, ma consiglio a chi non lo conoscesse di recuperare “Lasciami entrare”. È uno di quei romanzi di cui penso: “Avrei voluto scriverlo io.”

A nome mio e di Thrillernord ti ringrazio per la tua disponibilità e ti faccio i miei migliori auguri, affinché “Gli scomparsi” possa spiccare il volo!

Loredana Cescutti

Grazie mille a Thrillernord per avermi ospitata e a te per l’effetto psicanalitico di questa intervista ?

Alessia Tripaldi

A cura di Loredana Cescutti

 

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