Il senso delle parole rotte




Recensione di Katia Fortunato


Autore: Massimiliano Giri

Editore: Mondadori

Genere: Giallo

Pagine: 240

Anno di Pubblicazione: 2020

Sinossi. Nella villa sulla collina, oltre il cancello di ferro battuto, le pattuglie aspettano all’ingresso. Gli aloni bluastri dei lampeggianti nella pioggerella nebulizzata che riempie l’aria. La casa è stata già perlustrata e la ragazza non c’è. Il cellulare, staccato. Segni di una colluttazione in soggiorno, schegge di ceramica spuntano dal parquet come denti di squalo. Tracce di sangue, un arabesco scuro come melassa che va verso una porta sul retro e prosegue nel parco, fra la ghiaia e l’erba. La recinzione di metallo è stata tranciata, un buco delle dimensioni di una persona spezza il verde delle piante rampicanti. Di là c’è il bosco. Qualcuno ha rapito la figlia dell’uomo più potente della città e il commissario Matthias Macrelli è quello che deve ritrovarla. Ex pugile, un passato segnato da un incidente che gli ha cambiato la vita, scoprirà nel corso dell’indagine un caso archiviato da riaprire, e l’esistenza di un senso nascosto delle parole che rivela il male e il dolore. Ma adesso, per prima cosa, bisogna chiamare i rinforzi. Perché il bosco è grande. E il mondo, là fuori, molto feroce.

Recensione. Approccio curioso e carico di aspettative a questo romanzo di cui avevo sentito parlare molto bene, fortunatamente ampiamente confermate.

Di solito quando sento elogiare un romanzo sono sempre un po’ scettica e le fregature sono subito dietro l’angolo, ormai lo do per certo, e scoprire di dovermi ricredere mi ha fatto molto piacere.
Il ragazzo sa scrivere, è indubbio.

Ha costruito una bella storia, ha caratterizzato i personaggi molto bene e ti ha messo addosso l’ansia giusta dosando conferme e colpi di scena.
I due personaggi principali, seppur al primo impatto risultano male assortiti, si rivelano una coppia vincente e non disdegnerei un proseguo. Anche solo per entrare più nello specifico dei trascorsi del commissario Macrelli, una figura interessante a dir poco, una sorta di Adrian Monk italiano che, con le sue manie, le sue fisime e le sue ferite, ti entra dentro.

Un personaggio empatico, che si mette in relazione con le vittime, e che riesce a catturare l’affetto dei lettori.

Un scrittura semplice e pulita, che va dritta al sodo, senza tanti giri di parole: essenziale.

Un bel giallo, inutile ribadirlo. Da leggere!

 

Intervista

Come alla maggior parte dei protagonisti buoni di un thriller, ci sono alle spalle sofferenze, tragedie, limiti e problemi che li fanno sembrare meno eroi e più “umani”. Il tuo protagonista soffre di un disturbo ossessivo-compulsivo; perché proprio questo limite?

Da bambino ero fissato con la simmetria. Ricordo che mi sforzavo sempre di camminare contando un numero pari di passi, oppure facevo gesti con una mano per poi ripeterli, speculari, con l’altra. La cosa mi faceva stare bene, probabilmente era solo un gioco, ma quando il gioco può trasformarsi in ossessione? Per disegnare Macrelli ho attinto dal mio passato, esagerando sintomi e limiti. Macrelli affronta ogni giorno ossessioni vere, fino a trarne addirittura beneficio, in circostanze estreme, quando il suo subconscio decide di tradurle in rivelazioni. Macrelli paga caro il prezzo delle proprie intuizioni, perché la sua mente è in continuo conflitto, perennemente in cerca di simmetria. Io vedo la battaglia interiore del protagonista come una metafora della vita: ognuno di noi, dopotutto, è in cerca di equilibrio.

A un certo punto il commissario Macrelli entra in un appartamento usando un modo non propriamente ortodosso, diciamo così; pensi che ogni tanto, non seguire le regole, sia necessario per raggiungere un obiettivo più alto? Qual è il limite? La legge e la giustizia sono due cose differenti, ma chi tutela la legge ha una sorta di lasciapassare per sentirsi in diritto di interpretarla? E il risultato positivo può essere una sorta di alibi?

Se me lo chiedi come autore ti rispondo che le regole, a volte, devono essere piegate alle esigenze e al ruolo che ha un romanzo thriller/giallo: divertire e intrattenere. Io sono un autore di letteratura di evasione, per me è importante intrigare il lettore, e il lettore non lo puoi tenere incollato alle pagine seguendo le procedure standard della polizia. Un romanzo thriller è un po’ come un buon film dello stesso genere, realtà e spettacolarizzazione devono trovare un compromesso.

Se mi poni la stessa domanda come cittadino, invece, rispondo che le regole vanno rispettate. Chi tutela la legge non può prendere scorciatoie, nemmeno per raggiungere un fine più alto e nobile.

Suppongo che prima di essere uno scrittore tu sia un lettore; la tua identità creativa ne è stata in qualche modo influenzata?

L’identità creativa è sempre influenzata da qualcosa, non solo dai libri. Se ci pensi è l’insieme delle nostre esperienze, a renderci quello che siamo, come esseri umani e come artisti. Le letture mi hanno influenzato, certo, ma anche la musica, anche le serie tv e i film. Non saprei dire in che modo, né quantificarne una cifra.

Massimiliano Giri


Massimiliano Giri nasce nella Repubblica di San Marino il 23 febbraio del 1977. Suoi racconti sono stati pubblicati da vari editori, fra i quali anche Mondadori. Nel 2013 riceve una menzione speciale al Premio Algernon Blackwood. Nel 2015 e nel 2016 vince il Premio GialloLatino, nel 2018 il premio Urania Short. Nella vita privata fa il papà, colleziona macchine per scrivere e frequenta un poligono di tiro in vista di una prossima, imminente zombie apocalypse.

 

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