Intervista a Denise Antonietti 




A tu per tu con l’autore


 


Ciao Denise, grazie per aver accettato il nostro invito. 

Ma di che, grazie a voi dell’ospitalità!

Classe ’94, laureata in archeologia, mamma di un bimbo di un anno, esordisci nel 2020 con Tran-sibérien. Il mistero dell’oro degli Zar. La tua vita sembra un treno in corsa, un po’ come quello su cui è ambientata la storia narrata nel tuo romanzo, che ho letto e ho trovato adorabile. Da dov’è nata l’idea?

Dunque, l’idea è nata da una serie di fattori combinati: Elise e Leroy esistevano già da un po’ nella mia testa, ma si erano materializzati solo nello spazio di un racconto (inedito). Poi c’era la Transiberiana, su cui sognavo da tempo di fare un viaggio. Infine la necessità: se fino a prima avevo sempre scritto per puro svago, con Trans-Sibérien le cose sono cambiate. Volevo prima di tutto riscattare le storie leggere, troppo spesso sottovalutate o prese per superficiali. Che ci sia riuscita o meno, però, non sta a me deciderlo, ma a chi lo legge.

Sei un’archeologa, che nel mio immaginario è quasi come essere un detective. Quanto influisce la tua formazione su quello che scrivi? 

Quello che l’archeologia ha in comune con la scrittura  – almeno, con la mia – è la ricerca. Amo moltissimo inserire in ogni storia dei dettagli, dei personaggi storici, dei fatti realmente accaduti. Ho imparato e continuo ad imparare le cose più astruse in relazione a quel che scrivo.  Gran parte di quel che vado a “scavare” non finisce nemmeno nelle storie, ma contribuisce a creare intorno a me quel mondo in cui bisogna che entri per rendere credibili i miei personaggi.

Tran-sibérien. Il mistero dell’oro degli Zar è un thriller, ma quella che fa davvero la differenza è la sua cifra ironica. È una tua dote innata o, a parte questo, hai avuto un autore di riferimento? 

Direi che si tratta soprattutto di legittima difesa! Per me l’ironia è un riflesso condizionato. Sono cresciuta in una casa dove pranzi e cene spesso si trasformavano in pezzi di cabaret, e di questo non posso che essere grata alla mia famiglia. Siamo tutti degli allegri buontemponi. Però quel che viene naturale va sgrezzato, educato e pettinato un po’ prima di essere messo su carta. In questo ho dei grandissimi maestri, italiani e non: Bergonzoni, per esempio, o Woody Allen, e autori classici come Wilde, Dickens, Manzoni, Verne, Twain.

Elise Cunning, la tua protagonista, è una ragazza con la testa fra le nuvole che si ritrova coinvolta, inconsapevolmente, in un intrigo internazionale. Io vorrei avere anche solo un quarto della sua allegra ingenuità, che le permette di affrontare la vita con la giusta dose di spensieratezza. Denise è un po’ Elise o l’ha creata per come le piacerebbe essere?

Denise è nascosta tra le pieghe della gonna di Elise e quelle del soprabito di Richard Leroy, e fa capolino solo di tanto in tanto. Credo che per riuscire ad immaginare certi punti di vista paradossali sia indispensabile averceli dentro, almeno in parte. Per renderli ridicoli però bisogna saperli osservare dall’esterno, alla maniera smaliziata di Leroy.  Se mi piacerebbe essere come Elise?… A chi non piacerebbe!

Mi hanno molto colpita la descrizione dei luoghi attraverso cui si muovono i tuoi personaggi. Partiamo da Parigi, passiamo da Berlino, Mosca e Varsavia, fino ad arrivare in Siberia (il nome della città dillo tu, io ci ho rinunciato alla prima lettura). Ho davvero avuto l’impressione di essere in viaggio con loro. Ne hai esperienza diretta, ovvero riesci a descrivere solo ciò che hai visto con i tuoi occhi, o lo studio, unito a una fervida immaginazione e alle tue capacità stilistiche, sono in grado di rendere vivi questi luoghi agli occhi del lettore? 

La maggior parte dei luoghi li ho visti solo attraverso gli occhi dei miei personaggi. Del resto, Berlino soprattutto, dopo la Seconda Guerra Mondiale è cambiata così tanto che esserci stata o meno al giorno d’oggi è quasi irrilevante. Ho studiato molto. Per mia fortuna, l’Europa degli anni ‘30 è ricchissima di documentazione fotografica. Per la Siberia me la sono dovuta sudare un po’ di più, ma è quello il bello della ricerca. Lipovskoye (l’ho detto!) la sono andata a scovare percorrendo palmo a palmo i dintorni di Yekaterinburg, su Google Maps. E poi ho condito il tutto con tanta, tanta fantasia.

Il 2020 è l’anno del tuo romanzo d’esordio, ma hai pubblicato anche diversi racconti, contenuti in varie antologie. Si tratta di gialli o spazi tra generi diversi? 

Mi piace dire che soffro di “personalità scrittorie multiple”: scrivo quasi di tutto. Se la letteratura è un viaggio, lascio che mi porti verso mete sempre diverse. Mi influenza molto l’umore del momento, di solito per antitesi (sono triste, cerco di scrivere qualcosa di divertente). Per il momento ho all’attivo un noir, pubblicato da Filigrana nella raccolta “La cattiva Strada”, alcuni racconti non di genere, un esperimento di saga familiare a puntate pubblicato sul blog di Mammabeans.com, e poi i cari, amati racconti umoristici. Elise e Leroy, però, occupano sempre un posto speciale nel mio cuore. Quando torno a scrivere le loro avventure, per me è come tornare a casa.

Grazie per la tua disponibilità e in bocca al lupo per la tua carriera!
Grazie a voi – e al lupo!
Spero di ritrovarvi presto.

A cura di Claudia Cocuzza

 

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