L’uomo di Calcutta




Recensione di Manuela Baldi


Autore: Abir Mukherjee

Traduzione: Alfredo Colitto

Editore: SEM  

Genere: noir storico

Pagine: 352

Anno di pubblicazione: 2018

Sinossi.  Calcutta, 1919. Non sono neanche le nove di mattina e la calura bagna la camicia di Sam Wyndham, giovane veterano britannico della Grande Guerra con un passato doloroso, arrivato a Calcutta per unirsi alla polizia e iniziare una nuova vita. Di fronte a lui, in un vicolo cieco e buio, c’è un corpo contorto in maniera innaturale e mezzo affondato in una fogna a cielo aperto. Il cadavere è quello di un alto funzionario britannico. L’hanno trovato così, con la gola tagliata, un occhio strappato dai corvi e in bocca un biglietto che intima agli inglesi di lasciare l’India. I suoi superiori credono che si tratti di un omicidio politico commesso dagli attivisti che si battono per l’indipendenza dell’India. Nel frattempo le notizie sul massacro di Amritsar, perpetrato dall’esercito di Sua Maestà, fomentano disordini tra la popolazione. È a rischio la stabilità dell’impero e il capitano Wyndham si trova coinvolto non solo in un’indagine impegnativa, che lo porta dai salotti dei ricchi imprenditori alle fumerie d’oppio dei quartieri malfamati, ma anche nelle lotte intestine dei suoi compatrioti. Deve risolvere il caso in fretta, ma qualcuno fa di tutto per impedirglielo. Ambientato in un’India ricca di fascino, costruito con grande abilità.

Recensione


Opera prima di Abir Mukherjee, tradotta benissimo da Alfredo Colitto, che interpreta magistralmente il testo inglese e lo rendo fluido e coinvolgente in italiano.

Il “nucleo” della storia che ci viene raccontata e che dà senso al noir è un delitto del quale si occupa il capitano Wyndham. La narrazione delle indagini permette ad Abir Mukherjee di raccontarci un’epoca e un mondo sconosciuti ai più. Fanno parte di questo racconto riferimenti storici, artistici, culturali e climatici.

Indagando sul delitto, il capitano Sam Wyndham ci apre il sipario sulla vita dei Bengalesi e degli Inglesi; siamo nel 1919 ed è un periodo molto caldo, da tutti i punti di vista: ci troviamo a Calcutta, città unica per molti aspetti. Sam Wyndham si porta dietro un passato da veterano della Grande Guerra, è vedovo, e la proposta del suo ex capo, Lord Taggart, di lavorare in India gli permette di tirare una linea netta con il suo passato e cercare di ricominciare daccapo.

Abel Mukherjee costruisce un protagonista intelligente, capace di pensare con la propria testa, e gli affianca un coprotagonista altrettanto interessante, Surrender-not (Surendranath) Banerjee, Bengalese, colto, laureato in Inghilterra, soltanto tenente e subalterno agli Inglesi, per il solo fatto di essere un nativo.

Il libro è intriso di ironia, dovuta più agli Indiani che ai compassati Inglesi; i colpi di scena sono ben calibrati e rendono interessante l’evolversi delle indagini.

Leggere questo libro ci permette di godere della capacità investigativa di Sam Wyndham e del suo collega Surrender-not Banerjee, ma anche di conoscere Calcutta, i suoi fermenti, la sua modernità.

Mi sono fatta prendere da questo libro e l’ho letto d’un fiato facendo quasi mattina, perché avevo l’esigenza di finirlo; ho sofferto il caldo leggendolo e non saprei dire se fosse dovuto al rialzo della temperatura (che realmente c’era) o se la mia totale immersione nella lettura mi abbia fatto sentire il caldo afoso di Calcutta.

Lo consiglio per due motivi: primo, per il protagonista, Sam Wyndham, che trovo molto interessante; secondo, per la conoscenza di un mondo che non c’è più ma che ci dice molto sul Colonialismo e sulle discriminazioni basate sull’etnia.

Il libro fa parte di una trilogia che verrà pubblicata in Italia da SEM. Sono già in attesa del secondo. Benvenuti, Sam Wyndham e Surrender-not Banerjee.

Abir Mukherjee


Abir Mukherjee, giovane autore best seller di origine indiana, è cresciuto nell’Ovest della Scozia. Per questo suo romanzo d’esordio è stato ispirato dal desiderio di saperne di più su un periodo cruciale della storia angloindiana che sembra essere stato quasi dimenticato.

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