American serial killers




 American serial killers


Gli anni dell’epidemia

1950-2000”

di Peter Vronsky

Nua Edizioni 2023

Barbara Cinelli ( Traduttore )

Saggio – True Crime, pag.468

Sinossi. I fan di Mindhunter e della docu-serie Dahmer divoreranno le storie agghiaccianti di questi serial killer della “Golden Age” americana, l’età dell’oro degli assassini seriali (1950-2000). Con libri come Serial Killers, Genesi mostruose e Sons of Cain, Peter Vronsky si è affermato come il massimo esperto di storia dei serial killer. In questo primo autorevole saggio sulla “Golden Age” dei serial killer americani, gli anni in cui il numero di assassini seriali e la conta dei corpi esplosero, Vronsky racconta le storie degli omicidi più insoliti e importanti dagli anni ‘50 all’inizio del ventunesimo secolo. American Serial Killers offre ai veri appassionati di true-crime ciò che più che desiderano, passando dalle storie degli assassini più famosi (Ed Kemper, Jeffrey Dahmer) a quelle dei casi meno noti (Melvin Rees, Harvey Glatman). Un saggio storico e sociologico avvincente e approfondito. Perfetto per i fan del true-crime dallo stomaco forte.

 Recensione di Loredana Cescutti

È sicuramente stata una lettura intensa la mia, che ha richiesta ampi spazi di pause per poter andare alla ricerca dell’ossigeno necessario, alla fine di uscirne, in qualche modo, con un equilibrio che ha rischiato di andare in frantumi, non lo nego.

Assolutamente, non è una lettura per tutti, nemmeno per chi si professa amante del genere.

Ho letto diversi libri che affrontavano il tema del profiling e della sua storia, che proponevano ampie infarinature sui serial killer più famosi, sulle loro azioni ma soprattutto sul pericolo affrontato dagli esperti che hanno liberamente scelto di entrare nella mente del mostro per cercare di capire, oltre a tentare di riconoscere e segnalare più caratteristiche possibili da utilizzare nel caso si fossero trovati davanti una persona con tratti medesimi o motivazioni affini.

Ebbene, se quei libri li ho trovati pericolosamente, fin troppo, coinvolgenti tanto da leggerli con parsimonia per la fascinazione eccessiva, “American serial killers. Gli anni dell’epidemia 1950-2000” mi ha messa in difficoltà, non per la scrittura perfetta, accurata e molto attenta al dettaglio dell’autore, quanto per la follia spiazzante e malata che ti arriva addosso, corredata da descrizioni minuziose, senza che alcuno scudo riesca a fornirti la giusta protezione.

Con un’analisi storica, politica e sociologica molto attenta, Vronsky ti mostra, dimostra e racconta chi se già da prima avrebbe avuto la capacità di uccidere, grazie o purtroppo, in seguito a situazioni limite, si sia trasformato in un vero e proprio mostro senza giustificazione alcuna proprio perché, comunque, all’omicidio ci sarebbe arrivato lo stesso, poiché stimolato in modo negativo dall’ambiente e dalle esperienze di vita, a casa e fuori.

Due guerre hanno inciso in modo indelebile su queste persone, comunque in qualche modo già portate all’omicidio, ovvero la Seconda guerra mondiale dei loro padri tornati completamente devastati dal campo e poi, la guerra di Corea vissuta dai figli, già segnati da genitori feriti e da famiglie spesso disfunzionali, che aggiungendoci l’aspetto sociale non molto propositivo, si sono rivelate micce impossibili da disattivare, ormai.

Un libro che fa molto male presentandoti nei dettagli dei veri e propri sociopatici e psicopatici privi di qualsiasi sentimento umano, se non distorto, che li ha resi estremamente pericolosi e decisamente temibili.

Incrociarli sulla propria strada, poteva rappresentare, se non con rarissime eccezioni, la fine della propria esistenza.

Per quanto mi riguarda, nonostante in nessuno vi fossero tracce rinvenibili di empatia, il caso Dahmer si è rivelato quello che mi ha perseguitata anche alla fine della lettura di questo saggio, anzi, ne sono rimasta veramente devastata.

È anche vero che sia fisicamente, che a livello di letture, i mostri, siamo sempre noi che decidiamo di farli entrare in casa nostra. Sicuramente per il bisogno di conoscere e capire, ma prima di farlo, accertiamoci di esserne in grado, perché una volta affrontati ti si insinuano sottopelle come un virus e, non saremo più come prima.

Le parole poi si dissolvono.

Le percezioni e le sensazioni provate no, e non sempre è un bene.

L’ombra è il dolore ti rimangono. 

Se è vero che le guerre del passato hanno dato vita a figure aberranti che ancora oggi si sente nominare, l’autore, alla luce degli ultimi quindici anni, che hanno visto la gente affrontare nuove difficoltà economiche (il 2008 e le banche), il Covid e i numerosi morti, la libertà dei social e tutto ciò che circola in rete, nel concludere, si pone il dubbio rispetto al fatto che dopo a una lunga fase di “latenza”, se si pensa al prima, non è escluso che le nuove generazioni di serial killer segnate dai nuovi eventi, potrebbero essere già nate.

I see the bad moon risin’

I see trouble on the way

Don’t go around tonight

Well, it’s bound to take your life…

(Bad Moon Rising – Creedence Clearwater Revival)

Vedo una brutta luna crescente

Vedo guai all’orizzonte

Non andare in giro stanotte

Bhè è probabile che prenda la tua vita in giro stanotte…


Recensione di Kate Ducci


Un trattato sociologico estremamente sapiente ed esemplificativo di un fenomeno che è stato per decenni incontrollabile ma al tempo stesso inspiegabile e, proprio per questo, a maggior ragione impossibile da risolvere.

Peter Vronsky affronta la questione spiegando nei minimi dettagli chi sia un serial killer, come agisca e, soprattutto, perché lo faccia, offrendo un’abile quanto agghiacciante analisi di un’epidemia omicida che ha terrorizzato gli Stati Uniti d’America.

Chi può essere considerato un killer seriale, terminologia recente nonostante il fenomeno abbia preso campo dopo la seconda guerra mondiale? Secondo l’FBI ci troviamo al cospetto di un killer seriale quando si verifica l’uccisione illegale di due o più vittime da parte dello stesso criminale in eventi separati e per qualsiasi motivo, inclusi rabbia, ricerca del brivido, guadagno finanziario e desiderio di attenzione. 

In passato, all’origine ma anche assai prima che questi macabri reati venissero collegati a un fenomeno di larga portata, questi individui venivano chiamati mostri, o addirittura lupi mannari e vampiri. Si diceva che fossero affetti da monomania, una sorta di singolare preoccupazione od ossessione patologica in una mente altrimenti sana e che potessero essere riconosciuti dalle loro caratteristiche fisiche brutali e scimmiesche.

Questo grande errore di base condusse a escludere non solo il fenomeno e la sua complessità, ma anche dalla lista dei sospetti persone perfettamente integrate nella società, con un’apparenza normale e rassicurante.

Solo alcuni decenni dopo, quando i killer seriali, coperti da un’apparenza insospettabile, avevano mietuto un numero incalcolabile di vittime, gli studi condussero a chiarire che fin troppo spesso l’omicida seriale fosse un individuo integrato, scaltro, persino attraente, con tratti raffinati e gentil e che, per catturarlo e provare a dare una battuta d’arresto a una preoccupante epidemia, fosse necessario interrogarsi non su ‘Chi’ ma sul ‘Perché’.

I risultati di queste attente ricerche furono chiarificatori quanto allarmanti. I killer seriali erano per la quasi totalità maschi bianchi, figli di padri reduci da terrificanti esperienze di guerra (prima guerra mondiale, seconda guerra mondiale e Vietnam) che li avevano segnati e stravolti, resi incapaci, violenti e anaffettivi; e di madri di conseguenza o vittime, o dominanti, o troppo rigide o troppo soffocanti. A conferma di ciò, il fenomeno è andato decisamente affievolendosi proprio a distanza di decenni dalla fine dell’ultima grande guerra combattuta su territorio.

Quei ragazzini lasciati crescere in un clima di disagio e mancanza di affetto vennero definiti dal giornalista Tom Brokaw come ‘la più grande generazione che una società abbia mai prodotto’, una generazione privata di affetto e quindi incapace di darne, ferita e rabbiosa, impotente e intrappolata nel silenzio, ma non priva di emozioni come verrebbe da pensare. Le emozioni venivano percepite affievolite come erano stati costretti a percepirle per sopravvivere a un’infanzia dolorosa. Soprattutto quelle negative restavano un rumore di fondo, talmente fievole da non poter influenzare un comportamento e frenarlo.

Libro toccante e capace di far vedere il killer seriale in una veste diversa, scomoda e realistica: non un mostro, ma la giovane vittima di una società che ha distrutto la psiche di suo padre; una vittima che poi si è trasformata in carnefice, un bambino privato per precise e scellerate scelte politiche della possibilità di diventare l’uomo sano ed equilibrato che molto probabilmente sarebbe stato. Il lato più agghiacciante appare proprio questo: i serial killer non sono persone sfuggite al controllo della società, ma un preciso prodotto di una società colpevole.

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Peter Vronsky


Peter Vronsky è autore di diversi saggi di successo, incentrati sui serial killer e sulla loro storia. È uno storico investigativo, autore e regista. Ha conseguito un dottorato di ricerca all’università di Toronto in Storia della giustizia penale e spionaggio nelle relazioni internazionali. Con Nua ha pubblicato “Genesi mostruose (2021).