Intervista a Achille Maccapani




A tu per tu con l’autore


Sono molto felice di aver avuto l’opportunità di conoscere il commissario Francesco Orengo e per cui, partendo da principio, e sulla base delle notizie frammentate che si possono cogliere qua e la nel romanzo, vorresti presentarci il tuo personaggio, partendo a grandi linee da come lo hai conosciuto tu e in seguito, raccontandoci qualcosina del suo passato, apparentemente abbastanza complicato?

L’idea di questo personaggio è nata a seguito dell’avvio della mia esperienza lavorativa di segretario comunale (tuttora operante) divisa tra Quiliano (SV) e tre piccoli comuni dell’estremo ponente della provincia di Imperia: uno di questi è Castel Vittorio (IM), piccolo borgo medievale di entroterra situato nell’estrema Val Nervia, lungo la strada che conduce verso l’alta Valle Argentina. I cognomi delle principali famiglie di questo paese sono Rebaudo e Orengo. Quest’ultimo cognome mi ha fatto pensare allo scrittore e giornalista Nico Orengo (piemontese di origine, ma profondamente legato a questo territorio). Nel contempo Armando d’Amaro mi aveva chiesto di pensare ad un nuovo personaggio seriale per un ciclo di romanzi gialli. A quel punto, partendo dal presupposto che il protagonista non provenisse da un comune conosciutissimo come Dolceacqua o Apricale, mi è venuto spontaneo ritenere che le origini del commissario fossero proprio castelluzze. Così l’abbinamento tra i due principali scrittori del ponente ligure della seconda metà del Novecento, vale a dire Francesco Biamonti e Nico Orengo, ha dato vita a Francesco Orengo. 

Il suo passato? Echeggia con pochi tratti, di volta in volta, tra i romanzi che compongono questo ciclo seriale. È nativo di Castel Vittorio, si è diplomato a Ventimiglia, e poi ha scelto di arruolarsi da subito in polizia, partendo dalla gavetta, come celerino fuori dagli stadi (forse questo influsso mi è giunto dalla lettura di un romanzo, purtroppo attualmente fuori commercio, che ho amato alla follia,  “A viso coperto” di Riccardo Gazzaniga), di stanza a Bolzaneto, poi studente-lavoratore, laureatosi, e poi vincitore di concorso per il passaggio in dirigenza, e di seguito esperienze varie tra le questure piemontesi. Fino a giungere, a sorpresa, alla sede più ambita e insperata: quella del commissariato di polizia di Sanremo, in Corso Cavallotti. Questi spunti sono già presenti nel primo episodio della serie, “Delitto al Festival di Sanremo”, ma giustamente tante dinamiche del passato rimangono nascoste, ogni tanto le faccio riaffiorare, perché magari rappresentano dei collegamenti tra indagini del passato e quelle del presente. 

Il commissario Orengo è attorniato da una squadra di fedelissimi sul lavoro e nel privato da una ragazza determinata e disposta a tutto pur di essere d’aiuto. Vuoi farci una panoramica di questo piccolo ma importantissimo pezzo di mondo del tuo personaggio?

Anzitutto il vicequestore Dario Canevari, vero e proprio grillo parlante del commissariato. Una sorta di mentore, di vero riferimento fidato, pronto ad aiutare Francesco nel suo difficile ambientamento, soprattutto a fronte delle indagini incalzanti, e delle difficoltà che emergono di volta in volta, interne ed esterne. E poi c’è lei, Linda Battarelli, la sovrintendente tutta casa, lavoro e palestra, sveglia e operativa, pronta a fare gli straordinari per ricercare i colpevoli, dando una mano alla squadra assieme all’agente Diego Trucchi, un mago dell’informatica, capace di spararsi ore e ore di riprese delle telecamere di videosorveglianza o di ricostruire certe dinamiche informatiche di difficile decriptazione. Questi collaboratori aiutano Orengo, che viene dalla vecchia scuola investigativa, non si basa solo sulle tecnologie, sulle impronte digitali, e sugli strumenti attualmente utilizzati e citati nelle varie serie tv, ma si basa sull’intuizione, sulla ricerca della verità fatta con vecchi metodi. E l’ausilio della sua squadra si rivelerà davvero utile, a mano a mano che le indagini si susseguono.

“Il focus del romanzo è incentrato sulle vicende dell’inchiesta di polizia, con un finale caratterizzato da un crescendo di azione, ma il fascino di queste pagine sta soprattutto nella forza evocativa dei luoghi. Quegli stessi luoghi che il segretario comunale Achille Maccapani conosce così bene, percorrendoli ogni giorno con la sua automobile…”. Così si esprime Bruno Morchio, a sua volta grande autore, che con questa frase conclude la bellissima prefazione al tuo romanzo. Quando hai deciso che “i tuoi” luoghi, in questo romanzo dovessero trasformarsi anche nei luoghi di Orengo e perché? Potresti farci una panoramica di paesi e strutture principali che in “Sanremo e il tesoro di Hitler” assumono un ruolo più che mai determinante nella storia?

Si tratta, nello specifico, dei luoghi dell’estrema Val Nervia e della Valle Armea, gli stessi che frequentava il botanico Mario Calvino quando andava a caccia di cinghiali, e di seguito suo figlio Italo quando si ritrovò clandestino nella lotta partigiana in seno alla brigata Garibaldi, intento a percorrere strade, sentieri, percorsi perigliosi che difficilmente i soldati nazisti riuscivano a presidiare. Penso a Isolabona, sede del castello che ispirò i luoghi del “Barone rampante”, ad Apricale, a Bajardo (luogo dell’omonima battaglia cui partecipò lo stesso Calvino, e da lui rievocata nel celebre racconto – memoriale), insomma a tutto questo microcosmo di entroterra pieno di misteri e curiosità tuttora vive e veritiere. È stata una scelta naturale e necessaria, visto che Sanremo dispone sì di una parte significativa del suo territorio ambientata in entroterra, ma di fatto la sua influenza va ad estendersi anche sui paesi limitrofi e confinanti: basti pensare al rally di Sanremo, dove i percorsi più rilevanti si snodano proprio nelle strade collinari a zig-zag e di alta suggestione tra Bajardo e Apricale, e quelle immagini sono conosciute dagli appassionati di tutto il mondo. E poi c’è da dire che questa indagine tra passato e presente mi aveva spinto a provare ad estendere in modo ancor più incisivo l’ambientazione anche all’entroterra di Sanremo. Ammetto che, già nel precedente romanzo della serie, “Lo smemorato di Sanremo”, la componente di entroterra, cioè quella rappresentata dal borgo di Bajardo, è presente, proprio perché funzionale alla trama e allo sviluppo narrativo. Ma è  anche vero che Bajardo (che peraltro è uno dei comuni in cui lavoro tuttora come segretario comunale supplente) è conosciuto come luogo di vacanza e riposo di numerose famiglie sanremesi,  quindi di fatto la connessione tra Sanremo e il suo immediato entroterra sussisteva eccome, e si prestava benissimo per lo sviluppo narrativo.

A beneficio dei nostri lettori, potresti scindere tra ciò che nel romanzo si colloca nella pura finzione narrativa e i fatti storici realmente accaduti?

Se ci riferiamo al romanzo “Sanremo e il tesoro di Hitler”, i fatti storiografici veri sono quelli che hanno ispirato nella sostanza il filone narrativo alternato del passato, benché i personaggi di Riccardo Luzzati e della moglie Esther Lanzmann siano di pura invenzione. Come pure è totalmente inventato l’agguato partigiano di Bordighera, unitamente alla sua partecipazione del partigiano Santiago (il già citato Calvino), che peraltro è temporalmente antecedente il suo arruolamento nella brigata Garibaldi, successivo alla morte di Felice Cascione. Ciò che per me contava, ad ogni modo, sfruttando la finzione narrativa, era il desiderio di ridare vita ad una delle pagine più tristi e sconvolgenti della storia moderna di Sanremo, e cioè la deportazione di massa delle famiglie ebraiche presenti nella città matuziana avvenuta nel dicembre 1943 ad opera della Wermacht, spinto dalla lettura appassionata dei saggi storici di Paolo Veziano, che hanno influito tantissimo nella progettazione di questo romanzo, e mi hanno stimolato ad intraprendere anche un altro percorso, un altro viaggio di narrazione tuttora in corso.

Nei ringraziamenti finali, nel concludere, tu dedichi il libro a Giulio Osimo, vicesegretario generale del comune di Sanremo, almeno fino al 1938. Puoi raccontarci un po’ di lui? E poi, è in onore alla memoria di questa figura che hanno avuto vita Riccardo ed Esther? Anche tu ti ritrovi a pensare, guardando al passato e confrontandolo con l’attualità del momento, che forse dalla storia non abbiamo imparato nulla?

Purtroppo di Osimo si sa pochissimo, se non il fatto che sia stato dichiarato decaduto dal podestà a seguito dell’entrata in vigore delle leggi razziali, per via delle sue origini ebraiche, e che successivamente sia stato deportato ad Auschwitz dove è morto. La sua vicenda raccontata in uno dei saggi di Paolo Veziano mi ha dato lo spunto per elaborare la vicenda di Riccardo ed Esther. Quanto al fatto di guardare al passato, e forse anche in riferimento al sopracitato nuovo viaggio narrativo in corso, continuo a credere e sperare che invece dalla storia si possa e si debba trarre insegnamento per il presente e il futuro, e che il crescente interesse dei lettori verso saggi e romanzi storici sia un indice di attenzione e voglia di approfondimento e conoscenza per meglio comprendere le nostre radici e perché ci troviamo a questo punto del nostro cammino civile come nazione.

Nel tentare di trovare gli indizi necessari del caso, ad Orengo ad un certo punto viene posta questa domanda, che di fatto si riferisce al coraggio di fare ciò altri hanno sempre evitato preferendo chiudere gli occhi e tacere: “… occorre che lei abbia il coraggio di varcare quella soglia proibita che nessuno ha mai voluto superare. Lei sarebbe pronto a farlo, dottore?”. Ovviamente io e te conosciamo il contesto e ti chiedo: “Se fosse necessario varcare una determinata porta a fin di bene o per la verità, tu saresti disposto a farlo incurante delle conseguenze o ci penseresti bene prima?”.

Purtroppo spesso prevale la “real-politik”, quella stessa di fronte alla quale perfino Indiana Jones dovette arrendersi alla CIA che nascose in un archivio segreto il contenuto dell’arca dell’alleanza (nel film  “I predatori dell’arca perduta”), come Lawrence Kasdam nella sua sceneggiatura seppe mettere in luce. A questa domanda non è mai facile rispondere, perché quando ci sono gli interessi superiori di Stato, la tutela dell’interesse nazionale, la finalità di tutelare certi segreti anche oltre l’inverosimile (il caso Ustica insegna), nella vita reale di funzionari pubblici o di investigazione si è costretti, obtorto collo, a chinare il capo, ma nella finzione narrativa ci si può prendere sempre la rivincita, grazie alla tutela irrinunciabile dell’art. 21 della Costituzione.

Oltre all’indagine in corso, decisamente difficile, vi è altro che sottotraccia sta tramando nei confronti del commissario, in modo lento ma senza arretrare di un passo e probabilmente, disposto a tutto per chiudere il conto con Orengo e soprattutto, per toglierselo dai piedi. Cosa dobbiamo aspettarci? Vuoi parlarci dei tuoi programmi “di penna” per il futuro?

Se ti riferisci allo scontro tra Orengo e il cattivo della situazione, vale a dire il questore Maurizio Di Leva, i colpi di scena non mancheranno ancora, e ci vorrà del tempo, prima che accada qualcosa di diverso. Per il futuro, posso confermare che ho già consegnato all’editore Carlo Frilli il quarto episodio della serie del commissario Orengo, che stavolta sarà ambientata, oltre che a Sanremo, pure in Costa Azzurra, nel Principato di Monaco, e nelle località di entroterra del confine tra Italia e Francia, tra la parte interna dietro l’area costiera di Menton e la Val Roya (o, come dicono oltre Olivetta San Michele, e cioè in terra francofona,  la “Vallée du Roya”).  E poi, a latere, c’è questo viaggio narrativo in corso, del tutto diverso, un thriller storico, una vicenda che mi ha letteralmente sconvolto, si è trasformata per me in un’ossessione, e che in questi mesi sta prendendo forma.

Oltre ad un autore prolifico, se pure un lettore vorace? Quali sono le letture che impegnano il tuo tempo libero e fra queste, lasci spazio pure agli autori nordici? 

Anzitutto leggo diversi saggi storici (come quelli menzionati nella bibliografia del romanzo “Sanremo e il tesoro di Hitler”, alla quale rinvio) e altri (che non posso svelare, perché altrimenti sarebbe uno spoiler) che mi sono stati utili per l’avvio di questo nuovo viaggio narrativo tuttora in corso (e che non ha nulla a che fare con la serie del commissario Orengo).  Ultimamente ho apprezzato tantissimo “La banda dei carusi” di Cristina Cassar Scalia (ovviamente sono un fan sfegatato di Vanina, anche se apprezzavo la scrittura di Cristina già dai tempi del suo esordio “La seconda estate”, un romance delicato e di grande soavità poetica che mi ha fatto vivere tra le pagine le atmosfere di Capri), “Un volo per Sara” e. “Sorelle” di Maurizio de Giovanni (suggerisco la lettura di fila di questi due romanzi del ciclo Morozzi, visto che ci sono numerosi collegamenti diretti che si colgono in modo lampante), “Mi limitavo ad amare te” di Rosella Postorino (straordinario romanzo dedicato alle vicende di un gruppo di bambini di Sarajevo, salvati dalle forze armate italiane, seppur strappati ai genitori, e portati in Italia), e “Emerson Ray Prodigal Son” di Denise Jane (un thriller adrenalinico dalla potenza strepitosa). Mi ha sconvolto in modo piacevole il giallo storico spezzino “Nero come la neve” di Marco Della Croce, frutto di significative ricerche storiche, ben costruito, avvolgente e appagante (un’emozione così forte non la provavo, per fare un paragone, dai tempi della primissima lettura de “Il senso del dolore” di Maurizio de Giovanni, tanto per essere chiari): ovviamente non vedo l’ora di leggere i futuri sequel. Infine voglio ricordare “La fine è ignota” di Bruno Morchio, dove ho apprezzato, oltre all’intreccio narrativo gestito con una sapienza e una qualità notevoli, la scrittura narrativa di rilevante valore, con evidenti influssi linguistici liguri. Considera che questi sono i romanzi che sono riuscito a leggere durante le mie ultime vacanze estive (durante il resto dell’anno, a causa del mio lavoro, fatico maggiormente a leggere). Per quanto riguarda infine gli autori nordici, purtroppo non fanno parte – al momento – del mio perimetro di letture, visto che sono ancora in arretrato con diversi titoli di autori italiani, che devo, prima o poi, recuperare. 

A nome mio e di Thrillernord ti ringrazio per il tempo che ci hai dedicato.

Veramente sono io a ringraziarVi per l’attenzione che mi avete dato, e colgo l’occasione per salutare le lettrici e i lettori di Thrillernord, anche a nome del commissario Orengo, di Martina, degli amici di Casté e della sua squadra di investigatori.

Loredana Cescutti

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