Intervista a Alessandro Berselli




A tu per tu con l’autore


Innanzitutto, prima di concentrarci sui contenuti, puoi dirci com’è nata l’idea di questo romanzo che in qualche modo si discosta dai tuoi precedenti lavori?

In realtà Gli eversivi è nato da un’idea molto semplice. Scrivere un crime mainstream in grado di fare crossover tra i generi, noir investigativo ma anche giallo politico, action distopico ma non privo del taglio fortemente psicologico, incentrato sui personaggi, che è sempre stato alla base della mia poetica. Mi sono divertito molto.

In questo romanzo hai dato vita ad un universo femminile variegato, forte a tratti ma soprattutto, sei riuscito a stupirmi per come hai trattato le “tue” donne, ovvero hai avuto la capacità di entrare con estrema delicatezza nelle loro anime e di raccontarcele con semplicità ma con un’attenzione assoluta nel tentativo di non ferirle. Sono tante, sono tutte diversamente speciali. A partire da Ginevra, vuoi raccontarcele e spiegarci come sono nate?

La Marple, l’agenzia investigativa protagonista di questo romanzo, sembra quasi una versione aggiornata per gli anni tremila delle Charlie’s Angels, ma senza un uomo a comandare. Sono cinque, bellissime, bravissime, tutte alle prese con vite disfunzionali o parzialmente funzionali, in definitiva semplici esseri umani con i loro talenti e le loro fragilità. Come dicevo prima il lavoro sul personaggio è forse addirittura più importante di quello sulla trama, perché è lì che il lettore si immedesima, empatizza. E parte il gioco di ruolo in cui diventa lui stesso il protagonista della storia.

“… la storia è una lunga ripetizione di errori che non ci insegnano nulla…” … Così ad un certo punto si esprime uno dei personaggi in rapporto all’indagine impropria per cui vengono assunte le detective della Marple. A beneficio di chi deve ancora leggere il libro, vorresti fare una breve introduzione per presentare a grandi linee la storia che si nasconde fra le pagine?

Un caso all’apparenza semplice, un padre preoccupato per le frequentazioni politiche della figlia chiede all’agenzia di cercare di capire che cosa ci sia realmente dietro il fantomatico Laboratorio Hegel, un movimento di estrema destra con un numero di adepti e simpatizzanti in continua crescita. Sembra un’indagine di routine, ma in realtà le cinque ragazze si troveranno a scoperchiare un vaso di Pandora difficile da richiudere. Con un omicidio nel quale si troveranno loro malgrado coinvolte.

“La felicità è veramente qualcosa che si irradia. E la gente che hai vicino se ne accorge…”. A mio avviso è una riflessione veramente profonda. Anche Alessandro Berselli ne è convinto e se sì, in che modo, si riesce a captare la “vera felicità”?

Come dico sempre, la vita non è uno sport da signorine. Ma non sarebbe bello se tutti provassimo a irradiare un po di felicità? A volte non è facile, il periodo storico che stiamo vivendo è uno dei più bui da decenni a questa parte. Ma se ci provassimo lo stesso? Magari riducendo l’autocommiserazione, il nichilismo. Non facciamoci più male di quello che già c’è.

Dialogare partendo da divergenti punti di vista non è una gara per stabilire chi è dalla parte del giusto. È un incontro tra pensieri differenti…”. Io ne sono convinta, ma, quanto è difficile, secondo te, dialogare senza lasciarsi trasportare dalla discussione, rischiando così di ferire irreparabilmente l’altro?
Gli eversivi è un thriller fatto di rapporti umani che non funzionano bene, con tutti gli attori in campo responsabili dei propri fallimenti. Non è un libro sociologico, gli scrittori non devono fare questo, ci mancherebbe, ma usare la narrazione per creare domande e aprire dibattiti questo sì. Virando in modo più specifico sulla tua domanda, sembra proprio l’incapacità di dialogo essere il grande capro espiatorio delle disfunzionalità dei personaggi. Specchio dei tempi, forse.

“Le storie non vissute, quelle delle quali ci viene privata la possibilità di conoscerne il potenziale e i relativi sviluppi, diventano lutti inelaborabili che il nostro immaginario sublima elevando la loro bellezza all’ennesima potenza.”. Avresti voglia di spiegarci questo bellissimo passaggio, che in qualche modo va a chiudere il tuo romanzo?

Gli amori che finiscono troppo presto sono ferite che non si rimarginano. Frase crudelmente romantica, nel senso letterario del termine. Perché il libro si chiude con questa mesta constatazione però non possiamo dirlo. No spoiler, ho già anche svelato troppo.

Leggendo sono rimasta colpita da questa frase: “… Bologna era spaventosamente seducente nelle stagioni intermedie, quando i contrasti armonici tra la città universitaria alternativa e la metropolizzazione in atto ormai da tempo diventavano ancora più evidenti, aggiungendo fascino all’eterogeneo sciame umano che non smetteva mai di animare il suo centro storico.”. Qual è il tuo rapporto con questa poliedrica città?

Adoro Bologna, e ci ritorno dopo una trilogia milanese, quella pubblicata con Elliot, che aveva bisogno di una città metropolitana e cosmopolita, fatta di vetri, cemento e modernità, e in questo Milano era perfetta. Gli eversivi invece chiamava Bologna, forse perché si parla anche di terrorismo e anni di piombo, che qui non sono stati poca cosa. Bologna è magica, giovane, piena di linfa vitale, di cultura, di gente per strada sempre. Ripeto. La adoro.

Scrivi, ma sei anche un grande lettore? Quali sono i tuoi generi e autori di riferimento? Hai lasciato uno spazietto anche per qualche libro nordico?

Leggo molto meno di quello che vorrei e letterature molto diverse da quelle che scrivo. Amo i grandi romanzieri americani contemporanei, Franzen, Donna Tartt, tutta la nuova scena statunitense, è una letteratura molto in salute, capace di trattare temi del presente come non sempre noi italiani siamo in grado di fare. Tra i noiristi il mio maestro è Lehane. E lo Stephen King dei grandi capolavori. Sul nordico purtroppo devo deluderti, sono poco ferrato.

Grazie per la tua disponibilità a nome mio e di tutta la redazione di Thrillernord.

Loredana Cescutti!

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