Intervista a Domenico Cacopardo




A tu per tu con l’autore


Agrò ama citare Quasimodo… oltre al personaggio anche l’autore è legato al poeta?

Certo, sono io a essere legato per due motivi: familiare, Salvatore Quasimodo era compagno di scuola di mio padre al Fisico-matematico di Messina; la sua poesia così introversa ed espressiva mi ha colpito quand’ero ragazzo e tenuto compagnia dopo.

A quale autore letterario si sente più vicino?

Senza dubbio a Leonardo Sciascia. Per gli stranieri il Sartre dell’ “Età della ragione”.

Molti suoi libri sono stati pubblicati da Marsilio. Che ricordo ha di Cesare De Michelis, figura di spicco tra gli intellettuali veneziani?

Un grande ricordo: ne ho anche scritto quando, ad agosto, ci ha lasciati. L’avevo conosciuto col fratello Gianni nel 1973 e frequentato più meno saltuariamente. Sentivo lui e Gianni come persone di famiglia, i fratelli che non ho avuto. Ciò non toglie che si è trattato di un rapporto dialettico. Insomma, non sono mancate le discussioni, ovviamente politiche. Di Cesare ho ammirato e amato la cultura e l’approccio diretto, senza circonlocuzioni ed eufemismi. Una sincerità etica.

L’Italia di Agrò è quella del dopo la caduta del muro di Berlino. È così diversa dall’Italia di oggi?

E’ cambiato il mondo. Il vincolo atlantico-occidentale non c’è più e ognuno (ogni nazione) ritiene di essere libera di navigare in mare aperto da sola. Certo, non è così: ci sono due superpotenze e, in assenza di un’Europa politica (che vuol dire forze armate, politica estera, direzione unica dell’economia), nessuno, nemmeno la Russia e la Germania possono aspirare all’autonomia. Viviamo una fase di transizione: verso che cosa non si sa. Ma è un’era di opportunità. Grandi.

Come organizza il lavoro per la scrittura di un giallo? Pianifica tutto sin dall’inizio o si lascia trasportare dai personaggi e dalla storia?

Non pianifico. Immagino un fatto e intorno a esso scrivo il mio romanzo. Non so mai come andrà a finire e chi è il colpevole. Preciso che non amo la classificazione di genere e che molti miei romanzi non li considero gialli, anche se c’è il delitto.

La Sicilia e Venezia… che ricordi le suscitano?

La Sicilia è un’occasione perduta. Dai siciliani. Rimane un ossimoro irrisolto. E, forse, rimarrà tale finché i siciliani non avranno abbandonato la mafia. Venezia è un amore permanente. Ci ho lavorato due anni come presidente del Magistrato alle acque: l’incarico più entusiasmante che abbia mai ricoperto.

Domenico Cacopardo

Cristina Bruno

  

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