La scatola rossa




Sinossi. Molly Lauck, giovane e carina, viene uccisa con un candito al cianuro nella casa di mode McNair, dove lavora come modella. Chi mai può avere un motivo per fare del male a una ragazza inoffensiva? Chiunque sia, può tornare a colpire? Se così fosse, la vita di Helen Frost, anche lei modella alla McNair, è in pericolo. Solo un uomo può scoprirlo con certezza: è quello che pensa Llewellyn Frost, cugino di Helen, quando ingaggia il miglior investigatore di New York, Nero Wolfe. Per trovare chi ha ucciso Molly, ma anche e soprattutto per convincere Helen, di cui è segretamente innamorato, a lasciare l’impiego. Nero non delude le aspettative, e accumula subito importanti indizi: per esempio viene a sapere che la scatola di canditi non era destinata a Molly. E che qualcuno ne conosceva bene il contenuto. Ma allora perché all’improvviso Lew gli chiede di interrompere le indagini? Dalla mitica penna di Rex Stout, un giallo magistrale che vede come protagonista il ciclopico investigatore-gourmet: un romanzo che è entrato di diritto nella storia della letteratura americana del Novecento.

 LA SCATOLA ROSSA

di Rex Stout

Mondadori 2023

Nicoletta Lamberti  ( Traduttore )

thriller, pag.312

 Recensione di Salvatore Argiolas

Uomo dalle mille professioni e dal multiforme ingegno, Rex Stout fu uno dei più noti ed influenti giallisti del secolo scorso, grazie in gran parte ai personaggi di Nero Wolfe e Archie Goodwin.

La sua intuizione vincente fu quella di aver unito le due scuole del giallo, quella deduttiva, all’inglese, rappresentata da Nero Wolfe e quella dell’Hard Boiled, la scuola dei duri americana, nata con Dashiell Hammett e proseguita con Raymond Chandler, di cui Archie Goodwin non rispecchia in modo assoluto i canoni autentici ma che in lui trovano un’interpretazione ironica di alto livello.

Quella di Rex Stout è l’anticipazione di quello che è il poliziesco migliore, l’insieme dei due generi e le storie del sedentario detective divennero in breve tempo tanto famose che qualche anno, nel 1939, fu pubblicato “Donald Lam, investigatore” il libro d’esordio di A. A. Fair che voleva essere la risposta californiana a Nero Wolfe. Il libro infatti è narrato in prima persona da un investigatore privato dipendente da Bertha Cool, una detective che pesa come il pachidermico

protagonista di Rex Stout. Sotto lo pseudonimo di A.A. Fair si nascondeva Erle Stanley Gardner, il creatore di Perry Mason.

Secondo gli studi del francese Jean-Pierre Colin, l’universo narrativo poliziesco si fonda in genere su tre costanti: esiste un equilibrio sociale che ad un certo punto subisce una brusca cesura (il delitto, D). L’equilibrio interrotto viene ristabilito [R] grazie ad un’inchiesta, un’indagine intellettuale (I) e/o un’indagine materiale (M) che in genere è l’inseguimento del colpevole. La prima forma di indagine è tipica del giallo classico all’inglese o “Whodunit” mentre la seconda è caratteristica del romanzo nero americano l’”hard boiled”.

Preludio-> enigma-> inchiesta-> soluzione.

Lo schema tipico di questa forma di narrativa è di solito il seguente:

D——I———–M———R

Nel giallo classico l’indagine intellettuale ha una parte preponderante, a volte addirittura esclusiva, spesso l’indagine materiale non esiste proprio, è uguale a zero, come in molti romanzi di Agatha Christie, Van Dine e Ellery Queen, per cui lo schema risulta il seguente:

D————–I——————-R. (M=0)

Nei romanzi di Rex Stout invece c’è un sapiente dosaggio di queste due variabili dove l’indagine intellettuale (I) viene svolta da Nero Wolfe, auto-recluso in casa, mentre il compito di raccogliere prove e l’indagine materiale (M) è di stretta pertinenza di Archie Goodwin o di altri detective ingaggiati all’occorrenza come Saul Panzer.

E’ vero che io presto le mie capacità dietro compenso, ma vi assicuro che non mi si deve ritenere un mero venditore di fumo o di trucchi. Io sono un artista. Commissionereste un quadro a Matisse e, quando lui ha appena abbozzato uno schizzo, glielo portereste via, lo strappereste e gli direste: Basta così, quanto vi devo?”
dice Nero Wolfe in “La scatola rossa”.

Nello stesso romanzo Archie Goodwin, che narra in prima persona, scrive: Io so benissimo qual è il mio campo: tralasciando la mia funzione primaria quale spina sulla poltrona di Wolfe, per impedirgli di andare a dormire e alzarsi solo per i pasti, io sono tagliato essenzialmente per due cose: correre ad afferrare qualcosa prima che l’avversario possa metterci le zampe sopra e raccogliere in giro i pezzi del puzzle perché Wolfe ci lavori su.”

Utilizzando gli schemi ormai collaudati del giallo Rex Stout li ridefinisce conferendo loro una freschezza e una carica di vitale ironia che ne decretò il successo che dura ancora oggi, trasformando il narratore ignaro e non particolarmente sveglio alla Watson in un uomo svelto di mano e di cervello, ben fornito di trovate e di battute, come viene evidenziato già dai frizzanti

incipit che danno immediatamente il tono scanzonato e allegro ma anche di fascino che Archie Goodwin darà alla sua narrazione:

“Quel giorno di settembre fu ricco di sole e di sorprese.

La prima l’ebbi quando, dopo essermi rapidamente accertato che l’automobile era ancora sulle quattro ruote e coi vetri intatti, spensi il motore e mi voltai a guardare verso il sedile posteriore. Non avevo certo immaginato che la scossa prodotta dall’urto della macchina contro l’albero avesse sbalzato a terra Nero Wolfe, perché sapevo benissimo che si teneva sempre abbarbicato (è la parola) ai braccioli e con i piedi puntati contro la parte posteriore del mio sedile; ma mi aspettavo di vederlo furibondo come non mai.”

Da “La guardia al toro”

“La scatola rossa” è solo il quarto libro di una serie lunghissima protrattasi sino agli anni Settanta, senza contare i romanzi con Nero Wolfe scritti da Robert Goldsborough, ma contiene già tutte le costanti narrative analizzate da Umberto Eco in un capitolo del suo celebre saggio “Apocalittici e integrati”: “I punti-forza del racconto non sono affatto quelli in cui sta accadendo qualcosa di inaspettato; quelli sono i punti pretesto. I punti-forza sono quelli in cui Wolfe ripete i suoi gesti consueti, in cui sale per l’ennesima volta a curare le proprie orchidee mentre la vicenda raggiunge il massimo della drammaticità, in cui l’ispettore Cramer entra minaccioso mettendo un piede tra la porta ed il muro, fa da parte Goodwin e avverte Wolfe, agitando il dito, che questa volta non la passerà liscia. L’attrattiva del libro, il senso di riposo, di distensione psicologica che è capace di conferire, è data dal fatto che, sprofondato nella propria poltrona o nel divano dello scompartimento ferroviario, il lettore ritrova di continuo e punto per punto quello che già sa, quello che vuole sapere ancora una volta e per cui ha speso il prezzo del fascicolo.”

Questo giallo comincia proprio con uno dei rarissimi strappi alle regola che Wolfe si è imposto, visto che esce di casa a causa di un trucco escogitato da Goodwin, per indagare sulla morte di un’indossatrice, uccisa da un confetto avvelenato in una grande sartoria di New York.

Tutte le circostanze fanno intuire al misantropo investigatore che la ragazza non fosse il vero obiettivo dell’avvelenamento ma è difficile scalfire l’omertà che regna tra i parenti di Boyden McNair, proprietario della sartoria, uno dei possibili destinatari dei confetti mortali.

Le cose si complicano quando proprio McNair muore nello studio di Wolfe dopo aver ingerito una compressa di aspirina avvelenata.

La polizia non riesce a trovare nessun sospettato e sarà Nero Wolfe, malgrado i delitti si susseguano, a trovare il bandolo della matassa, scavando nel passato di McNair alla ricerca della scatola rossa del titolo, vero e proprio MacGuffin prima che Hitchcock usasse questo artificio narrativo, in un drammatico finale, anche questo marchio di fabbrica della premiata ditta Wolfe & Goodwin, ci sarà un sorprendente colpo di scena, forse il più clamoroso “trucco” della sua carriera e dopo tutto Wolfe rivendica chiaro il suo metodo d’indagine nelle prime fasi dell’inchiesta: “Non intendo che vediate la signorina Frost finché non avrò parlato con voi. E’ stato un trucco, sì, ma io ho il diritto di farli. E cosa mi dite dei vostri? Cosa mi dite della vostre spudorate bugie che avete continuato a dire alla polizia dal giorno in cui è stata assassinata Molly Lauck?”

La rivelazione finale è uno dei topoi più spettacolari dei romanzi di Rex Stout e io parlerei di trovata teatrale che consente al lettore di partecipare in prima persona al colpo di scena finale, sedendosi con gli altri sospettati nel teatrino predisposto con maestria da Nero Wolfe che solitamente, prima di additare il vero colpevole all’attenzione dell’ispettore Cramer, è solito alzare cortine fumogene accusando degli innocenti per saggiare la tenuta nervosa dell’assassino e il lettore si trova coinvolto in prima persona in questa rappresentazione tanto ben congegnata quanto catartica, usando sempre, come ama dire

“l’intelligenza guidata dall’esperienza”.

Nero Wolfe di solito indaga in ambienti borghesi, su uomini politici, poliziotti, finanzieri, avvocati, imprenditori, come in questo caso della “scatola rossa”, mettendone in luce avidità, ambiguità, immoralità, corruzione e il marciume di una società pronta ad inseguire il guadagno a discapito della giustizia e della verità.

Naturalmente Wolfe si fa pagare perché è consapevole che chi si rivolge a lui ha le possibilità economiche per farlo, ma nel racconto “Nero Wolfe non abbaia ma morde” il suo unico cliente è un cane, che non può certo pagare parcelle.

Questa tensione morale di Wolfe lo porterà ad usare tutti gli stratagemmi per portare un barlume di giustizia in un mondo che gira intorno al Dio Denaro e non avrà paura neanche di un uomo onnipotente come il capo dell’F.B.I. Edgar J. Hoover al culmine del suo potere in “Nero Wolfe contro l’F.B.I” del 1965.

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Rex Stout


Rex Stout: 1886, Noblesville (Indiana) Sin da piccolo rivela il suo genio: a tre anni ha già letto la Bibbia, a dieci tutti i testi di filosofia, storia, scienza e poesia del padre insegnante. A tredici anni è campione di ortografia del Kansas. Dopo aver fatto svariati mestieri, nel 1912 comincia a scrivere per riviste e settimanali e pubblica romanzi psicologici che non hanno fortuna, tra cui citiamo Due rampe per l’abisso (1929). Nel 1934 pubblica Fer-de-Lance (La traccia del serpente), il primo volume delle inchieste di Nero Wolfe. Il successo si ripete regolarmente per tutti I successivi volumi, sfornati pressappoco al ritmo di uno all’anno. Nero Wolfe e Archie Goodwin saranno alla fine protagonisti di 47 volumi tra romanzi e raccolte di racconti. Nel 1959 viene premiato con il Mistery Writers of America Grand Master.